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Anno LVII - N. 6 -31 marzo 2010 - Rivista quindicinale - kn 14,00 - EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401<br />

<strong>Panorama</strong><br />

www.edit.hr/panorama<br />

Croazia e Serbia: nuove<br />

alleanze per l’Europa


La Parenzana scolpita nella traversina<br />

La Parenzana, emblema dell’Istria e di Isola<br />

nei primi decenni del secolo scorso. A ricordo<br />

lo smantellamento della ferrovia, alla Comunità<br />

degli Italiani di Palazzo Manzioli l’artista<br />

capodistriano Loris Morosini ha consegnato la<br />

sua scultura La Parenzana ricavata direttamente<br />

da una traversina della ferrovia a scartamento<br />

ridotto. Tratteggiando la storia della linea, il<br />

presidente della CI, Silvano Sau, ha sottolineato<br />

che, per il suo valore storico e simbolico, la<br />

scultura di Morosini ha trovato la sede ideale a<br />

Palazzo Manzioli, altro importante monumento<br />

della storia isolana e istriana. Per il critico d’arte<br />

Enzo Santese, “l’artista coniuga la vocazione<br />

alla scultura con lo studio delle combinazioni<br />

morfologiche offerte dal legno. Frammenti,<br />

radici e oggetti scartati dalla loro originaria<br />

funzione entrano nella sua poetica a proclamare<br />

che nell’esistente c’è già il nucleo di partenza<br />

per un’avventura da affrontare. Lavorando il<br />

pezzo di traversina ha così mantenuto l’innesto<br />

originale del bullone (per non cancellare il ruolo<br />

del legno nelle strade ferrate), creando nella<br />

porzione lignea una sorta di bifrontalità: un lato,<br />

forato e bruciato, che rimanda al lavoro delle<br />

fiamme, l’altro, incavato e liscio, all’azione del<br />

vento o allo scorrere delle acque, quale sorta di<br />

‘reperto calcareo’. In ogni caso ‘La Parenzana’<br />

si situa nello spazio con una risonanza totemica,<br />

capace di esprimere l’intera forza di un simbolo<br />

racchiudente tanta parte della storia istriana<br />

(viaggi, emigrazioni, comunicazioni, commerci,<br />

etc)”. La serata è stata introdotta da alcuni<br />

canti di Dario Marušič che hanno preso spunto<br />

proprio dalle vicende legate alla “Parenzana”.<br />

2 <strong>Panorama</strong>


di Mario Simonovich<br />

Sembravano tanti e piuttosto decisi,<br />

gli agricoltori croati che nei<br />

primi giorni di marzo avevano<br />

istradato a migliaia i loro trattori per<br />

chiedere al Governo di saldare quello<br />

che consideravano il suo perdurante<br />

debito nei loro confronti. Anche<br />

solo a guardarla alla TV, la massa di<br />

mezzi agricoli che invadeva le carreggiate,<br />

incuteva una certa impressione.<br />

E se fossero veramente andati avanti,<br />

fino al cuore di Zagabria, come minacciavano?<br />

Chi ha una certa memoria<br />

ricorderà che, un paio di settimane<br />

prima, al momento in cui erano giunte<br />

al culmine le proteste degli allevatori,<br />

erano bastati i cenni perentori di<br />

tutt’altro che nutrite pattuglie di polizia<br />

per sgomberare le viabili, di regola<br />

chiude in un solo senso.<br />

Con gli agricoltori lo scontro ha<br />

raggiunto un livello più alto: carreggiate<br />

bloccate in ambo i sensi, richieste<br />

perentorie e musi duri verso i poliziotti,<br />

stavolta presentatisi non con<br />

l’uniforme “urbana” bensì in tenuta<br />

antisommossa. Scelta pertinente,<br />

come si è visto nell’accenno a quello<br />

scontro fisico non lontano da Vinkovci,<br />

che minacciava di dilagare a<br />

macchia d’olio fra i dimostranti esasperati<br />

accanto ai loro quattrocento<br />

trattori. Fortunatamente ad essere<br />

spinti con violenza, a quel che si<br />

sa, furono non più di un paio di poliziotti,<br />

il che permise ad ambo le parti<br />

di minimizzare quanto era avvenuto.<br />

Non c’era stato alcun contatto<br />

né conflitto, dissero concordemente.<br />

Peccato che dalle telecamere venisse<br />

una testimonianza che li contraddiceva<br />

in assoluto, ma chiunque ragionasse<br />

con un filo di saggezza non poteva<br />

che condividere la bugia detta a<br />

fin di bene.<br />

Il livello successivo è stato raggiunto<br />

a Vranjic, la cittadina dalmata<br />

non lontana da Spalato dove si trova<br />

la fabbrica Salonit, spina nel fianco<br />

non solo dell’amministrazione locale<br />

in seguito ad una gestione ormai<br />

da anni in perdita - tanto da arrivare<br />

al fallimento - ma anche delle autori-<br />

In primo piano<br />

Taluni piccoli dettagli indicano che in Croazia la sopportazione è al limite<br />

Gli oppressi spostano i paletti<br />

tà mediche, in quanto estremamente<br />

pericoloso focolaio di una delle più<br />

pericolose affezioni derivate dalla<br />

produzione industriale: l’asbestosi.<br />

L’insofferenza degli operai, che già<br />

in autunno aveva avuto un’eloquente<br />

epressione nell’occupazione dei<br />

locali della Contea spalatina, ora si è<br />

espressa in maniera ancora più tangibile.<br />

Decisi ad entrare nella fabbrica<br />

abbandonata per dar vita ad un’assemblea<br />

e trovati i cancelli chiusi,<br />

hanno “preso in mano la mazza della<br />

giustizia” come diranno poi. Ossia,<br />

hanno infranto con una sbarra di ferro<br />

la grande vetrata della portineria<br />

e sono entrati. Il tutto si è concluso<br />

con il successivo verbale di polizia.<br />

Nessun fermato, nessun denunciato.<br />

Perché questi eventi meritano una<br />

maggior attenzione? Perché presentano<br />

un elemento in comune: lo spostamento<br />

dei paletti della protesta un po’<br />

più in là, un po’ più avanti. Non c’è<br />

dubbio che la situazione nel paese in<br />

cui troppi “esemplari patrioti” si stanno<br />

rivelando di giorno in giorno d’essere<br />

ineguagliabili solo nell’arraffare<br />

il bene pubblico e lucrare in tutti i<br />

modi sugli strati più poveri e indifesi,<br />

sta peggiorando ormai da tempo. Nel<br />

contempo, con altrettanta chiarezza si<br />

evince che mai si è profilata una massiccia<br />

risposta organizzata al latrocinio<br />

e al depauperamento. Semmai il<br />

contrario, le poche volte che i nostri<br />

debilitati sindacati, o altri, hanno tentato<br />

di organizzare qualcosa, la risposta<br />

è stata tanto misera da impensierire<br />

chiunque conosca la situazione:<br />

gli inviti ai consumatori a un giorno,<br />

uno solo, di boicottaggio degli acquisti,<br />

è finita nel ridicolo, la protesta degli<br />

studenti, categoria “pensante” per<br />

eccellenza, si è conclusa in maniera<br />

ignominosa.<br />

In questi due casi, invece, lentamente<br />

ma con vigore, si sta facendo<br />

strada il barlume del cambiamento,<br />

la volontà degli oppressi di “battersi”<br />

per la partecipazione alla decisionalità.<br />

Sono, senza dubbio, fuocherelli,<br />

ma un giorno potrebbero essere<br />

ricordati come l’inizio del cambiamento.<br />

●<br />

Costume<br />

e scostume<br />

Istriani:<br />

no alla polizia<br />

Gli istriani mostrano poca<br />

propensione ad entrare in polizia.<br />

L’anno scorso sono pervenute<br />

al Ministero degli interni<br />

5909 domande, provenienti per<br />

la maggior parte (14 per cento)<br />

dalla Contea di Vukovar-Srijem,<br />

seguite da quella di Osijek e della<br />

Baranja (12 p.c.), e Zagabria, città<br />

compresa. L’Istria è stata invece<br />

presente con una percentuale<br />

ridottissima: 0,02 p.c., in parità<br />

esatta con le Contee di Segna e<br />

della Lika e del Međimurje. Un<br />

rapido calcolo dice che, considerate<br />

in termini assoluti, nel primo<br />

caso le domande sono state circa<br />

827, nel secondo poco meno di<br />

710 e per le tre aree amministrative<br />

di coda solo poco più di una<br />

(esattamente 1,19).<br />

Al Ministero il fatto viene<br />

spiegato innanzitutto con le<br />

maggiori possibilità occupazionali<br />

per i giovani che vivono in<br />

queste Contee rispetto ad altre.<br />

La tesi tuttavia non è aliena da<br />

qualche grossolanità. Se infatti è<br />

assolutamente accettabile in riferimento<br />

ad aree depresse quali<br />

Osijek o, e parecchio di più, Vukovar,<br />

come spiegare il numero<br />

tanto nutrito di domande sottoscritte<br />

dai giovani che vivono<br />

nella capitale, dove le possibilità<br />

occupazionali (e le paghe medie)<br />

si mantengono da sempre al<br />

massimo livello del paese? Allo<br />

stesso modo c’è da chiedersi,<br />

come mai non c’è adesione non<br />

solo in quell’Istria che in genere<br />

si è tenuta sempre alla larga<br />

dall’uniforme, ma anche in una<br />

Lika che da sempre è stata serbatoio<br />

di prim’ordine nel reclutamento.<br />

<strong>Panorama</strong> 3


<strong>Panorama</strong><br />

www.edit.hr/panorama<br />

Ente giornalistico-editoriale<br />

EDIT<br />

Rijeka - Fiume<br />

Direttore<br />

Silvio Forza<br />

PANORAMA<br />

Redattore capo responsabile<br />

Mario Simonovich<br />

caporedattore-panorama@edit.hr<br />

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Bruno Bontempo, Nerea Bulva,<br />

Diana Pirjavec Rameša, Mario<br />

Simonovich, Ardea Velikonja<br />

4 <strong>Panorama</strong><br />

REDAZIONE<br />

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Via re Zvonimir 20a Rijeka - Fiume,<br />

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Fiume, tel. 682-147<br />

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Croazia: an nuale (24 numeri) kn 300,00<br />

(IVA inclusa); semestrale (12 numeri)<br />

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14,00 (IVA inclusa). Slovenia: annuale<br />

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70,00 una copia: euro 1,89.<br />

VERSAMENTI: per la Croazia sul<br />

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Numeri arretrati a prezzo raddoppiato<br />

INSERZIONI: Croazia - retrocopertina<br />

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Slovenia e Italia retrocopertina 250,00<br />

euro; retrocopertina interna 150.00 euro;<br />

pagine interne 120,00 euro.<br />

PANORAMA esce con il concorso<br />

finanziario della Repubblica di Croazia<br />

e della Repubblica di Slovenia e viene<br />

parzialmente distribuita in convenzione<br />

con il sostegno del Governo italiano<br />

nell’ambito della collaborazione tra<br />

Unione Italiana (Fiume-Capodistria) e<br />

l’Università Popolare (Trieste)<br />

EDIT - Fiume, via Re Zvonimir 20a<br />

edit@edit.hr<br />

Consiglio di amministrazione: Ezio<br />

Giuricin (vicepresidente), Ennio Machin,<br />

Franco Palma, Carmen Benzan,<br />

Doris Ottaviani, Orietta Marot, Fabio<br />

Sfiligoi<br />

<strong>Panorama</strong> testi<br />

N. 19 - 31 marzo 2010<br />

Sommario<br />

IN PRIMO PIANO<br />

In Croazia la sopportazione è al limite<br />

GLI OPPRESSI SPOSTANO I PALETTI ... 3<br />

di Mario Simonovich<br />

Abbazia, incontro storico tra Josipović e Tadić<br />

CROAZIA E SERBIA: NUOVE<br />

ALLEANZE PER L’EUROPA ....... 6<br />

a cura di Diana Pirjavec Rameša<br />

ETNIA<br />

Delegazione CNI in visita al premier Borut<br />

Pahor a 15 mesi dal suo insediamento<br />

SENZA RETROCEDERE SU BILIN-<br />

GUISMO E FINANZIAMENTI ...... 8<br />

di Diana Pirjavec Rameša<br />

ATTUALITÀ<br />

Italia-Russia, ambiziosi progetti<br />

SOUTH STREAM, SOTTO<br />

L’EGIDA DI ENI E GAZPROM ... 10<br />

a cura di Diana Pirjavec Rameša<br />

RIFLESSIONI IN CORNICE<br />

DI ALLUVIONI E ALTRE SPONDE ... 11<br />

di Luca Dessardo<br />

ITALIA<br />

Nelle regionali centrodestra da 2 su 11 a 6 su 7<br />

BERLUSCONI RIMONTA,<br />

LEGA A VALANGA ...................... 12<br />

a cura di Bruno Bontempo<br />

SOCIETÀ<br />

Sprecata nei paesi avanzati, agognata<br />

nelle aree più arretrate del globo<br />

ACQUA, UN FERMO DINIEGO<br />

ALLA PRIVATIZZAZIONE ........ 14<br />

di Marino Vocci<br />

ECHI DI STORIA<br />

A Santa Caterina, alle spalle di Fiume, gli<br />

impianti militari ancora in ottimo stato<br />

CHI DOVEVANO FERMARE<br />

QUELLE FORTIFICAZIONI? ...... 16<br />

di Franco Gottardi<br />

INTERVISTE<br />

Miljenko Jergović, intervistato durante la<br />

visita in Italia per presentare “Freelander”<br />

NEI BALCANI LE ILLUSIONI<br />

TI AIUTANO A VIVERE ............. 18<br />

di Diana Pirjavec Rameša<br />

CINEMA E DINTORNI<br />

”The hurt locker”, di Kathryn Bigelow,<br />

si è guadagnato due Oscar<br />

GUERRA, ABORRITA MA ANCHE<br />

TANTO AGOGNATA ................... 20<br />

di Gianfranco Sodomaco<br />

ARTE<br />

Ha ideato pure il sepolcro di Berlusconi<br />

PIETRO CASCELLA, SCULTORE<br />

DALL’ANIMO “MONUMENTALE” ... 22<br />

di Erna Toncinich<br />

ITALIANI NEL MONDO<br />

Sangregorio sulle dichiarazioni di Nardi<br />

IL DIRITTO DI VOTO<br />

RISPONDE ALLA LOGICA<br />

DELLA DEMOCRAZIA .............. 24<br />

a cura di Ardea Velikonja<br />

MADE IN ITALY<br />

Dall’ 8 al 12 aprile alla Fiera veronese<br />

A VINITALY IL BUSINESS<br />

È NEL BICCHIERE ..................... 26<br />

a cura di Ardea Velikonja<br />

REPORTAGE<br />

Record di produttori presenti quest’anno<br />

a Crassiza ad “Oleum Olivarum”<br />

SOSTENERE L’AUTOCTONIA<br />

DELL’OLIVO ISTRIANO ........... 28<br />

di Ardea Velikonja<br />

LETTURE ISTRIA NOBILISSIMA<br />

”RITORNO A MIDIAN” .............. 34<br />

di Mario Schiavato<br />

RICERCHE<br />

Che cosa ci dicono i cognomi usati in<br />

Istria, Quarnero, Dalmazia e Trieste<br />

I DESCOVICH, OTTO FAMIGLIE<br />

MORLACCHE .............................. 40<br />

di Marino Bonifacio<br />

MUSICA<br />

A 70 anni incide dischi e scrive<br />

MINA, INCANTATRICE SOLITARIA ... 42<br />

a cura di Bruno Bontempo<br />

SPORT<br />

Una sola rappresentante della narcisa<br />

Serie A nei quarti delle coppe europee<br />

CORO ITALIA: INTER, SALVACI TU... 44<br />

LJUBIČIĆ, 31 ANNI<br />

E IL DIRITTO DI SOGNARE ..... 45<br />

SIMON AMMANN PIGLIATTUTTO ... 46<br />

VLAŠIĆ, CORSA A OSTACOLI<br />

TRA INCOMPRENSIONI<br />

E SGAMBETTI ............................ 47<br />

a cura di Bruno Bontempo<br />

MULTIMEDIA<br />

Quali pregi e quali difetti (3 e fine)<br />

TOP TEN DEGLI ANTIVIRUS 2010 ... 50<br />

a cura di Igor Kramarsich<br />

RUBRICHE .................................. 52<br />

a cura di Nerea Bulva<br />

IL CANTO DEL DISINCANTO ... 58<br />

di Silvio Forza<br />

IN COPERTINA: L’incontro storico tra i Presidenti Josipović e Tadić ad Abbazia


Le ultime edizioni dei “Quaderni”<br />

(il ventesimo numero), delle<br />

“Ricerche sociali” (il sedicesimo)<br />

ed il 56.esimo numero del bollettino<br />

del Centro di ricerche storiche<br />

di Rovigno “La ricerca” sono stati<br />

presentati a Pola, città scelta non<br />

a caso dato che questa è stata pure<br />

l’occasione per presentare un nuovo<br />

validissimo volume ovvero il “Dizionario<br />

del dialetto di Pola” (nella<br />

foto) che costituisce il 31.esimo volume<br />

della collana più longeva del<br />

Jan Bernas (nella foto), giovane<br />

giornalista italiano, salernitano<br />

di origine polacca, tra cronaca<br />

e storia nel suo libro “Ci chiamavano<br />

fascisti. Eravamo italiani” ha<br />

cercato di ricostruire tassello dopo<br />

tassello l’intero mosaico, il dramma<br />

comune di un popolo: quello<br />

degli esuli e dei rimasti. E il libro,<br />

presente l’autore, è stato presentato<br />

di recente alla Comunità degli<br />

Italiani di Fiume e Pola davanti<br />

ad un folto pubblico che ha voluto<br />

capire come un autore così gio-<br />

Agenda<br />

Realizzato dal Centro di ricerche storiche di Rovigno nell’ambito degli «Atti»<br />

Nuovo Dizionario del dialetto di Pola<br />

Una commedia leggera, ironica e<br />

spassosa, che ritrae la vita delle<br />

donne, dall’infanzia alla vecchia-<br />

CRS: la collana degli “Atti”. Autori<br />

del nuovo dizionario sono la docente<br />

dell’Università di Pola, Barbara<br />

Buršić Giudici e Giuseppe Orbanich,<br />

“dialettofono appassionato”<br />

che ha dedicato all’imponente lavoro<br />

di raccolta dei lemmi e del corredo<br />

fraseologico che li esemplifica<br />

la bellezza di cinquant’anni. Il<br />

volume contiene un elenco di ben<br />

6000 lemmi su 314 pagine corredate<br />

da una setie di riproduzioni di fotografie<br />

d’epoca. Nell’ambito degli<br />

ia, nelle varie tappe di un’esistenza<br />

che raramente è noiosa e monotona.<br />

Questo in sintesi il contenuto di<br />

“Tutto sulle donne” il nuovo lavoro<br />

presentato dal Dramma Italiano di<br />

Fiume, autore Miro Gavran, traduzione<br />

di Silvio Ferrari.<br />

Comunque lo spettacolo non rispecchia<br />

il piano narrativo dell’opera<br />

originale: infatti nel suo adattamento<br />

teatrale Neva Rošić, la curatrice,<br />

con l’aiuto dell’intero gruppo<br />

di attori ha trasferito l’azione da<br />

Zagabria a Fiume nel contesto del-<br />

vane abbia voluto scrivere della<br />

storia delle nostre parti. L’autore,<br />

come ha spiegato alla presentazione,<br />

ha sentito l’esigenza di capire,<br />

di fare chiarezza, approfondire<br />

l’argomento, quando una sua insegnante<br />

cercò di “liquidare” la questione<br />

dell’esodo con una spiegazione<br />

spicciola: “Erano tutti fascisti”.<br />

Comprese già allora che era<br />

un’ingiustizia, che non poteva essere<br />

così. Ed è per questo che, oltre<br />

ad analizzare volumi e contributi<br />

storiografici, è voluto andare<br />

“Atti” finora sono usciti il Dizionario<br />

del dignanese, il Vocabolario dei<br />

dialetti di Rovigno, di Buie, di Capodistria<br />

e via dicendo. ●<br />

Il nuovo lavoro del Dramma Italiano scritto da Miro Gavran e tradotto da Silvio Ferrari<br />

Successo annunciato per «Tutto sulle donne»<br />

la realtà comunitaria italiana. Tutto<br />

quindi si inserisce in questa cornice<br />

a partire da certi comportamenti<br />

(mamme istriane e fiumane) fino<br />

all’uso della lingua, che abbraccia<br />

espressioni in dialetto fiumano e<br />

ciacavo oltre che in italiano e croato.<br />

Bravissime le tre attrici che interpretano<br />

i tre spaccati di vita, ovvero<br />

Elvia Nacinovich, Rosanna<br />

Bubola ed Elena Brumini, ciascuna<br />

delle quali si presenta in cinque<br />

ruoli diversi, in cinque storie intrecciate.<br />

●<br />

Presentato a Fiume e Pola il libro di Jan Bernas, giovane giornalista italiano<br />

«Ci chiamavano fasciti. Eravamo italiani»<br />

oltre, arrivare alle “fonti dirette”,<br />

alla gente che la storia l’ha vissuta<br />

sulla propria pelle.●<br />

<strong>Panorama</strong> 5


a cura di Diana Pirjavec Rameša<br />

senza cravatta», così<br />

è stato definito il ritrovo in-<br />

«Incontro<br />

formale tra il Presidente croato<br />

Ivo Josipović e l’omologo serbo<br />

Boris Tadić ad Abbazia. Grandi sorrisi<br />

e calorose strette di mano che annunciano<br />

un netto miglioramento nelle<br />

relazioni tra i due paesi<br />

L’incontro a sorpresa tra i Presidenti<br />

ha contribuito non poco al miglioramento<br />

delle relazioni tra i due<br />

Paesi. Su questo concordano sia Belgrado<br />

che Zagabria, condividendo<br />

la soddisfazione per il fatto che<br />

Josipović e Tadić siano riusciti ad<br />

“aggiustare” le relazioni politiche tra<br />

i due paesi dopo non poche “incomprensioni”.<br />

Nonostante fosse stato invitato,<br />

Tadić poco più di un mese fa non si<br />

era recato a Zagabria alla cerimonia<br />

di insediamento del terzo Presidente<br />

croato, adducendo a sua giustificazione<br />

il fatto che vi avrebbe trovato<br />

il Presidente del Kosovo, il nuovo<br />

stato la cui esistenza non è rico- nosciuta dalla Serbia e che Belgrado<br />

considera tuttora una sua provincia.<br />

Ma il vero problema nelle relazioni<br />

tra i due Paesi riguarda le denunce<br />

per genocidio, che la Croazia<br />

e la Serbia hanno presentato una<br />

contro l’altra alla Corte internazionale<br />

di giustizia dell’Aia. “Si potrebbero<br />

ritirare e il contenzioso risolvere<br />

con un accordo extragiudiziario”<br />

- hanno sostenuto ad Abbazia<br />

i due Presidenti. “Sarebbe opportuno<br />

risolvere la disputa tra i due Stati<br />

fuori dai tribunali, ma ciò non significa<br />

che si rinuncerebbe a perseguire<br />

i diretti responsabili per i crimini<br />

di guerra’’, ha detto Tadić. Nel 1999<br />

la Croazia aveva denunciato Belgrado<br />

per il genocidio commesso dalle<br />

truppe serbe durante il conflitto serbo-croato<br />

(1991-1995), ricorso contro<br />

il quale la Serbia ha risposto con<br />

una contro-denuncia tre mesi fa nella<br />

quale si sostiene che l’esercito e<br />

lo Stato croato sono responsabili di<br />

6 <strong>Panorama</strong><br />

In primo piano<br />

Incontro storico tra i Presidenti Josipović e Tadić ad Abbazia. Ora bisog<br />

Croazia e Serbia: nuove alleanze p<br />

L’evento sancisce l’inizio del<br />

disgelo tra Croazia e Serbia<br />

L’incontro “senza cravatta” tra i Presidenti Josipović e Tadić. E non è<br />

mancato nemmeno l’elemento sorpresa, visto che i media sono stati informati<br />

dell’evento solo nella giornata in cui questo doveva avvenire<br />

genocidio contro la minoranza serba<br />

in Croazia. “I rapporti tra i nostri due<br />

Paesi non dovrebbero restare ostag-<br />

gi dei criminali di guerra’’, ha osservato<br />

Tadić. I due Presidenti si sono<br />

detti pronti al tempo stesso a lavorare<br />

a favore dell’integrazione di Serbia,<br />

Croazia e dell’intera regione dei<br />

Balcani occidentali nell’Unione europea.<br />

Zagabria è nella fase finale<br />

del negoziato di adesione e potrebbe<br />

entrare nella Ue nel 2012, mentre<br />

Belgrado ha presentato domanda lo<br />

scorso dicembre, ma non ha ancora<br />

ottenuto lo status di paese candidato<br />

all’adesione.<br />

Il ritiro dell’accusa da parte della<br />

Croazia, ovviamente, significherebbe<br />

una mossa analoga da parte<br />

della Serbia, col che verrebbe tolto<br />

dall’ordine del giorno delle irrisolte<br />

questioni reciproche uno dei punti<br />

più dolorosi. Ma ve ne sono anche<br />

altri: i due Stati infatti devono ancora<br />

risolvere la questione delle persone<br />

scomparse durante la guerra, del<br />

rientro dei profughi serbi in Croazia,<br />

ma anche della restituzione di parte<br />

del patrimonio culturale croato portato,<br />

ai tempi della guerra, in Serbia.<br />

Le due ore scarse passate insieme -


na pensare al disgelo<br />

er l’Europa<br />

tanto i due Presidenti hanno discusso<br />

sul battello che li ha portati dall’aeroporto<br />

dell’isola di Veglia, dove è atterrato<br />

Tadić, fino ad Abbazia, dove<br />

hanno pranzato e passeggiato - sono<br />

state appena sufficienti ad aprire alcuni<br />

importanti argomenti che hanno<br />

pesato in passato sulle relazioni bilaterali.<br />

Josipović e Tadić avrebbero dovuto<br />

incontrarsi a Brdo kod Kranja alla<br />

riunione dei Paesi dei Balcani occidentali,<br />

incontro fallito perché il Presidente<br />

serbo non è andato a causa<br />

della presenza del Presidente del Kosovo.<br />

Sia Belgrado che Zagabria hanno<br />

ritenuto che l’incontro bilaterale<br />

dei due Presidenti sia stato meglio di<br />

qualsiasi colloquio di sfuggita in una<br />

qualche conferenza internazionale.<br />

Con questo gesto hanno anticipato,<br />

bisogna rilevarlo, le aspettative<br />

dei partner europei riunitisi il 26<br />

marzo a Bruxelles dimostrando di essere<br />

interlocutori affidabili per risolvere<br />

problemi nel sud-est europeo su<br />

di cui prima gli americani e poi l’Ue<br />

hanno decisamente fallito, come lo è<br />

stato quello della Bosnia.<br />

Le relazioni tra la Croazia e la<br />

Serbia sono cruciali per la stabilità<br />

della regione, e su questo insiste anche<br />

l’Unione europea. La Croazia sta<br />

superando le ultime tappe del percorso<br />

verso l’Unione, mentre la Serbia<br />

è solo all’inizio, ma la loro collaborazione<br />

significa molto più di buone<br />

relazioni reciproche. “Se la Croazia<br />

entra nell’Ue e la Serbia no, non sarebbe<br />

un bene né per la Serbia né per<br />

la Croazia”, ha detto Tadić durante il<br />

breve incontro con la stampa.<br />

“La Croazia deve essere interessata<br />

all’avanzamento delle relazioni<br />

con la Serbia anche per i vantaggi<br />

economici che potrebbero derivarne”,<br />

ha precisato la commentatrice<br />

dello zagabrese “Jutarnji list”, Jelena<br />

Lovrić.<br />

In questo momento la collaborazione<br />

economica è di gran lunga migliore<br />

e più sviluppata di quella politica.<br />

Non è la politica ad aprire lo<br />

spazio per intensificare le relazioni<br />

economiche, sono piuttosto i politi-<br />

ci a trottare al seguito degli imprenditori<br />

come nel settore del turismo<br />

e dell’interscambio commerciale.<br />

L’incontro di Abbazia - concordano<br />

gli analisti - è un importante stimolo<br />

per la collaborazione tra di due vicini.<br />

Benché né Tadić né Josipović abbiano<br />

grandi poteri e ancora meno ne<br />

hanno per poter risolvere i numerosi<br />

problemi tra Zagabria e Belgrado<br />

- perché ciò dipende più che altro dai<br />

rispettivi governi - il clima che hanno<br />

creato favorirà iniziative concrete.<br />

Archiviato questo dettaglio, e rinnovata<br />

l’amicizia anche personale<br />

tra i due Presidenti, sembra che<br />

Josipović e Tadić abbiano parlato di<br />

molte cose, convenendo quasi su tutto.<br />

Al centro dei colloqui, la cooperazione<br />

economica basata su progetti<br />

congiunti nel settore dell’energia,<br />

ed in tal senso “South Stream” si è<br />

rivelato ancora protagonista. L’accordo<br />

tra la Russia e la Croazia sulla<br />

cooperazione per la costruzione e<br />

lo sfruttamento del gasdotto “South<br />

Stream” è stato firmato il 2 marzo a<br />

Mosca, alla presenza del Primo ministro<br />

russo Vladimir Putin e del Primo<br />

ministro croato Jadranka Kosor. La<br />

Serbia aveva già firmato prima l’accordo<br />

con la Russia. L’amministratore<br />

delegato di Gazprom, Alexej Miller,<br />

ha recentemente dichiarato che il<br />

ramo “South Stream” per la Croazia<br />

potrebbe partire dalla Serbia o dalla<br />

Slovenia.<br />

Dopo che è stata esaminata anche<br />

la questione della proprietà legale<br />

In primo piano<br />

delle traduzioni croate dei documenti<br />

per l’adesione all’Ue, i Presidenti<br />

hanno rilevato che “questo problema<br />

dovrebbe essere risolto con la consegna<br />

dei medesimi”.<br />

Per quanto riguarda la situazione<br />

in Bosnia-Erzegovina, entrambi<br />

i Presidenti hanno sottolineato che<br />

l’integrità della Bosnia-Erzegovina<br />

è indiscutibile, e che la Croazia e la<br />

Serbia restano garanti dell’accordo<br />

di Dayton. “I cittadini della Bosnia-<br />

Erzegovina devono decidere da soli<br />

del proprio destino e noi siamo qui<br />

solo per aiutarli, con consigli ispirati<br />

ai valori europei”, ha detto Josipović.<br />

I giornalisti hanno voluto sentire anche<br />

previsioni circa il “ritorno” dei<br />

turisti serbi sull’Adriatico e Tadić ha<br />

risposto che è lui il primo turista serbo<br />

di quest’anno. “Tutti mi assicurano<br />

che i turisti provenienti dalla Serbia<br />

sono benvenuti in Croazia e che<br />

non c’è alcun motivo di preoccupazione<br />

per la loro sicurezza. Abbiamo<br />

bisogno di rompere alcuni stereotipi,<br />

questo è uno dei gesti più grandi che<br />

possiamo fare”, ha detto Tadić durante<br />

la sua passeggiata al parco della<br />

Pela del Quarnero. Scherzosamente<br />

ha aggiunto che l’unica questione<br />

su cui i Presidenti non si sono messi<br />

d’accordo è l’esito del prossimo incontro<br />

di Coppa Davis tra Serbia e la<br />

Croazia nel mese di luglio a Spalato.<br />

A questo punto, ironizzando, si potrebbe<br />

dedurre che anche per le questioni<br />

più delicate è comunque possibile<br />

trovare una soluzione. ●<br />

<strong>Panorama</strong> 7


8 <strong>Panorama</strong><br />

Etnia<br />

Qualificata delegazione della CNI in visita al premier sloveno Borut Pahor a<br />

Senza retrocedere su finanziamenti e<br />

di Diana Pirjavec Rameša<br />

I<br />

rapporti tra la CNI e Lubiana sono<br />

cordiali e basati sulla reciproca<br />

considerazione. Nonostante ciò<br />

esistono questioni aperte che si risolvono<br />

con difficoltà. Si lavora a<br />

favore di soluzioni che rispettino le<br />

esigenze e le aspettative di ambo le<br />

parti, ma i tempi, come spesso accade,<br />

sono molto lenti. Queste le conclusioni<br />

dell’incontro tra il Primo<br />

ministro sloveno, Borut Pahor, e gli<br />

esponenti della CNI, realizzato a distanza<br />

di 15 mesi dall’insediamento<br />

del premier.<br />

L’incontro è servito soprattutto<br />

per fare il punto sui non pochi problemi<br />

che rallentano e creano intoppi<br />

al funzionamento e all’attività<br />

della minoranza in Slovenia. In tal<br />

senso la delegazione di cui facevano<br />

parte il presidente della CAN costiera,<br />

Flavio Forlani, il presidente della<br />

Giunta esecutiva dell’UI, Maurizio<br />

Tremul, i presidenti delle CAN comunali<br />

di Pirano e Capodistria, Bruno<br />

Fonda e Alberto Scheriani, la vicepresidente<br />

della CAN di Isola, Lilia<br />

Petercol, ed il deputato al Parlamento<br />

sloveno, Roberto Battelli, ha<br />

consegnato al premier un documento<br />

in tredici punti corredato da una<br />

considerevole documentazione basata<br />

su esempi pratici, relativa alla<br />

mancata attuazione dei diritti minoritario<br />

riconosciuti dalla Costituzione<br />

e dalle vigenti leggi slovene. Uno<br />

degli argomenti che sta più a cuore<br />

ai rappresentanti CNI è il problema<br />

della Radiotelevisione e della carenza<br />

di finanziamenti destinati all’attività<br />

dei programmi in lingua italiana.<br />

Problemi ci sono anche per<br />

quanto riguarda le inadempienze del<br />

Governo nel rispettare i contratti relativi<br />

al pubblico impiego. Nel documento<br />

si parla pure della carente<br />

applicazione del bilinguismo e ne<br />

viene chiesta a chiare lettere l’applicazione<br />

pratica nei territori nazionalmente<br />

misti.<br />

Con Maurizio Tremul abbiamo<br />

voluto, qualche giorno dopo l’incontro,<br />

raccogliere le sue impres-<br />

sioni su questo appuntamento atteso<br />

per lunghi 15 mesi.<br />

”Mi aspettavo risposte più concrete<br />

e operative almeno sulle questioni<br />

urgenti che sono state poste. Il Presidente<br />

ha voluto in qualche modo<br />

approfondire alcuni aspetti delle tematiche<br />

che gli sono state presentate<br />

però su nessuna di queste ha assunto,<br />

in sede di incontro, precisi<br />

impegni né ha espresso chiaramente<br />

l’indirizzo del Governo né le proprie<br />

posizioni. Essendo stato il primo<br />

incontro ufficiale con il premier<br />

va rilevato che questo si è rivelato di<br />

carattere conoscitivo. Confido, nonostante<br />

ciò, che a seguito di questa<br />

prima presentazione delle problematiche<br />

e dei promemoria, al prossimo<br />

incontro avremo un riscontro concreto,<br />

che può essere negativo o parzialmente<br />

positivo, ma sempre meglio<br />

una risposta chiara ancorché negativa<br />

che un’assenza di risposta. Mi<br />

conforta l’impegno che il premier ha<br />

preso assicurando di voler analizzare<br />

i memo consegnati e di fornirci la risposta<br />

e la posizione del Governo” -<br />

ha spiegato il presidente della Giunta<br />

esecutiva dell’UI.<br />

”Va aggiunta un’altra cosa. Questi<br />

promemoria il gabinetto del premier<br />

li aveva a disposizione già da<br />

settembre dell’anno scorso e quindi<br />

queste tematiche non avrebbero<br />

dovuto rappresentare alcuna novità.<br />

Dietro a questo incontro vi è un’intensa<br />

attività diplomatica e una precisa<br />

analisi dei ‘mali’, si fa per dire,<br />

che incidono sulla vita della CNI e<br />

delle sue istituzioni.<br />

A Lubiana alla fine di marzo abbiamo<br />

consegnato due distinti blocchi<br />

di documenti elaborati congiuntamente<br />

da UI e CAN Costiera. Si<br />

tratta di alcuni testi che sono stato io<br />

a redigere ma comunque coordinati<br />

da UI e CAN assieme al nostro deputato<br />

Roberto Battelli. I due gruppi<br />

di documenti riguardano il Memorandum<br />

sulla CNI in Slovenia,<br />

un memo di 21 pagine in cui vengono<br />

elaborati 13 punti e altre 12 pagine<br />

di allegati nonché uno molto<br />

più sintetico di 2 cartelle e mezza e<br />

Maurizio Tremul, presidente<br />

della Giunta UI<br />

un’altra pagina e mezza di allegati.<br />

Il Memorandum più articolato,<br />

quello di 13 punti, è stato stilato<br />

nella primavera del 2009 sulla base<br />

di un documento più ristretto elaborato<br />

dall’UI che venne trasmesso<br />

dall’Ambasciata italiana di Lubiana<br />

al premier sloveno Borut Pahor. Su<br />

questo memorandum dell’UI il Governo<br />

sloveno ha fornito alcuni mesi<br />

dopo delle risposte per ogni singola<br />

tematica. Gli argomenti messi in<br />

evidenza riguardano tra l’altro i finanziamenti<br />

al settore dell’istruzione,<br />

il mantenimento nel capodistriano<br />

dell’italiano come lingua<br />

dell’ambiente, il finanziamento delle<br />

attività culturali, la creazione di<br />

una base economica per la CNI... In<br />

seguito su queste risposte ho preparato<br />

per conto dell’UI una contro risposta<br />

che poi è stata armonizzata<br />

con le CAN e con il deputato Battelli<br />

ed è stata riconsegnata a Pahor<br />

per tramite l’ambasciatore italiano<br />

Alessandro Pietromarchi, che qui<br />

vorrei sentitamente ringraziare perché<br />

ha voluto svolgere con indubbia<br />

efficacia una rilevante opera di<br />

sensibilizzazione presso il Governo<br />

sloveno sulle principali tematiche<br />

della nostra comunità nel senso<br />

che l’ambasciatore, nell’ambito<br />

dei suoi contatti istituzionali con il<br />

Governo, ha voluto presentare tra le


15 mesi dal suo insediamento<br />

bilinguismo<br />

varie questioni anche i punti essenziali<br />

delle problematiche della nostra<br />

Comunità”.<br />

È possibile fare una carrellata<br />

sulle questioni poste all’ordine del<br />

giorno?<br />

”Riassumere i 13 punti del documento<br />

considerata l’ampiezza potrebbe<br />

risultare un’operazione sin troppo<br />

articolata. Possiamo vedere allora le<br />

questioni più urgenti che sono state<br />

presentate al premier: in primo luogo<br />

va evidenziato il problema del finanziamento<br />

dei programmi italiani<br />

di RTV Capodistria e la Nuova legge<br />

sulla RTV slovena. La nuova legge<br />

rispetto alle versioni presentate in<br />

un primo momento è migliorata. Presenta<br />

però alcuni elementi pericolosi<br />

che se non vengono aggiustati, migliorati,<br />

rischiano di compromettere<br />

seriamente l’esistenza e l’autonomia<br />

dei nostri programmi. Il rischio di<br />

una mancata presenza garantita dei<br />

rappresentanti delle due Comunità<br />

nazionali in seno al Consiglio della<br />

RTV preoccupa, eccome. Nel documento<br />

si prevede infatti che il Capo<br />

dello Stato nomini un (1) rappresentante<br />

su proposta delle due comunità,<br />

quella italiana e quella ungherese.<br />

Noi questo lo riteniamo di dubbia costituzionalità<br />

perché priva le due Comunità<br />

minoritarie dell’autonomia di<br />

proposta, sottraendo in tal modo soggettività<br />

agli organismi minoritari.<br />

Per questo motivo chiediamo che le<br />

due comunità continuino a nominare<br />

i propri rappresentanti, anche perché<br />

in questo modo viene assicurata<br />

la loro partecipazione alla gestione”.<br />

Mi risulta che ci siano problemi<br />

anche legati ai finanziamenti...<br />

“L’altro problema, indubbiamente,<br />

è rappresentato dai finanziamenti.<br />

La legge stabilisce che la RTV possa<br />

svolgere due funzioni, quella di<br />

pubblica utilità e funzioni commerciali.<br />

Tra le funzioni di pubblica utilità<br />

la RTV slovena deve trasmettere<br />

due programmi TV in lingua slovena,<br />

tre programmi radiofonici, un programma<br />

in lingua italiana radiofonico<br />

e uno televisivo, un programma TV<br />

in ungherese e uno radiofonico in un-<br />

Etnia<br />

Flavio Forlani, presidente della CAN Costiera, e il premier Borut Pahor<br />

a Lubiana lo scorso 23 marzo<br />

gherese. Ciò significa che i programmi<br />

minoritari sono parte del servizio<br />

pubblico che la RTV deve assicurare.<br />

Ciò però è in contraddizione con il<br />

successivo passaggio della legge che<br />

stabilisce che i programmi minoritari<br />

nel suo complesso, vale e dire italiani,<br />

ungheresi e rom, non devono pesare<br />

più del 5 p.c. sul budget della RTV<br />

e che l’RTV, dai propri mezzi, cofinanzia<br />

questi programmi fino al 50<br />

p.c. del loro costo. Il restante 50 p.c.<br />

lo mette lo Stato. Se nell’ambito del<br />

servizio pubblico entrano i programmi<br />

minoritari l’approccio deve essere<br />

capovolto: per cui la RTV dovrebbe<br />

finanziare questi programmi come finanzia<br />

i programmi di RTV SLO 1 e<br />

RTV SLO 2, mentre lo Stato può cofinanziare<br />

questi programmi attraverso<br />

una particolare convenzione RTV-Stato.<br />

Nella nota esplicativa della legge si<br />

dice che con l’entrata in vigore della<br />

presente legge non vi saranno ulteriori<br />

aggravi finanziari per il bilancio dello<br />

Stato. Ed ecco che alcune cose risultano<br />

molto complicate. Lo Stato oggi<br />

stanzia 1,5 milioni e mezzo di euro per<br />

i programmi italiano e ungherese, la<br />

RTV di Slovenia cofinanzia fino al 50<br />

p.c... Ciò vuol dire che per i programmi<br />

minoritari sono previsti 3 milioni<br />

di euro. Ma dai dati che la RTV di Slovenia<br />

comunica soltanto i programmi<br />

italiani inciderebbero sul bilancio con<br />

5-6 milioni di euro all’anno. Il calcolo<br />

è presto fatto: con questa legge ci sarebbe<br />

una riduzione drastica dei programmi<br />

italiani e ungheresi con particolare<br />

danno per gli italiani”.<br />

Le posizioni del Governo...?<br />

“Io ho presentato al premier Pahor<br />

questi problemi, perché sono membro<br />

del Consiglio di programma della RTV.<br />

Mi sarei aspettato una risposta precisa<br />

sulla questione. Tra l’altro gli ho anche<br />

detto che quest’anno per la prima volta<br />

i programmi italiani vanno incontro<br />

ad una riduzione e che per poter mantenere<br />

lo stesso livello, ovvero la medesima<br />

ampiezza, mancano circa 300<br />

mila euro. Su questo mi sarei aspettato<br />

una risposta che non c’è stata.<br />

Un altro punto qualificante è la nascita<br />

del Comune di Ancarano che va<br />

a intaccare i diritti acquisiti dalla CI a<br />

Capodistria e rischia di indebolirla ulteriormente<br />

e su questo la delegazione<br />

è stata molto chiara.<br />

Sul bilinguismo e sul clima, mi dispiace<br />

dirlo, non favorevole agli italiani,<br />

la preoccupazione del premier era<br />

quella di capire se addebitiamo la colpa<br />

di questo clima al Governo o ad altri<br />

elementi. Ne abbiamo parlato, però<br />

va detto che un clima indubbiamente<br />

ostile esiste.<br />

Questo è stato un primo incontro<br />

conoscitivo, adesso aspettiamo la risposta”.<br />

Se per un primo incontro ci sono<br />

voluti 15 mesi... quanto bisognerà<br />

attendere per le risposte?<br />

“Il premier ha assunto l’impegno di<br />

rispondere e ha annunciato che tra sei<br />

mesi ci rincontreremo. Questo Governo<br />

ha posizioni molto diverse all’interno<br />

della coalizione e quindi capisco<br />

che ci sono anche altre priorità. Ciò<br />

non toglie che l’impegno del Governo<br />

e la Carta costituzionale non vadano<br />

rispettati”. ●<br />

<strong>Panorama</strong> 9


10 <strong>Panorama</strong><br />

Attualitá<br />

Italia e Russia impegnate in ambiziosi progetti infrastrutturali da realiz<br />

South Stream, sotto l’egida di Eni<br />

a cura di Diana Pirjavec Rameša<br />

Italia e Russia sono impegnate nella<br />

realizzazione di uno dei più ambiziosi<br />

progetti infrastrutturali del<br />

21.esimo secolo: la costruzione del gasdotto<br />

South Stream che attraverso il<br />

Mar Nero dovrà collegare entro il 2015<br />

la Russia all’Italia e a molti altri Paesi<br />

dell’Europa meridionale e centrale.<br />

Di recente, dopo che al progetto<br />

hanno aderito Bulgaria, Grecia, Serbia,<br />

Ungheria, Austria e Slovenia, anche<br />

la Croazia ha avuto luce verde.<br />

Il leader di Gazprom, Alexei Miller,<br />

ritiene che il tratto del South Stream<br />

che deve attraversare la Croazia può<br />

essere collegato dalla Serbia o dalla<br />

Slovenia. Lo studio di fattibilità del<br />

ramo croato dovrebbe essere completato<br />

entro e non oltre il 30 dicembre<br />

di quest’anno, come riferiscono i<br />

media russi. L’accordo intergovernativo<br />

tra Russia e Croazia sulla cooperazione<br />

per la costruzione e lo sfruttamento<br />

del gasdotto sul territorio della<br />

Repubblica di Croazia è stato firmato<br />

agli inizi di marzo a Mosca. Promotori<br />

e realizzatori del progetto del<br />

ramo South Stream croato sono la russa<br />

Gazprom e la croata Plinacro, che<br />

avrà quote paritetiche nella joint-venture<br />

per l’attuazione del progetto. Alla<br />

società possono partecipare i nuovi<br />

azionisti, con la riassegnazione delle<br />

azioni. I fondatori del progetto prenderanno<br />

una decisione sulla costru-<br />

zione del gasdotto entro due anni dalla<br />

data in cui riceveranno lo studio di<br />

fattibilità e, in base ai loro risultati,<br />

Gazprom prenderà in considerazione<br />

la possibilità di aumentare le forniture<br />

di gas naturale della Croazia.<br />

Inoltre il Presidente russo Dmitri<br />

Medvedev e il Primo ministro Vladimir<br />

Putin pare abbiano offerto all’ex<br />

Presidente croato Stjepan Mesic di<br />

gestire la società a cui farà capo il gasdotto<br />

South Stream attraverso la Croazia,<br />

ma bisogna attendere ancora per<br />

avere conferma della notizia.<br />

Alcuni cenni storici. I piani relativi<br />

a South Stream sono stati ufficialmente<br />

pubblicati il 23 luglio 2007, quando<br />

l’amministratore delegato dell’Eni,<br />

Paolo Scaroni, e il Presidente russo<br />

Medvedev hanno firmato a Roma un<br />

memorandum d’intesa. Quattro mesi<br />

dopo Gazprom ed Eni hanno firmato<br />

a Mosca l’accordo di costituzione<br />

della società che dovrebbe effettuare<br />

la commercializzazione e lo studio<br />

di fattibilità tecnica del progetto. Alla<br />

fine di gennaio dell’anno successivo,<br />

Russia e Serbia hanno firmato un memorandum<br />

per la costruzione di una<br />

derivazione su territorio serbo, e il 25<br />

febbraio scorso anche l’accordo che<br />

istituisce la joint-venture, ufficializzato<br />

solo nel mese di dicembre, che si<br />

occuperà della costruzione del gasdot-<br />

to, così come del deposito di stoccaggio<br />

di gas, che si troverà nei pressi del<br />

Banatski Dvor.<br />

La grande novità della intesa italo-russa<br />

è l’aumento della capacità di<br />

trasporto di South Stream non da 31<br />

miliardi a 47 miliardi di metri cubi<br />

all’anno, come si era pensato in precedenza,<br />

ma fino a 64 miliardi di metri<br />

cubi: “Dietro questi numeri si trovano<br />

gli accordi di un grande significato<br />

politico, perché tutto questo gas<br />

arriverà in Europa senza dover più<br />

passare per il territorio dell’Ucraina”,<br />

ha sottolineto l’Amministratore<br />

delegato dell’Eni, Paolo Scaroni.<br />

Grazie all’aumento della capacità del<br />

gasdotto, l’Eni potrà ottenere un supplemento<br />

di 12 miliardi di metri cubi<br />

di gas all’anno, che gestirà e commercializzerà<br />

a propria discrezione.<br />

Per la costruzione di South Stream,<br />

cui parte subacquea sarà lunga 900<br />

chilometri, Gazprom ed Eni costituirono<br />

nel 2007 su base paritetica una<br />

joint venture, mentre la realizzazione<br />

tecnica sarà affidata a Saipem, l’unica<br />

società al mondo capace di posare<br />

i tubi di grande diametro sul fondale<br />

marino a una profondità che in alcune<br />

zone supera i due mila metri. Dalle<br />

stazioni di compressione “Beregovaja”<br />

nel territorio russo, il gasdotto<br />

passerà per il Mar Nero, fino alla città<br />

bulgara di Varna, dopodiché si dividerà<br />

in due sezioni di cui una andrà<br />

verso il nord-ovest, in Serbia, Ungheria<br />

e Austria, mentre l’altra in direzione<br />

sud-occidentale passerà per il<br />

territorio della Grecia e attraverso il<br />

Mare Adriatico, porterà del gas russo<br />

in Italia.<br />

Paolo Scaroni, nel corso di una<br />

conferenza sull’energia tenuta a<br />

metà marzo negli Stati Uniti, ha proposto<br />

di unire una parte del percorso<br />

dei gasdotti Nabucco e South Stream.<br />

“Se tutti i partner decidessero<br />

di unire alcuni percorsi dei due oleodotti,<br />

saremmo in grado di ridurre<br />

la quantità degli investimenti, il costo<br />

dei posti di lavoro e aumentare i<br />

ricavi. Un unico gasdotto collegherà<br />

i principali consumatori europei e i<br />

più importanti fornitori”.


zarsi entro il 2015<br />

e Gazprom<br />

Il gasdotto South Stream, sviluppato<br />

dalla Gazprom russa, l’italiana<br />

Eni e la francese EDF, collega la città<br />

russa di Novorossiysk alla città bulgara<br />

di Varna sul Mar Nero, per poi di<br />

dividersi in due rami che attraversano<br />

i Balcani per raggiungere Italia e Austria.<br />

Il progetto Nabucco (tratta più<br />

lunga e più costosa) dovrebbe trasportare<br />

gas naturale dal Mar Caspio verso<br />

l’Europa bypassando la Russia. Con<br />

una capacità di 31 miliardi di metri<br />

cubi di gas all’anno, l’oleodotto attraverserà<br />

l’Azerbaigian, Georgia, Turchia,<br />

Bulgaria, Ungheria, Romania e<br />

Austria. Nell’ottica in cui la Romania<br />

sia anch’essa partner del South Stream,<br />

si viene così a creare un perfetto<br />

parallelismo delle due condutture, che<br />

confermano la tesi dell’Eni.<br />

L’idea di fondere i due percorsi è<br />

stata salutata come un’idea “interessante”<br />

anche dall’attaché dell’ambasciatore<br />

Richard Morningstar, inviato<br />

speciale degli Stati Uniti per l’energia.<br />

“È un’idea interessante che merita<br />

ulteriori discussioni e considerazioni<br />

ed è importante che tale questione<br />

abbia iniziato ad essere discussa”,<br />

ha detto Morningstar durante un<br />

incontro con i giornalisti alla Farnesina.<br />

Tale posizione ottimistica è stata<br />

espressa anche dal segretario generale<br />

del Ministero degli Esteri, l’ambasciatore<br />

Giampiero Massolo, il quale<br />

ha affermato che le parti hanno iniziato<br />

a discutere, anche se non c’è ancora<br />

una risposta. ●<br />

di Luca Dessardo<br />

Attualitá<br />

Riflessioni in cornice<br />

Di alluvioni e altre sponde<br />

Omosessualità. Un tema ricorrente, comodo per un discorso al bar come<br />

alla TV, e del quale si parla dai pulpiti delle chiese come dai palcoscenici<br />

della politica. Tra una generica chiacchierata sui cambiamenti climatici<br />

e la decadenza morale del secol nostro, in qualche modo si trova sempre<br />

il pretesto per metterci dentro anche le persone gay.<br />

Partiamo dal tempo, classico argomento sul quale si può ripiegare nei<br />

momenti di imbarazzante silenzio. La crescente libertà di dichiarare la propria<br />

sessualità senza il timore di venire lapidati mette agitazione nei circoli<br />

religiosi più radicali. Così, ciò che dovrebbe venire considerato come<br />

una libertà conquistata, è per alcuni un sintomo del degrado della società<br />

odierna, sempre più simile a quella sodomita (di Sodoma). E proprio qui si<br />

nasconde il perverso nesso con le calamità naturali, che diventano nientemeno<br />

che una punizione divina per i nostri comportamenti. Non a caso<br />

dopo le devastazioni provocate a New Orleans dall’uragano Katrina c’era<br />

anche chi ha apertamente individuato negli omosessuali la causa scatenante<br />

dell’ira di Dio. Lasciando in pace il Signore, arriviamo al Papa, accusato<br />

due settimane fa dallo scrittore Aldo Busi di essere un omofobo e,<br />

in quanto tale, un omosessuale represso. Se l’accusa di omofobia nei confronti<br />

della Chiesa potrebbe in un primo momento anche sembrare intelligente,<br />

visti i tempi da talk show che corrono, dire invece che il Santo Padre<br />

sia un omosessuale represso è una provocazione gratuita di dubbio gusto.<br />

Ritornando alla Chiesa in generale, bisogna notare che su certe questioni<br />

rimane tradizionalmente conservatrice, ma ciò non è necessariamente sbagliato.<br />

Dovrebbe forse la religione piegarsi sempre e comunque alla mania<br />

secolarizzante? Certamente è fastidioso per un omosessuale vedersi privato<br />

dei sacramenti che definiscono la sua fede, ma credendo la Chiesa santa<br />

cattolica ed apostolica sceglie anche questa privazione - purché rimanga<br />

sempre nell’ambito della confessione e non incida anche sulla vita civile.<br />

Una fede individuale piuttosto che una religione politica, è questa la vera<br />

conquista della secolarizzazione, non già la castrazione della religione che<br />

deve invece, insegna Kierkegaard, essere sempre scandalosa.<br />

Il vero problema si manifesta quando l’intolleranza religiosa diventa anche<br />

intolleranza civile. Utilizzare lo spauracchio dell’inferno (come quello<br />

dantesco, dove i “peccatori contro natura” sono tormentati da una continua<br />

pioggia di fuoco) per stigmatizzare gli omosessuali ovunque si trovino:<br />

è questo l’aspetto obsoleto e degradante della religione. Questo genere di<br />

indottrinamento è alla base, ad esempio, delle ridicole parole dell’ex comandante<br />

NATO John Sheehan, il quale ha individuato nei soldati gay delle<br />

truppe olandesi dell’ONU la ragione per il mancato impedimento del massacro<br />

di Srebrenica. Condannare pratiche omosessuali non è come condannare<br />

un aborto, che può essere visto anche come omicidio, o l’eutanasia.<br />

L’omosessualità non è una patologia dannosa al prossimo come la pedofilia,<br />

oppure un feticcio scelto perché di moda. Si tratta invece della caratteristica<br />

che definisce la sessualità di una persona, esattamente come l’eterosessualità:<br />

né norma né devianza. Biologicamente va notato che esiste pure<br />

negli animali: se poi l’uomo ha il pretesto di vedersi superiore, in tal caso<br />

va da sé che neppure la sua orientazione sessuale dovrebbe, come negli animali,<br />

essere definita dal mero bisogno di riprodursi. Se la nostra indole ci<br />

spinge a indirizzare quel qualcosa in più che chiamiamo amore verso una<br />

persona dello stesso sesso non mi sembra un problema, né civile né tantomeno<br />

etico. Perché allora continuare a guardarlo con biasimo? ●<br />

<strong>Panorama</strong> 11


12 <strong>Panorama</strong><br />

Italia<br />

Nelle elezioni regionali l’alleanza di centrodestra passa da 2 su 11 a 6 su 7<br />

Berlusconi rimonta, Lega a valanga<br />

a cura di Bruno Bontempo<br />

Sono sceso in campo e questa è<br />

la mia vittoria, ha confidato Silvio<br />

Berlusconi quando è diventato<br />

definitivo anche l’ultimo dato,<br />

quello più atteso, che a sorpresa ha<br />

attestato la vittoria di Renata Polverini<br />

su Emma Bonino: il centrodestra<br />

ha battuto al fotofinish il Pd anche in<br />

Lazio ed in Piemonte, dove Roberto<br />

Cota ha avuto la meglio su Mercedes<br />

Bresso. E con le vittorie in Lombardia,<br />

Veneto, Campania e Calabria, il<br />

premier sente di aver vinto in pieno<br />

la scommessa fatta gettandosi anima<br />

e corpo nella campagna elettorale,<br />

nonostante le inchieste giudiziarie,<br />

le baruffe tra alleati, le arrabbiature<br />

sulla mancata presentazione delle liste<br />

Pdl in Lazio, le liti sul milione di<br />

piazza San Giovanni.<br />

Mentre la Polverini festeggiava la<br />

vittoria in Piazza del Popolo a Roma<br />

e prima di tutto ringraziava il premier<br />

che per lei si era speso in campagna<br />

elettorale, Berlusconi tornava a Palazzo<br />

Grazioli e gustava fino in fondo<br />

quella che sente anche come una<br />

vittoria sua personale, un’investitura<br />

forte ad andare avanti<br />

nei prossimi tre anni di governo,<br />

decisivi per le riforme.<br />

L’astensionismo record (ha votato<br />

il 64,2 p.c. degli aventi diritto)<br />

che preoccupava il premier<br />

non si è rivolto come in<br />

Francia solo contro il Governo,<br />

ma ha penalizzato anche<br />

l’opposizione. Non spaventa il<br />

premier il successo della Lega,<br />

“alleato fedele” con cui stringere<br />

un rapporto sempre più<br />

forte e con il quale “si vince”.<br />

Il Carroccio ha fatto cappotto<br />

nel Veneto con Luca Zaia, ha<br />

vinto il testa a testa in Piemonte<br />

con Roberto Cota, si è irrobustito<br />

in Lombardia e in tutto<br />

il Nord produttivo. Ma se è<br />

vero che i voti si pesano e non<br />

si contano, le sei regioni conquistate<br />

dal Pdl, per numero di<br />

abitanti e prodotto interno lordo,<br />

consentono a Berlusconi di<br />

andare a testa alta al confronto con<br />

gli avversari di centrosinistra, che nel<br />

loro carniere hanno sette governatori.<br />

E in più consentono al centrodestra<br />

di avere la maggioranza nella Conferenza<br />

Stato Regioni, cosa della quale<br />

il Cavaliere è particolarmente felice.<br />

Il presidente del Consiglio non<br />

è riuscito a contenere la gioia per la<br />

vittoria nel Lazio, arrivata nonostante<br />

l’“assurda esclusione” della lista<br />

del Popolo delle Libertà, quindi del<br />

partito di maggioranza relativa. Berlusconi<br />

è quindi contento e si mostra<br />

affatto preoccupato del successo<br />

di Bossi, l’alleato che ha portato<br />

con sé sul palco di piazza San Giovanni.<br />

Il Carroccio ha fatto en plein<br />

con un’identità più forte e marcata di<br />

quella del Pdl, adesso certo chiederà<br />

di accelerare sull’attuazione del federalismo<br />

fiscale. Avrà forse pretese sul<br />

ministero dell’Agricoltura che Zaia<br />

lascia, quando tra qualche settimana<br />

si riaprirà il giro di poltrone che dovrebbe<br />

includere anche la guida delle<br />

Ferrovie dello Stato, altri sottosegretari<br />

e ministeri. Ma Berlusconi si<br />

fida e preferisce gioire del risultato<br />

leghista. Anche se c’è già chi parla<br />

di diarchia Berlusconi-Bossi, il Cavaliere<br />

sa che ora nessuno potrà metterlo<br />

sulla graticola per aver investito<br />

con la sua spada candidati leghisti<br />

in Veneto e Piemonte. Né gli dispiacciono<br />

gli spazi sottratti al Pd e conquistati<br />

dalla Lega nelle regioni del<br />

centro-nord, tradizionalmente di centrosinistra.<br />

In Emilia Romagna, Toscana,<br />

Umbria, Marche e Basilicata<br />

la sconfitta della maggioranza è stata<br />

secca, ma era stata messa in conto,<br />

visti i candidati di bandiera schierati<br />

in campo. Nette invece le vittorie<br />

dei candidati di centrodestra in Campania,<br />

Stefano Caldoro, e in Calabria,<br />

Giuseppe Scopelliti. In Puglia,<br />

di certo il ministro Raffaele Fitto<br />

dovrà rendere conto al premier della<br />

sconfitta del suo beniamino, Rocco<br />

Palese, che Berlusconi ha obtorto<br />

collo dovuto preferire ad Adriana<br />

Poli Bortone, poi diventata candidata<br />

governatrice dell’Udc. Berlusconi si<br />

consola tuttavia pensando che l’Udc<br />

non è stato determinante come pretendeva<br />

e Pier Ferdinando Casini ha<br />

visto sconfitta la sua politica nelle regioni<br />

dove ha messo in campo<br />

la suggestione del laboratorio<br />

politico con la sinistra. Intanto<br />

il risultato peserà certamente<br />

nei rapporti tra Berlusconi ed il<br />

co-fondatore Gianfranco Fini,<br />

che durante la campagna elettorale<br />

ha fatto pesare più di un<br />

distinguo rispetto al premier ed<br />

ha annunciato, a sole due settimane<br />

dal voto, la nascita del<br />

nuovo pensatoio Generazione<br />

Italia. In vista dei prossimi tre<br />

anni di governo, decisivi per le<br />

riforme, Berlusconi e Fini dovranno<br />

rinegoziare i rispettivi<br />

spazi nel Pdl ed il risultato<br />

delle regionali - che il premier<br />

ha molto personalizzato senza<br />

timore di contraddire Fini<br />

su temi come l’immigrazione -<br />

avrà certo il suo peso. E per il<br />

Cavaliere adesso anche chi più<br />

gli è lontano tra gli ex di An<br />

non potrà non riconoscergli la<br />

leadership. ●


Italia<br />

Dopo le regionali Berlusconi ha motivo per gioire ma dovrà fare i conti con le nuove “pretese” di Bossi<br />

Campagna elettorale, l’Isola dei famosi della politica!<br />

N ella<br />

lunga attesa dei dati ufficiali, l’unica certezza<br />

è stata da subito la vittoria dell’astensione: mai<br />

nella storia della Repubblica si è avuto un così scarso<br />

afflusso alle urne con una defezione che fa riflettere,<br />

registrata soprattutto nel Lazio (-12). Di certo ha pesato<br />

l’intervento del Vaticano che con i suoi appelli al<br />

voto per la tutela della vita (quindi contro la Bonino)<br />

ha alimentato i sensi di colpa dell’elettorato cattolico<br />

di centrosinistra che evidentemente ha preferito rinunciare.<br />

Anche il caso politico-giudiziario che ha investito<br />

la lista del Pdl (assente sulla scheda), può aver<br />

agito da deterrente. C’è chi ha notato che la campagna<br />

elettorale per le regionali è stata la “più brutta”<br />

di sempre. Per mille motivi, non ultimo l’approccio<br />

troppo autoreferenziale delle forze politiche che hanno<br />

prestato poca e distratta attenzione ai reali problemi<br />

dei cittadini in un momento in cui la crisi economica<br />

miete la forza-lavoro. Anche il livello dello scontro<br />

elettorale ha contribuito a quella delegittimazione della<br />

politica, “punita” con il non-voto.<br />

Il virus dunque si è diffuso e ha colpito anche il centrosinistra<br />

il cui elettorato è sempre stato ritenuto molto<br />

più motivato e organizzato rispetto a quello più giovane<br />

e un po’ ballerino del centrodestra. Strafelice, come<br />

si è detto, Bossi che pur non avendo operato il sorpasso<br />

al Nord (La Russa ha potuto annunciare che non dovrà<br />

quindi mangiarsi un asino vivo) ha fatto il pieno storico<br />

di voti avvicinandosi al 13 p.c. A fronte di un Pdl in<br />

“tenuta”, come ha velenosamente osservato il senatur, la<br />

Lega si è “scatenata” mentre la sinistra è andata a “picco”.<br />

Esagerazioni padane, ovvio, ma sicuramente Bossi<br />

farà fruttare politicamente la performance leghista: già<br />

ha prenotato la poltrona della Moratti, e intende conservare<br />

per il suo partito il ministero dell’Agricoltura inizialmente<br />

destinato alla staffetta con Galan.<br />

La disaffezione al voto da parte degli italiani è colpa<br />

di una classe politica “sguaiata, da Isola dei famosi”. Il<br />

sociologo Francesco Alberoni non considera “catastrofici”<br />

i dati di affluenza alle urne ma l’astensionismo abbastanza<br />

alto dimostra “il profondo disgusto degli italiani<br />

per il dibattito politico. La classe politica - afferma il<br />

noto sociologo - è troppo sguaiata, senza distinzioni di<br />

parti. I politici ormai si sparano tra di loro, escludendo<br />

la popolazione che avrebbe voluto sentirsi dire ben altro.<br />

Vedere i dibattiti nella tv generalista è stato un po’ come<br />

assistere ad una Isola dei famosi della politica. Il fatto è<br />

che non si possono fare dei dibattiti sui processi e sulle<br />

chiassate. Vanno riviste le regole, almeno in campagna<br />

elettorale”. L’astensionismo italiano, comunque, non ha<br />

nulla a che vedere con quello francese: “Lì hanno punito<br />

Sarkozy, qui si era disgustati dal chiacchiericcio politico,<br />

dagli scandali. La gente avrebbe voluto risposte per<br />

i problemi reali. In alcuni casi, assistendo ai dibattiti televisivi<br />

in campagna elettorale, ho avuto la sensazione<br />

di assistere agli scontri del ‘48: il bene contro il male, le<br />

escort in primo piano. L’accanimento. Cose che hanno<br />

creato disgusto”.<br />

“Gli italiani sono troppo presi dalle difficoltà crescenti<br />

di far quadrare i bilanci familiari, di mantenere un livello<br />

di benessere e far fronte alle esigenze cogenti, a<br />

partire da quelle che riguardano il futuro dei figli. Siamo<br />

talmente presi dalle esigenze private e familiari da perdere<br />

di vista la dimensione pubblica e la responsabilità collettiva”<br />

è invece l’opinione di Massimo Di Giannantonio,<br />

docente di psichiatria all’università di Chieti - spiega<br />

-. “È prevalsa l’attenzione al proprio particulare rispetto<br />

al generale, al pubblico. Ma nelle competizioni internazionali<br />

vince, invece, la coesione della struttura politica,<br />

tenuta a rigenerarsi e a offrire soluzioni ai problemi della<br />

gente, a partire dal lavoro per i giovani”. ●<br />

<strong>Panorama</strong> 13


14 <strong>Panorama</strong><br />

Societá<br />

Sprecata sistematicamente nei paesi avanzati, agognata nelle aree più<br />

Acqua, un fermo diniego alla priv<br />

di Marino Vocci<br />

In questi primi giorni di primavera,<br />

ho camminato nell’Alto Buiese,<br />

tra Filaria e Ceppi, insieme<br />

ad amiche e amici triestini e istriani,<br />

lungo il percorso geologico naturalistico<br />

dedicato al grande studioso del<br />

Carso, Carlo D’Ambrosi, alla scoperta<br />

di una parte della grande storia<br />

dell’acqua. Immerso in questo mondo<br />

così particolare, ancora una volta<br />

ho capito che la diversità è ricchezza<br />

e soprattutto bellezza, e che l’acqua<br />

è un bene universale che dobbiamo<br />

difendere, tutelare e valorizzare,<br />

non solo quest’anno celebrativo, ma<br />

a partire da oggi, per sempre.<br />

Partiamo da subito! Da questo<br />

2010 che l’Assemblea generale delle<br />

Nazioni Unite ha deciso di proclamare<br />

anche Anno internazionale della biodiversità.<br />

Dobbiamo quindi intervenire<br />

con azioni concrete da realizzare<br />

pure a livello locale, con l’obiettivo<br />

di contribuire a sensibilizzare il più<br />

possibile, la nostra società in merito<br />

all’importanza della diversità biologica.<br />

La scelta, nata nel 2006, è dovuta<br />

alla forte preoccupazione che la perdita<br />

di biodiversità avrebbe sul nostro<br />

pianeta e quali conseguenze sociali,<br />

economiche, ecologiche e culturali<br />

tale perdita comporterebbe. La scelta,<br />

inoltre, del 2010 non è un caso: infatti<br />

le parti che hanno sottoscritto la Convenzione<br />

sulla biodiversità hanno deciso<br />

di puntare su obiettivi ambiziosi<br />

già per questo 2010.<br />

Ricordo poi che il trattato sottoscritto<br />

al vertice mondiale delle Nazioni<br />

Unite tenutosi a Rio de Janei-<br />

ro nel 1992, che è il riferimento più<br />

importante per quanto riguarda i problemi<br />

ambientali e uno dei trattati più<br />

importanti sinora sottoscritti, è stata<br />

proprio la Convenzione sulla diversità<br />

biologica, considerato a ragione il<br />

primo accordo globale per la conservazione<br />

e l’uso sostenibile della biodiversità<br />

che, entrata in vigore il 29 dicembre<br />

1993, fortunatamente ha avuto<br />

immediatamente un ampio e diffuso<br />

consenso.<br />

I tre principali obiettivi della Convenzione<br />

sono: la conservazione della<br />

biodiversità; l’uso sostenibile degli<br />

elementi della biodiversità; la distri-<br />

buzione equilibrata ed equa dei vantaggi<br />

e dei guadagni derivanti dall’uso<br />

delle risorse genetiche (Access and<br />

Benefit Sharing).<br />

Questa Convenzione è una pietra<br />

miliare nel diritto internazionale. Una<br />

scelta lungimirante e intelligente per-<br />

ché è la prima volta che la conservazione<br />

della diversità biologica viene<br />

riconosciuta come “esigenza comune<br />

dell’umanità” e parte integrante dello<br />

sviluppo. E soprattutto perché la Convenzione<br />

è vincolante e i paesi firmatari<br />

sono tenuti a recepirne le disposizioni.<br />

Nello stesso anno del vertice l’Assemblea<br />

generale delle Nazioni Unite<br />

ha istituito nel 1992 la Giornata Mondiale<br />

per l’Acqua, che si tiene il 22<br />

marzo di ogni anno. Nel 2010 si è deciso<br />

di dedicare la Giornata mondiale<br />

dell’acqua al tema della qualità delle<br />

acque.<br />

Alcuni dati sconvolgenti, diffusi<br />

dall’Onu, implicano una lotta davvero<br />

feroce contro la privatizzazione<br />

di questo bene primario: un bambino<br />

ogni 20 secondi muore per malattie<br />

collegate alla qualità dell’acqua;<br />

ci sono molte più persone che muoiono<br />

per l’acqua contaminata, che<br />

per qualsiasi altra forma di violenza,<br />

guerre incluse. “Acqua pulita per un<br />

mondo sano” è lo slogan scelto per<br />

l’edizione di quest’anno.<br />

Secondo l’Oms e l’Unicef, sono<br />

ancora 884 milioni le persone che non<br />

posso contare su un accesso ad un’acqua<br />

protetta da eventuali contaminazioni,<br />

mentre un 39 per cento, cioè 2,6<br />

miliardi, è priva di idonei servizi igienico<br />

sanitari. Questo accade soprattutto<br />

nell’Africa subsahariana e nell’Asia


arretrate del globo<br />

atizzazione<br />

meridionale. È arrivata a quota 87 per<br />

cento invece la popolazione mondiale<br />

che può contare sull’acqua potabile<br />

(5,9 miliardi di persone). Almeno 3,8<br />

miliardi di persone possono bere grazie<br />

ad una rete idrica che arriva dentro<br />

casa, mentre ancora quattro persone<br />

su dieci nell’Africa Sub-sahariana<br />

e la metà della popolazione dell’Oceania<br />

non dispongono di fonti adeguate.<br />

Un grande obiettivo è quello di assicurare<br />

nel 2015 l’acqua per tutti. Abbattendo<br />

gli sprechi dei Paesi “sviluppati”.<br />

Ciascun essere umano necessita da<br />

20 a 40 litri d’acqua pulita al giorno,<br />

che cresce fino a 50 litri se si considera<br />

il bisogno per lavarsi e cucinare. Un<br />

europeo può consumare in media 200<br />

litri di acqua al giorno, che diventano<br />

400 litri per un nordamericano, contro<br />

i 10 litri di una persona povera nei<br />

Paesi in via di sviluppo. Negli Usa si<br />

butta il 30 per cento, l’equivalente di<br />

40mila miliardi di litri, l’acqua necessaria<br />

ai bisogni di 500 milioni di persone.<br />

Ad essere sempre più minacciata<br />

dall’inquinamento è la qualità dell’acqua:<br />

negli ultimi 50 anni l’uomo è diventato<br />

responsabile di una contaminazione<br />

dell’”oro blu” senza precedenti<br />

nella storia. Ogni giorno, nel<br />

mondo vengono riversati nelle acque<br />

del globo due milioni di tonnellate di<br />

liquami e altri scarichi. Il punto è che<br />

costa molto meno proteggere le risorse<br />

idriche che ripulirle dopo averle inquinate.<br />

E con l’aumento della popolazio-<br />

ne, continua la pressione sulle aree urbane.<br />

Per il 2050, le previsioni parlano<br />

di 6,4 miliardi di persone che vivranno<br />

in città, contro i 3,4 miliardi del 2010.<br />

Questa rapida crescita costituirà un’ulteriore<br />

sfida per il sistema di gestione<br />

dei rifiuti e del patrimonio di oro blu<br />

mondiale.<br />

Sono almeno 1,8 milioni i bambini<br />

sotto i cinque anni che muoiono<br />

ogni anno per malattie collegate alla<br />

qualità dell’acqua secondo il rapporto<br />

dell’Unep, il programma Onu sull’ambiente.<br />

“Oltre metà dei letti d’ospedale<br />

nel mondo sono occupati da persone<br />

che hanno malattie derivanti da acque<br />

inquinate”. Inoltre, “si stima che intorno<br />

al 90 p.c.di casi di diarrea, che uccide<br />

ogni anno 2,2 milioni di persone,<br />

sono causati dal bere acqua poco sicura<br />

e da scarsa igiene”.<br />

Ci sono poi due grossi pericoli che<br />

minacciano il nostro futuro; il primo,<br />

gravissimo, è quello della privatizzazione<br />

della risorsa acqua, il secondo<br />

quello dello stato e dell’uso dei fiumi.<br />

Negli ultimi cinquanta anni la maggior<br />

parte dei fiumi italiani, ma non<br />

solo purtroppo quelli italiani, è sta-<br />

Societá<br />

ta aggredita con interventi che hanno<br />

cambiato radicalmente assetto e dinamica:<br />

in molti casi le nostre “vene<br />

blu” sono state trasformate in semplici<br />

canali (penso ad esempio al fiume<br />

Quieto-Mirna nel cuore della nostra<br />

Istria) ignorando che invece si tratta<br />

di complessi ecosistemi regolati non<br />

solo dalle leggi dell’idraulica, ma anche<br />

da quelle della natura. Il risultato<br />

è che la biodiversità di questi ambienti<br />

si è drasticamente ridotta e con essa<br />

la funzionalità ecologica che li caratterizza,<br />

mettendo inevitabilmente a rischio<br />

anche le popolazioni che vivono<br />

nelle aree circostanti.<br />

Ancora un’ultima notizia che è anche<br />

una speranza: alcuni sondaggi recenti<br />

condotti da autorevoli istituti di<br />

ricerca italiani, hanno evidenziato che<br />

in questo momento di sviluppo disordinato<br />

e aggressivo, sono per fortuna<br />

in crescita le persone che credono che<br />

per ragioni economiche, ecologiche,<br />

sociali e culturali, sia necessaria scegliere<br />

la decrescita. Meno male!, Un<br />

mondo migliore è possibile per tutti,<br />

se tutti crederanno e lavoreranno per<br />

un mondo migliore.●<br />

<strong>Panorama</strong> 15


16 <strong>Panorama</strong><br />

Echi di storia<br />

A Santa Caterina, alle spalle di Fiume, gli impianti militari si presentano anc<br />

Chi dovevano fermare quelle fort<br />

di Franco Gottardi<br />

Per qualche inspiegabile motivo,<br />

negli anni Trenta, a Santa<br />

Caterina, sulle alture a nord<br />

dell’abitato di Fiume, vennero costruite<br />

diverse fortificazioni. Si trattava<br />

di grosse opere, soprattutto sotterranee,<br />

dalle quali emergevano le postazioni<br />

per i cannoni. La prima parte<br />

era rivolta verso il mare, forse per<br />

contrastare un ipotetico attacco navale<br />

o forse anche per cannoneggiare<br />

Sušak nel caso che le truppe jugoslave<br />

attaccassero Fiume attraverso il<br />

Ponte oppure attraverso il Delta. Verso<br />

sud-est invece, altre fortificazioni<br />

puntavano le bocche da fuoco verso<br />

l’entroterra jugoslavo. Nell’uno<br />

come nell’altro caso l’opera aveva<br />

ben poche giustificazioni: il confine<br />

segnato dall’Eneo era, dalla parte italiana,<br />

molto scosceso ed un assalto<br />

sarebbe stato meglio rintuzzabile da<br />

forze ed armi di fanteria. Proseguendo<br />

lungo le colline, seguendo il corso<br />

dell’Eneo, su un cucuzzolo vi era appostata<br />

una batteria alpina da 100/17.<br />

La sua collocazione sarebbe facile da<br />

individuare ancor oggi, dato che si<br />

trova esattamente a nord del laghetto<br />

di Drenova.<br />

Cercare di spiegare perché queste<br />

opere siano state fatte è ancor più difficile<br />

se si pensa che dalla parte volta<br />

verso l’Istria non vi era nessuna forti-<br />

La postazione d’artiglieria ripresa dall’interno. Non molto tempo fa il comitato<br />

locale di Brašćine-Pulac aveva organizzato una ricognizione all’interno<br />

delle strutture (le foto sono di Igor Kramarsich)<br />

ficazione. Invece proprio quella parte<br />

si sarebbe meglio prestata ad un assalto,<br />

dato che si trattava di zona pianeggiante<br />

o di basse colline. Anche<br />

la penetrazione dalla parte della Val<br />

Scurigne, sarebbe stata facile, eppure<br />

non vi era stata apprestata nessuna<br />

difesa particolare.<br />

Dopo l’8 settembre le fortificazioni<br />

vennero affidate a truppe della<br />

RSI inizialmente sistemate al bagno<br />

Quarnero, sul Molo Lungo (diga Cagni),<br />

ed armate di mitragliere contraeree<br />

da 20 mm. Dopo il primo bombardamento,<br />

constatata la loro totale<br />

inutilità, le truppe vennero spostate<br />

sulle fortificazioni volte verso il<br />

mare e poi, pochi mesi prima della<br />

fine del conflitto, su quelle che volgevano<br />

all’entroterra.<br />

Questi reparti costituivano un<br />

esercito raccogliticcio e con ben poca<br />

A distanza di sei decenni e mezzo dalla cessazione dell’impiego, grazie anche all’ottima ventilazione naturale,<br />

l’interno della ramificata struttura militare sotterranea è ancora molto ben conservato


or sempre in ottimo stato<br />

ificazioni?<br />

velleità combattiva. Erano prevalentemente<br />

formati da ragazzi lombardi<br />

e piemontesi, presi nelle retate e arruolati<br />

con la forza per essere poi portati<br />

a Fiume, soprattutto con l’idea di<br />

isolarli dai partigiani italiani. La disposizione<br />

funzionò solo in parte dato<br />

che alcuni, forse 3 in tutto, disertarono<br />

per unirsi ai partigiani di Tito. Il<br />

loro spirito è ben descritto dai suggerimenti<br />

che davano per come rispondere<br />

al giuramento collettivo di fedeltà.<br />

Invece di rispondere “lo giuro!“ si<br />

sarebbe dovuto dire “l’ho duro!“.<br />

I fiumani qui erano pochi e forse<br />

un po’ più motivati politicamente, o<br />

almeno pervasi da un qualche spirito<br />

nazionalistico. Quelli che si sentivano<br />

fortemente animati da spirito patriottico<br />

e fascista si arruolavano nella<br />

milizia o nella X Mas. Per quelli<br />

I camminamenti in verticale che<br />

conducevano all’esterno<br />

assegnati alle fortezze si trattava soprattutto<br />

di ragazzi che avevano fatto<br />

una scelta che garantisse di non essere<br />

mandati lontano dalla città: si temeva<br />

che persone giovani ed in buona<br />

salute, arruolati nell’organizzazione<br />

Todt, venissero mandati molto<br />

lontano. Il timore non era infondato,<br />

infatti due compagni di scuola degli<br />

arruolati nella RSI, Fiore Bruzzese e<br />

Gianni Contus, furono mandati lontano<br />

ed ebbero molte traversie per<br />

tornare a casa alla fine del conflitto.<br />

Alcuni sottufficiali erano vecchi fiu-<br />

mani, precedentemente inseriti nella<br />

contraerea, DICAT, che pure, con tutta<br />

probabilità, avevano preferito questa<br />

collocazione per essere più al sicuro.<br />

La vita di questo esercito raccogliticcio<br />

si svolgeva tranquilla e<br />

senza pericoli. I bombardamenti della<br />

città mai interessarono le parti collinari<br />

di Cosala, Santa Caterina e Drenova,<br />

e comunque i soldati in quelle<br />

circostanze erano ben rintanati nelle<br />

viscere delle fortificazioni. Verso la<br />

fine del conflitto, nel mese di febbraio<br />

’45 arrivarono altre reclute. Erano<br />

prevalentemente triestini, portati<br />

a Fiume quasi come in una sorta di<br />

internamento e costituirono la 41.esima<br />

batteria allievi. Tra di loro c’era<br />

anche il noto musicista Lelio Luttazzi.<br />

Verso la fine del conflitto i soldati<br />

erano stabilmente alloggiati nei sotterranei<br />

forse per essere avvenuti mitragliamenti<br />

e spezzonamenti (forse<br />

20/04/45). Raramente i cannoni,<br />

75/27, vennero usati se non per esercitazioni<br />

contro bersagli marittimi.<br />

Un rimorchiatore trainava con una<br />

lunghissima fune una barca che faceva<br />

da bersaglio; non risulta che venisse<br />

mai colpita.<br />

I partigiani di Tito che avevano<br />

particolare fretta per arrivare a Trieste,<br />

si avvicinarono all’abitato di Fiume<br />

solo ai primi di maggio, quando<br />

da diversi giorni la radio aveva annunciato<br />

che i tedeschi avevano lasciato<br />

Milano. Al loro arrivo i can-<br />

Echi di storia<br />

Una delle postazioni che conteneva i pezzi d’artiglieria (foto Lucio Vidotto)<br />

noni spararono contro truppe che si<br />

trovavano nella piana a nord di Tersatto.<br />

Tutti i non fiumani approfittarono<br />

di quel momento per darsi alla<br />

fuga in modo disordinato e senza le<br />

armi. Credo che la loro condizione di<br />

non collaboratori fosse nota e non risulta<br />

che ebbero difficoltà per rientrare<br />

a casa. La loro fuga era stata preceduta<br />

da quella degli ufficiali e dei<br />

vecchi sottufficiali. I giovani fiumani,<br />

più astutamente, se ne andarono<br />

armati ed inquadrati come se dovessero<br />

andare in città per una missione.<br />

Un drappello di dieci ragazzi, al<br />

comando di un giovane sergente fiumano,<br />

B.A.C. detto Pippo, passò al<br />

controllo tedesco all’entrata in città,<br />

che chiese: “Ist der Weg zum Zenter<br />

frei?“. La risposta fu “Jawohl!“. Poco<br />

dopo, dalle parti della casa Balilla,<br />

ognuno se ne andò a casa sua. Alcuni<br />

gomilari nascosero i moschetti e<br />

poco dopo li ripresero per diventare<br />

partigiani di Tito.<br />

Tutta la storia sembra in qualche<br />

modo rievocare il vecchio detto fiumano,<br />

che riporto dal folclore fiumano<br />

di Gigante:<br />

Servir l’imperator<br />

xe el più grande onor<br />

servir el re de Ungheria<br />

ognidun voleria<br />

Morir per lori in guera<br />

né per mar, né per tera:<br />

la panza per i fighi<br />

e lassali che i zighi<br />

<strong>Panorama</strong> 17


18 <strong>Panorama</strong><br />

Interviste<br />

Miljenko Jergović, intervistato in occasione di una sua visita in Italia per pres<br />

Nei Balcani le illusioni ti aiutan<br />

Già qualche mese fa lo scrittore<br />

Miljenko Jergović ha fatto<br />

capire che vivere in Croazia,<br />

dove si è rifiugiato nei duri anni della<br />

guerra in Bosnia, stava diventando<br />

sempre più difficile. Interpellato<br />

non aveva precisato perché l’ambiete<br />

culturale e massmediologico dove<br />

opera con successo da anni gli è diventato<br />

un po’ stretto... Poi qualche<br />

mese dopo lo ha spiegato alla giornalista<br />

Azra Nuhefendić, pure lei originaria<br />

di Sarajevo, che lo ha intervistato<br />

per “Osservatorio sui Balcani”<br />

in occasione di una sua visita in<br />

Italia dove ha presentato il suo ultimo<br />

libro “Freelander”. Proponiamo<br />

un estratto.<br />

L’eroe del suo nuovo libro è tormentato<br />

da un’idea: “Se avessi fatto<br />

diversamente, non sarebbe successo…”.<br />

C’è un riferimento autobiografico?<br />

“Sì. Penso che una cosa simile accada<br />

a ognuno di noi nei momenti in<br />

cui si fanno i conti con le decisioni<br />

importanti della nostra vita, ma anche<br />

nella semplice quotidianità. Per<br />

esempio se a uno capita di sfregiare<br />

la portiera dell’automobile, oppure<br />

di rompere il fanalino posteriore,<br />

pensa che tutto ciò non sarebbe accaduto<br />

se fosse rimasto a casa o fosse<br />

andato al lavoro in tram. Gli uomini<br />

sono avvezzi a pensare in questo<br />

modo. Addirittura si potrebbe sostenere<br />

che ogni ritorno al passato, o anche<br />

solo un ricordo, non sia altro che<br />

un triste pensiero su come ogni cosa<br />

sarebbe andata diversamente se solo<br />

avessimo fatto esattamente l’opposto<br />

di quello che abbiamo fatto”.<br />

Lei è molto noto in Italia, e la<br />

Sua scrittura molto apprezzata. La<br />

paragonano ad Andrić, Selimović,<br />

Kiš. È contento di se stesso come<br />

autore?<br />

“Non ho una risposta pronta a<br />

questa domanda. Sono sempre più<br />

contento degli scrittori che leggo.<br />

Per quanto riguarda i paragoni, la<br />

gente ti paragona spesso ad un altro<br />

che ha letto e che conosce come<br />

scrittore. In Italia sono noti Andrić,<br />

Selimović e Kiš, e io, naturalmente,<br />

sono molto contento di simili paragoni,<br />

mi lusingano”.<br />

Benché originario di Sarajevo<br />

Lei vive a Zagabria. Si sente mai<br />

come l’eroe del suo ultimo libro,<br />

ovvero “l’uomo più solo del mondo”?<br />

“Vivo a Zagabria in una situazione<br />

molto interessante dal punto di<br />

vista sociale ed emotivo. Sono andato<br />

via molto tempo fa, 17 anni or<br />

sono, quando per molti aspetti Sarajevo<br />

era un’altra città. Oggi, quando<br />

vi ritorno, non mi pare più di tornare<br />

nella mia città, di essere tornato a<br />

casa. A Zagabria, invece, non mi sento<br />

affatto come se fossi a casa mia,<br />

perché qui non sono nato, qui non<br />

mi sono formato e, tra l’altro, sono<br />

molto spesso esposto a feroci attacchi<br />

di stampo sciovinistico nelle<br />

campagne della stampa o della televisione<br />

e contestato dai vertici politici<br />

(fatto molto interessante visto che<br />

non sono un uomo politico, né nutro<br />

la benché minima aspirazione di occuparmi<br />

mai di politica). In queste<br />

contestazioni viene espresso ad alta<br />

voce l’imperativo categorico che,<br />

per il bene dell’ambiente zagrebese e<br />

di quello croato, io torni là da dove<br />

sono venuto, sicché la città nella quale<br />

vivo per me è ‘l’estero più lontano<br />

del mondo’. Dunque, non mi appartiene<br />

la città dove sono nato e non è<br />

mia la città nella quale vivo. Immagino<br />

che un sentimento del genere sia<br />

condiviso da molti, che non sia io il<br />

solo ad avvertirlo. A prescindere dal<br />

fatto che io abbia la doppia cittadinanza,<br />

croata e bosniaca, e numerosi<br />

lettori in tutti e due gli Stati, oggi<br />

sono un apolide. Forse anche perché<br />

non ho voluto fare una scelta, perché<br />

non ho voluto rinunciare a una città<br />

per conquistare i cuori dell’altra. Nei<br />

Balcani invece questo è un imperativo.<br />

Io però non sono uno che rinuncia<br />

facilmente”.<br />

Il nuovo film che ha girato<br />

(“Viaggio di 3.000 km con la Yugo<br />

rossa”) è, se ho capito bene, la ricerca<br />

della risposta alla domanda:<br />

“Cosa ci è successo?”. Io stessa<br />

provengo dalla Bosnia Erzegovi-<br />

na e so che la stessa domanda tormenta<br />

molti dei miei amici, colleghi,<br />

parenti, concittadini, bosniaci<br />

sparsi per il mondo. La rivolgo a<br />

Lei. Cosa ci è successo?<br />

“È una domanda per la quale<br />

ognuno ha una risposta, salvo poi<br />

non accontentarsi mai della risposta<br />

stessa. Una risposta definitiva probabilmente<br />

non esiste nemmeno, ma lo<br />

scopo sociale delle nostre vite sarà<br />

di cercarla, questa risposta, fino alla<br />

fine. Soltanto in questo modo è possibile<br />

sopravvivere decentemente”.<br />

A chi si rivolge mentre scrive?<br />

Cerca di risolvere dilemmi che<br />

sono dentro di sé, oppure si rivolge<br />

ai lettori per informarli, istruirli,<br />

divertirli?<br />

“Penso di non rivolgermi a qualcuno<br />

in particolare. Racconto semplicemente<br />

la mia storia, perché la<br />

considero importante. Lo faccio<br />

spronato dallo stesso motivo per cui<br />

leggo le storie narrate da altri. Credo<br />

che questa sia una delle elementari<br />

caratteristiche umane: narrare<br />

una storia, ascoltarla o leggere quella<br />

narrata da un altro. Senza questo non<br />

si potrebbe andare avanti. Senza storie<br />

narrate probabilmente ci saremmo<br />

trasformati in bestie feroci e crudeli,<br />

che neppure in natura esistono.<br />

Una storia narrata fa sì che la gente<br />

non diventi selvaggia, in essa risiede<br />

il fondamento d’ogni morale, e con<br />

ciò pure il motivo per essere talvolta<br />

buono e gentile”.<br />

Lei non è soltanto scrittore ma<br />

anche giornalista. Pubblica a Zagabria,<br />

a Belgrado, a Sarajevo. Alcuni<br />

dei suoi colleghi hanno rifiutato,<br />

dopo la guerra, di andare a<br />

Belgrado e in Serbia, considerandole<br />

“la fonte del male”. Lei è stato<br />

invece ospite alla Fiera belgradese<br />

del libro. Non ha problemi ad andare<br />

da coloro che aveva criticato,<br />

accusato?<br />

“Ci vado a Belgrado perché amo<br />

quella città, ma ancor di più perché<br />

nutro l’illusione che così, passo dopo<br />

passo, sto vincendo coloro che hanno<br />

perpetrato crimini in nome di quella<br />

città e di quel popolo. Penso che sia


entare il libro «Freelander»<br />

o a vivere<br />

molto importante avere simili illusioni.<br />

Senza di esse, nei Balcani si vivrebbe<br />

come in una tomba.<br />

Penso di non andare ospite da<br />

quelli che hanno fatto la guerra, che<br />

hanno tenuto Sarajevo sotto assedio o<br />

che hanno distrutto Vukovar e ucciso<br />

a Srebrenica. Vado da altra gente,<br />

tra l’altro vado anche a trovare i miei<br />

amici. Si deve anche accettare il fatto<br />

che bisogna dimenticare molte cose.<br />

Per me non è un grande problema, visto<br />

che non ho mai avuto l’illusione<br />

di far parte della comunità dei giusti.<br />

Se accusassi i serbi per la guerra degli<br />

anni Novanta, e per questo motivo<br />

oggi non andassi più a Belgrado,<br />

mi scontrerei con un notevole problema<br />

interno nello spiegarmi, per<br />

esempio, il fatto che oggi vivo a Zagabria,<br />

nella città che durante la Seconda<br />

guerra mondiale ha perpetrato<br />

un genocidio sostanziale sui serbi e<br />

sugli ebrei, oppure che vivo nella città<br />

in cui all’inizio degli anni Novanta<br />

uccidevano bimbe dodicenni soltanto<br />

perché erano serbe. Penso alla ragazzina<br />

Aleksandra Zec e alla sua famiglia.<br />

I loro assassini, poliziotti e militari<br />

croati, sono stati identificati ma<br />

mai condannati. Alcuni di loro sono<br />

stati, più tardi, anche insigniti con<br />

medaglie. Com’è che si vive in una<br />

tale città? Com’è che si parte per Belgrado,<br />

città dalla quale sono stati inviati<br />

i carri armati per attaccare Vukovar<br />

e gli assassini per Srebrenica?<br />

Alcune di queste amare quanto inevitabili<br />

domande le si potrebbero fare<br />

anche in rapporto a Sarajevo. Naturalmente<br />

non tutte le città sono uguali,<br />

né le colpe e le responsabilità sono<br />

uguali, ma non appena un uomo tenta<br />

d’identificarsi con la comunità dei<br />

giusti o delle vittime, se è intelligente<br />

capirà da solo che sbaglia e che proprio<br />

una simile identificazione rappresenta<br />

la strada verso l’apologia del<br />

crimine. Vado a Belgrado perché amo<br />

quella città, ma ancor di più perché<br />

nutro l’illusione che così, passo dopo<br />

passo, sto vincendo coloro che hanno<br />

perpetrato crimini in nome di quella<br />

città e di quel popolo. Penso che sia<br />

molto importante avere simili illusio-<br />

ni. Senza di esse, nei Balcani si vivrebbe<br />

come in una tomba”.<br />

Lei è stato molto contestato, criticato,<br />

offeso. Rinnegato sia dalla<br />

Bosnia Erzegovina che dalla Croazia.<br />

Ora però entrambi i Paesi sempre<br />

più La rivendicano come proprio.<br />

Lei, in quanto scrittore, a chi<br />

si sente di appartenere?<br />

“Mettiamola in questo modo:<br />

sono scrittore di tutti coloro che mi<br />

leggono in base all’esperienza della<br />

propria madrelingua. Oppure di tutti<br />

coloro che mi considereranno un<br />

loro scrittore. Ma in senso formale,<br />

enciclopedico, io sono uno scrittore<br />

croato e bosniaco-erzegovese. E<br />

per giunta sono ancor felice di questa<br />

duplicità”.<br />

È cominciato il processo a Radovan<br />

Karadžić. Come vorrebbe che<br />

terminasse? Cosa sarebbe giusto<br />

aspettarsi o cosa si aspetta Lei da<br />

quel processo?<br />

“Per lungo tempo durante la guerra,<br />

ma anche dopo, mi coricavo con<br />

l’idea di cosa avrei fatto a Radovan<br />

Karadžić nel caso che lo avessi incontrato.<br />

Nei Paesi un po’ più felici<br />

la gente conta le pecore prima di addormentarsi<br />

o, semplicemente, prende<br />

una pasticca. Una volta che ho<br />

smesso di addormentarmi col pensiero<br />

di Radovan Karadžić, soltanto al-<br />

Miljenko Jergović<br />

Interviste<br />

lora per me la guerra è finita. Penso<br />

che sia stato intorno ai primi anni del<br />

Duemila. Non le dirò cosa mi passava<br />

per la mente perché non pensi che io<br />

sia un orribile sadico, ma le dirò che<br />

mai, proprio mai, trovavo conforto<br />

nell’idea di veder Radovan Karadžić<br />

in Tribunale. A quello di Norimberga<br />

del 1945 sì, certamente, ma a quello<br />

dell’Aja proprio no. Il Tribunale<br />

dell’Aja non funziona, lì non c’è giustizia<br />

per la Bosnia e per i bosniaci,<br />

in quel luogo non sono convinti che<br />

la giustizia per Srebrenica o per Prijedor,<br />

davanti al Signore e davanti<br />

agli uomini, sia uguale alla giustizia<br />

per ogni altro uomo di questo mondo,<br />

provenga da Washington o da Londra.<br />

Loro non credono che un musulmano<br />

morto valga tanto quanto un olandese<br />

morto. Vorrebbero terminare il proprio<br />

lavoro accontentando tutti, e non<br />

deve essere così. Emettono sentenze<br />

in modo da evitare qualsiasi tipo<br />

di catarsi morale, qualsiasi purificazione<br />

in Bosnia, in Croazia, oppure<br />

in qualsivoglia altra parte del mondo.<br />

Tra l’altro, nel Paese e nella città in<br />

cui sale al potere un certo Geert Wilders,<br />

fascista della nuova ora le cui<br />

convinzioni non sono poi molto diverse<br />

da quelle di Radovan Karadžić,<br />

risulta di cattivo gusto giudicare i crimini<br />

di Srebrenica (...)”.●<br />

<strong>Panorama</strong> 19


20 <strong>Panorama</strong><br />

Cinema e dintorni<br />

The hurt locker, di Kathryn Bigelow, si è guadagnato due Oscar sbaragliando A<br />

Guerra, aborrita ma anche tanto<br />

di Gianfranco Sodomaco<br />

È<br />

uscito in questi giorni, per Mondadori,<br />

l’ultimo libro dell’economista-sociologofuturologo<br />

americano Jeremy Rifkin: “La civiltà<br />

dell’empatia”. Seguiamo e conosciamo<br />

da tempo le sue idee sul mondo<br />

globale, sulla “biosfera” come la chiama<br />

lui. Con l’esplosione della “società<br />

informatica” ha incominciato ad immaginare<br />

“La fine del lavoro” (2005),<br />

con il diffondersi delle energie alternative<br />

la nascita di una “Economia<br />

all’idrogeno” (2003) e via di questo<br />

passo. Insomma il Nostro, in soldoni,<br />

pensa che se fossimo un po’ più furbi<br />

e utilizzassimo tutte le potenzialità che<br />

la scienza e la tecnologia oggi ci offrono<br />

potremmo costruire la famosa “società<br />

migliore”. Siccome non è affatto<br />

uno stupido e sa bene che poi, in definitiva,<br />

tutto dipende dalla volontà degli<br />

individui, dei gruppi sociali, degli<br />

Stati, ecc., ecco che ti viene fuori con<br />

questa “civiltà dell’empatia”, cioè con<br />

l’affermazione, detto sempre alla buona,<br />

che l’uomo è sostanzialmente un<br />

“animale sociale” (Aristotele), che è<br />

l’unico animale che muore se non è accudito<br />

e curato, ecc. ecc., e che dunque,<br />

nell’epoca di Internet che sta mettendo<br />

in comunicazione ormai tutto il mondo,<br />

ci sono le condizioni per costruire<br />

una Terza Rivoluzione Industriale, una<br />

società generale fondata sulla condivisione<br />

e sulla cooperazione. E aggiunge<br />

(perché non è un ottimista ingenuo):<br />

“O sarà così oppure, viste le crescenti<br />

crisi energetiche, agricole, politiche,<br />

ambientali, ecc., andremo incontro ad<br />

Il titolo in italiano significa “La cassetta del dolore“, ed è un contentitore nel quale<br />

vengono raccolti gli effetti personali dei soldati americani morti in guerra<br />

una implosione/entropia del globo terracqueo”.<br />

Interessante ma... ma la domanda<br />

è: a cosa son dovute le varie<br />

crisi che caratterizzano il nostro tempo<br />

e che lo mantengono così instabile<br />

e pericoloso? Non sarà, per caso, che<br />

l’uomo non è poi così empatico (socievole)<br />

come il nostro Jeremy crede?<br />

Ovviamente sì!, e con l’aiuto dei<br />

nostri maestri, il giornalista Eugenio<br />

Scalfari e lo psicanalista/filosofo Umberto<br />

Galimberti che sul tema hanno<br />

discusso a distanza sulle pagine de<br />

‘L’espresso’ (4 e 11 marzo), entreremo<br />

nel dettaglio: dopodiché andremo<br />

a vedere The hurt locker, il film che<br />

c’entra e come con questo discorso,<br />

ha vinto l’Oscar in tutti i sensi (miglior<br />

film e miglior regia) e ha sbaragliato<br />

il favoritissimo “Avatar” (ma<br />

noi, se il lettore ce lo concede, indirettamente<br />

l’avevamo previsto...). Scalfari,<br />

4 marzo, è convinto che “la socialità<br />

dell’uomo è una pulsione primaria,<br />

cioè tende ad esaltare la pulsione<br />

‘amorosa’ primaria inconscia<br />

(che convive con quella ‘distruttiva’)<br />

verso gli altri, l’Es di cui aveva par-<br />

lato Freud”; non solo, contrariamente<br />

a Freud, ritiene che essa sia anche<br />

una propensione razionale del nostro<br />

Io, cioè della nostra personalità morale<br />

conscia. Galimberti, 11 marzo, risponde,<br />

proprio commentando il libro<br />

di Rifkin, che sì, che “la socievolezza<br />

umana appartiene alla sua natura biologica<br />

ma che l’empatia funziona, si<br />

radica, solo se c’è fiducia” e aggiunge<br />

che “oggi, nell’epoca della tecnica, la<br />

società non ci chiede, sinteticamente,<br />

una moralità sociale quanto, invece,<br />

una ‘efficienza’ di tipo individualistico,<br />

dunque in definitiva una efficienza<br />

competitiva e conflittuale”.<br />

Non solo, ecco il punto, che il<br />

Freud maturo si spostò, drammaticamente,<br />

sul dualismo fondamentale<br />

Eros-Thanatos, pulsione di vita-pulsione<br />

di morte (pulsione di morte contro<br />

noi stessi e, per evitarla, spostata<br />

contro gli altri). Da qui, aggiungo io,<br />

completamente d’accordo con il “vecchio”<br />

Freud, situazione sociale e personale<br />

sempre instabile, problematica,<br />

difficile, pensando alla perennità delle<br />

guerre, delle infinite e multiformi vio-


vatar (diretto dall’ex marito)<br />

agognata<br />

lenze che caratterizzano le vite vicine<br />

e lontane, ecc. ecc.<br />

E veniamo a “The hurt locker”, di<br />

Kathryn Bigelow, ex moglie di James<br />

Cameron, il regista di “Avatar” (e cominciamo<br />

a capire uno dei motivi della<br />

loro separazione)! La Bigelow ha<br />

concesso in esclusiva a “la Repubblica”<br />

(11 marzo) la sua introduzione alla<br />

sceneggiatura del film, pubblicata da<br />

Newsmarket Press, e scritta da Mark<br />

Boal. Ne riprendiamo alcuni significativissimi<br />

passi.<br />

“Nell’inverno del 2004 - quando<br />

Bagdad era uno dei luoghi più pericolosi<br />

del pianeta, epicentro di esplosioni,<br />

sparatorie e rapimenti quotidiani<br />

- per i pochi giornalisti occidentali<br />

che vi lavoravano quella città divenne<br />

un posto assolutamente letale. Fu con<br />

enorme trepidazione, quindi, che augurai<br />

buona fortuna al mio amico, reporter<br />

e sceneggiatore Mark Boal allorché<br />

mi annunciò di aver deciso di partire<br />

per l’Iraq per seguire la guerra con i<br />

propri occhi. Appassionato di giornalismo<br />

investigativo, Mark aveva messo<br />

gli occhi su una piccola unità delle forze<br />

armate, meglio nota come ‘Explosive<br />

Ordinance Disposal’ (EOD), ovvero<br />

una squadra di artificieri che in quel<br />

periodo rivestiva un ruolo di primaria<br />

importanza nel tentativo dell’esercito<br />

di contenere la crescente minaccia<br />

delle bombe collocate sul ciglio della<br />

strada, i cosiddetti Ied (Improvised<br />

Explosive Devices, dispositivi esplosivi<br />

improvvisati). Tale era il pericolo<br />

legato a quella scelta che, dopo essere<br />

atterrato in Iraq, Mark dovette firmare<br />

su richiesta dei vertici dell’esercito<br />

un accordo di assunzione di responsabilità,<br />

fornire il suo gruppo sanguigno<br />

e scegliere con quale rito fare eventualmente<br />

celebrare il suo funerale...<br />

Bene, dopo aver condiviso per settimane<br />

quella incredibile esperienza (ed<br />

essere sopravvissuto!), Mark, tornato<br />

in America, per farla conoscere ad un<br />

pubblico più vasto, si offrì di scrivere<br />

una sceneggiatura su quello che quasi<br />

sicuramente era il mestiere più pericoloso<br />

che esista... Dopo aver letto la<br />

sceneggiatura di ‘The Hurt Locker’ ho<br />

provato immediatamente la sensazio-<br />

Kathryn Bigelow con l’Oscar per<br />

il film “The Hurt Locker”<br />

ne di aver messo le mani su un copione<br />

memorabile; era allo stesso tempo<br />

sia uno studio approfondito su un personaggio,<br />

il sergente James (che non<br />

può fare a meno di sfidare quelle maledette<br />

bombe sotterrate o addirittura<br />

nascoste nel corpicino di un bambino<br />

senza vita, e quando torna a casa per<br />

un periodo di congedo non vede l’ora<br />

di tornare al fronte, al suo ‘armadietto<br />

di guerra’, al suo hurt locker), sia un<br />

thriller mozzafiato che si trasformava<br />

anche in una sorta di meditazione<br />

sui temi cruciali dell’esistenza umana,<br />

della vita e della morte, del coraggio e<br />

della virilità, della guerra e della natura<br />

umana. Insomma, era originale ed<br />

elettrizzante e ho subito capito che ne<br />

avrei fatto il mio prossimo film”.<br />

Qualcuno ha scritto (Vittorio Zucconi,<br />

“la Repubblica”, 9 marzo) che<br />

soltanto una donna regista, una persona<br />

che non ha mai vissuto una guerra,<br />

poteva realizzare un film simile perché<br />

nessun uomo avrebbe mai avuto il coraggio<br />

di ammettere la impronunciabile<br />

verità e cioè la eterna seduzione<br />

tossica che la guerra esercita sugli uomini,<br />

da Caino in poi..., film talmente<br />

brutale ed agnostico che persino i<br />

veterani, i reduci, i centomila mutilati<br />

del fronte iracheno lo hanno sconfessato<br />

come “assurdo”, “inventato’”,<br />

ecc. E allora, tornando al discorso da<br />

cui siamo partiti, ecco che il cerchio si<br />

chiude: James, volontario non dimentichiamolo,<br />

che appartiene non solo al<br />

film ma alla realtà, ha scelto la pulsione<br />

di morte in tutti i sensi, scaricandola<br />

sugli altri (quando c’è da sparare, spara<br />

come un matto) ma vivendola, cercandola,<br />

anche su di sé: e non è il solo,<br />

milioni e milioni di soldati, più o meno<br />

consapevoli, nella storia...<br />

Cinema e dintorni<br />

Dal punto di vista filmico, in senso<br />

stretto, si impone ancora una domanda:<br />

come è possibile che la “oligarchia<br />

hollywoodiana” abbia premiato<br />

la Bigelow (la prima volta in assoluto<br />

una regista donna)? Psicanaliticamente,<br />

non è poi tanto difficile. Intanto,<br />

c’è una tradizione, un grande cinema<br />

americano antimilitarista che, a partire<br />

da “Comma 22”, di Mike Nichols<br />

(1970) e “M.A.S.H.”, di Robert Altman,<br />

1970, passando per “Apocalypse<br />

Now”, di Francis Ford Coppola,<br />

1979, “Il Cacciatore”, di Michael Cimino,<br />

1978, “Platoon”, di Oliver Stone,<br />

1986, “Full Metal Jacket” di Stanley<br />

Kubrick, 1987, si è confrontato, a<br />

caldo, con il problema “Vietnam”, e ha<br />

comunque raccolto i consensi e i riconoscimenti<br />

dell’America democratica.<br />

Solo che questi film hanno solo, in sostanza,<br />

condannato una guerra “sbagliata”,<br />

e l’ideologia bellicista/salvifica<br />

americana che dichiara guerre ad<br />

altre nazioni per portarvi “la democrazia”;<br />

non è poco ma nessuno è andato<br />

a fondo come la Bigelow, nessuno<br />

ha mostrato che la guerra può diventare<br />

una necessità anche dell’uomo comune,<br />

non solo dei generali, del Pentagono,<br />

ecc. ecc. E, storicamente, ciò<br />

è stato possibile, forse, dopo il trauma<br />

dell’11 settembre 2001, dopo le<br />

“Torri Gemelle”, dopo che nell’inconscio<br />

collettivo americano si è spezzato<br />

qualcosa, ha cominciato a farsi spazio<br />

una cattiva coscienza prima (ci attaccano<br />

perché siamo “il bene”, il baluardo<br />

contro il comunismo, terrorismo,<br />

ecc.!) e una nuova consapevolezza poi<br />

(ma questo baluardo è fragile e il nemico,<br />

“il male”, non sta solo di fronte<br />

a noi ma anche dentro noi stessi). Bigelow,<br />

fragile donna tra duri e puri e<br />

rudi uomini, insegna a riflettere... Meditate,<br />

gente...●<br />

<strong>Panorama</strong> 21


22 <strong>Panorama</strong><br />

Arte<br />

Tra i maggiori artisti italiani, ha ideato pure, ad Arcore, il discusso sepolcro<br />

Pietro Cascella, scultore dall’an<br />

di Erna Toncinich<br />

Nel vasto giardino della villa<br />

San Martino di Arcore, una<br />

delle dimore del presidente del<br />

Governo italiano Silvio Berlusconi,<br />

tra alberi, siepi e aiuole fiorite, c’è già<br />

pronta da qualche anno la “casa” che<br />

lo accoglierà una volta lasciato questo<br />

mondo. Non è, questa, ovvio, una casa<br />

qualunque, non è un edificio con finestre,<br />

porte e balconi, né ha un tetto a<br />

terrazza o a spioventi, è una costruzione<br />

funeraria, un monumentale mausoleo<br />

“degno” di un protagonista della<br />

politica italiana degli ultimi decenni,<br />

nonché, in fatto di finanze, un Paperon<br />

dei Paperoni.<br />

Autore dell’opera è uno tra i maggiori<br />

rappresentanti della scultura<br />

italiana contemporanea, Pietro Cascella,<br />

scomparso due anni or sono.<br />

Lo scultore ha ideato il monumentale<br />

Memorial Berlusconi come un complesso<br />

di forme varie - sfere, dischi,<br />

piramidi tronche, corpi geometrici<br />

e nessun simbolo cristiano - inserite<br />

entro un colonnato poggiante su<br />

una base a gradini. Il tutto in marmo<br />

bianco di Carrara.<br />

Il sepolcro, alto sette metri, accoglierà,<br />

oltre alle spoglie dello<br />

stesso Berlusconi, anche quelle dei<br />

suoi familiari e una piccola schiera<br />

di collaboratori e amici particolarmante<br />

fedeli. Non mancherà sicuramente<br />

tra questi il più che fe-<br />

”La rotatoria”, ultima opera di Pietro Cascella, scomparso<br />

due anni or sono all’età di 87 anni<br />

”La nave”, opera monumentale sul Lungomare di Pescara. È del 1987<br />

”La Volta del Cielo”, monumento<br />

funebre commissionato da Silvio<br />

Berlusconi per sé, per i propri familiari<br />

e amici più intimi. Si trova nel<br />

giardino della sua villa di Arcore<br />

dele Emilio Fede, direttore di Rete<br />

4, che non trova più aggettivi per<br />

osannare il suo datore di lavoro.<br />

Nella schiera dei defunti suoi esti-<br />

matori Berlusconi avrebbe voluto<br />

ci fosse anche il grande Indro<br />

Montanelli al quale aveva offerto<br />

un loculo, ma da buon toscanaccio<br />

pronto come sempre di spirito, il<br />

giornalista avrebbe rifiutato l’offerta<br />

salvandosi con il detto latino Domine<br />

non sum dignus.<br />

Berlusconi, da morto, riposerà<br />

nella cripta del sacrario, centottanta<br />

metri quadri a quattro metri e mezzo<br />

di profondità, tutta in travertino,<br />

raggiungibile scendendo sette gradini<br />

e percorrendo un lungo corridoio<br />

al quale si accede attraverso<br />

una porta in pietra (come nelle piramidi<br />

egizie!). Nella cripta l’attuale<br />

premier non sarà solo, una trentina<br />

di salme, di familiari e amici fidati,<br />

gli faranno compagnia. Lui in un<br />

”L’Arco della Pace”, del 1971. Si trova a Tel Aviv


per Silvio Berlusconi, familiari, collaboratori...<br />

imo «monumentale»<br />

Pietro Cascella (Pescara, 2 febbraio 1921 - Pietrasanta, 18 maggio 2008)<br />

sarcofago (immaginiamo faraonico),<br />

gli altri entro loculi.<br />

Nella realizzazione dell’imponente<br />

architettura-scultura,<br />

accanto a Cascella ha lavorato<br />

anche sua moglie, la scultrice<br />

Cordelia von den Steinen,<br />

autrice della parte decorativa.<br />

L’artista svizzera, ispirandosi<br />

alle decorazioni delle tombe<br />

etrusche, ha rappresentato in<br />

bassorilievo, sulle pareti della<br />

cella del defunto, vari oggetti<br />

di uso quotidiano: pane, giornale,<br />

chiavi e anche un telefonino.<br />

Tutte cose di cui Berlusconi<br />

“si servirà nell’aldilà”.<br />

L’ultima dimora, grande,<br />

sfarzosa anche nel nome, La<br />

Volta Celeste - “rappresenta il<br />

cielo, il luogo da cui veniamo<br />

e verso cui andiamo” - è pronta,<br />

tuttavia pare che la sua ubicazione<br />

desti problemi: è troppo vicina<br />

al centro abitato. I problemi sono<br />

nati subito dopo la sua costruzione,<br />

vent’anni fa, ma a Berlusconi, si sa,<br />

niente è impossibile risolvere quando<br />

si tratta di problemi personali.<br />

Ma chi è Pietro Cascella, che proprio<br />

in quanto autore del sacrario Berlusconi,<br />

e, si dice, legato da amicizia<br />

con l’inquilino di Villa S. Martino, si<br />

è attirato un bel po’ di antipatie?<br />

Pietro Cascella, nato a Pescara<br />

nel 1921, fin da ragazzino ha respirato<br />

un clima d’arte, proviene infatti<br />

”Porta della Sapienza”, già presso la Torre della<br />

Cittadella di Pisa poi trasferita all’Aeroporto<br />

Galileo Galilei della città<br />

da una nota famiglia di artisti che si<br />

sono dedicati chi alla pittura, chi alla<br />

ceramica, alla scultura o alla litografia,<br />

ad iniziare dal nonno Basilio, lo<br />

zio Michele, il padre Tommaso, il<br />

fratello Andrea. Per quasi vent’anni,<br />

dopo gli studi d’arte all’Accademia<br />

di Belle Arti di Roma, Pietro fa<br />

il pittore e con opere di pittura partecipa<br />

ad importanti rassegne quali la<br />

Quadriennale di Roma e la Biennale<br />

di Venezia, alla quale prenderà successivamente<br />

parte più volte come<br />

scultore. Ad un anno dalla scom-<br />

Arte<br />

”Testa” scultura del 1996-97<br />

parsa, alla 53.esima edizione della<br />

mostra veneziana, nel Giardino delle<br />

Vergini all’Arsenale, è stato ricordato<br />

con una rassegna di sue<br />

opere monumentali-ambientali,<br />

tutte in marmo di Carrara, il<br />

materiale da lui preferito. Di<br />

alcune sue importanti realizzazioni,<br />

ovviamente inamovibili,<br />

sono state presentate gigantografie,<br />

come ad esempio<br />

il Monumento ad Auschwitz,<br />

sua prima opera di scultura<br />

ideata nel 1959 insieme al<br />

fratello Andrea e all’architetto<br />

Julio Lafuente, opera che vedrà<br />

la sua realizzazione, leggermente<br />

modificata, appena<br />

un decennio dopo. La grande<br />

scultura, molto suggestiva, è<br />

ubicata dinanzi alla testata<br />

dei binari dove si conclude-<br />

va l’ultimo viaggio dei deportati.<br />

Diverse sono le città anche<br />

straniere che contano un<br />

monumento di questo scultore,<br />

tra queste Tel Aviv dove<br />

di Cascella c’è L’arco della Pace,<br />

Strasburgo che possiede l’Omaggio<br />

all’Europa, in Italia poi ci sono<br />

a Milano il Monumento a Mazzini,<br />

a Pescara La Nave (monumento alquanto<br />

contestato), a Pisa La porta<br />

della Sapienza, a Pontedera il Toro<br />

e diverse altre. Nell’opera di Pietro<br />

Cascella in generale si riconosce<br />

l’influenza del rumeno Brancusi, integrata<br />

da recuperi arcaici, immagini<br />

primitive per soluzioni di grande<br />

nitore formale, di ordine, equilibrio<br />

e forza.●<br />

<strong>Panorama</strong> 23


24 <strong>Panorama</strong><br />

Italiani nel mondo<br />

Serie di osservazioni di Eugenio Sangregorio sulle dichiarazioni di<br />

Il diritto di voto risponde alla log<br />

a cura di Ardea Velikonja<br />

In questi giorni continuano a circolare<br />

le più svariate opinioni<br />

sul tema degli italiani all’estero e<br />

dell’opportunità di riconoscere loro il<br />

diritto di voto. Mi hanno in particolar<br />

modo colpito le recenti dichiarazioni<br />

di Dino Nardi. Mi hanno colpito fondamentalmente<br />

perché lo stesso Nardi<br />

si autodefinisce uno “strenuo difensore<br />

del voto all’estero”. Eppure, il<br />

sig. Nardi condivide quanto sostenuto<br />

dall’on. Ugo Intini, il quale considera<br />

la Legge Tremaglia una legge “balorda”;<br />

o ancora, si chiede quali siano i<br />

motivi e la necessità che gli emigrati<br />

eleggano i propri parlamentari.<br />

A questa domanda che il sig. Nardi<br />

si pone, io rispondo facendogli<br />

presente che i motivi per i quali gli<br />

italiani oltre confine eleggono i propri<br />

parlamentari sono esattamente gli<br />

stessi per i quali gli italiani residenti<br />

in Patria scelgono i propri rappresentanti<br />

in Parlamento. Come in ogni<br />

Paese democratico, è naturale che sia<br />

il popolo ad eleggere i propri rappresentanti<br />

attraverso il suffragio universale,<br />

e per popolo si intendono tutti i<br />

cittadini (maggiorenni), a prescindere<br />

dal luogo di residenza. Su questo<br />

punto non c’è molto da discutere, anche<br />

perché è la stessa Costituzione a<br />

stabilire questo principio, in virtù del<br />

quale il diritto di voto è connesso allo<br />

status di cittadino. Quanto alla seconda<br />

domanda che il sig. Nardi si pone,<br />

ossia “come si potrebbe non essere<br />

d’accordo con quegli italiani residen-<br />

Eugenio Sangregorio<br />

ti in Italia che mai hanno compreso<br />

la necessità che gli emigrati debbano<br />

eleggere i loro parlamentari”, rispondo<br />

semplicemente facendo presente<br />

che il voto non è una questione utilitaristica<br />

o di convenienza. Il diritto<br />

di voto risponde alla logica della democrazia<br />

e non ha secondi fini, per<br />

cui non debbono essere ricercate le<br />

necessità che lo giustificano. Tutt’al<br />

più, se proprio dobbiamo parlare di<br />

necessità, sarebbe quella di preservare<br />

la democrazia nel nostro Paese.<br />

C’è chi ancora oggi continua a sostenere<br />

che gli italiani all’estero sono<br />

un peso per l’Italia e per il suo erario,<br />

sempre alla ricerca di assistenza<br />

e sussidi dallo Stato. Invece, la storia<br />

ci dimostra tutto il contrario, e chi<br />

ancora crede che i connazionali oltre<br />

confine siano un peso non ha capito<br />

nulla delle rimesse, del turismo di ritorno<br />

e della promozione e diffusione<br />

del Made in Italy.<br />

Le rimesse, infatti, sono state<br />

l’elemento di fondo della ricostruzione<br />

italiana e del miracolo economico<br />

del Paese, soprattutto nel secondo<br />

dopoguerra. Da un’analisi dei dati<br />

dell’Ufficio Italiano Cambi, si evince<br />

che già nel 1947 le rimesse degli italiani<br />

all’estero e inviate alle proprie<br />

famiglie rimaste in Patria ammontavano<br />

a più di 30 milioni di dollari.<br />

Nel 1949 ammontavano a circa<br />

90 milioni di dollari, e nel 1952 raggiunsero<br />

gli oltre 100 milioni di dollari.<br />

Questa cifra aumentò in maniera<br />

esponenziale negli anni successivi,<br />

con l’incremento dell’emigrazione.<br />

Pertanto, i sacrifici degli italiani<br />

emigrati contribuirono non solo alla<br />

diminuzione della disoccupazione<br />

e della situazione di miseria in cui<br />

era immersa l’Italia in quegli anni,<br />

ma furono anche strategici per la ricostruzione<br />

e la rinascita economica<br />

del Paese. Altro che peso per l’Italia<br />

e il suo erario!<br />

Un altro importante contributo<br />

degli italiani all’estero per l’economia<br />

del Paese è costituito dal turismo<br />

di rientro, ossia di quei connazionali<br />

che hanno stabilito la propria residenza<br />

all’estero ma che spesso ritornano<br />

in Italia in vacanza. Questo<br />

flusso turistico non deve essere sottovalutato,<br />

anche perché il settore del<br />

turismo è uno dei pilastri dell’economia<br />

italiana.<br />

Altrettanto rilevante è il ruolo degli<br />

italiani all’estero nella promozione<br />

e diffusione del Made in Italy.<br />

In primo luogo, gli emigrati italiani<br />

conservano e diffondono abitudini di<br />

consumo che vanno naturalmente ad<br />

accrescere la domanda di beni prodotti<br />

dalle aziende italiane (basti pensare<br />

ai prodotti alimentari, o ancora<br />

la moda e il design). Non a caso, nei<br />

Paesi esteri in cui è più forte la presenza<br />

della comunità italiana, maggiori<br />

sono le importazioni di prodotti<br />

italiani.<br />

Inoltre, le collettività italiane<br />

all’estero, oltre a diffondere l’italianità<br />

e consumare “all’italiana”, favoriscono<br />

l’esportazione del knowhow<br />

e della tecnologia italiana. Infat-


Dino Nardi in merito alle elezioni all’estero<br />

ica della democrazia<br />

ti, gli imprenditori italiani all’estero,<br />

nell’attrezzare le proprie fabbriche<br />

e aziende, privilegiano i macchinari<br />

italiani.<br />

In sostanza, la forte presenza di<br />

comunità italiane all’estero reca degli<br />

immensi benefici all’economia<br />

del Paese e favorisce le esportazioni<br />

dei beni prodotti dalle aziende site in<br />

Dino Nardi, membro del Comitato<br />

di Presidenza del Consiglio<br />

Generale degli Italiani<br />

all‘Estero (CGIE)<br />

Italia. A questo proposito mi sembra<br />

opportuno anche menzionare delle<br />

recenti dichiarazioni fatte dal Vice<br />

Ministro allo Sviluppo Economico<br />

Adolfo Urso, il quale ha evidenziato<br />

che l’export cresce del 4,7% verso<br />

i Paesi extra Unione Europea ed ha<br />

aggiunto che “solo l’export può trainare<br />

la ripresa italiana”. Certamente,<br />

sia le grandi aziende che le PMI<br />

italiane hanno bisogno di cercare<br />

nuovi mercati in cui poter collocare<br />

i beni e servizi prodotti, non essendo<br />

sufficiente la domanda interna<br />

al mercato italiano. In questo senso,<br />

gli italiani all’estero favoriscono<br />

le esportazioni e fungono da veri e<br />

propri promotori del Made in Italy.<br />

Peraltro, dobbiamo tener conto che<br />

la globalizzazione è ormai cambiata<br />

e vediamo diffondersi sempre di più<br />

tra gli Stati le misure protezionistiche,<br />

con l’obiettivo di tutelare i posti<br />

di lavoro e le imprese nazionali.<br />

Per questa ragione, oggi i Paesi, ivi<br />

compresa l’Italia, hanno bisogno di<br />

cooperazione ed integrazione attraverso<br />

le alleanze strategiche.<br />

Fatte queste precisazioni sulla<br />

grande risorsa (soprattutto economica)<br />

che gli italiani all’estero rappresentano<br />

per lo Stato italiano, vorrei<br />

soffermarmi brevemente su quanto<br />

asserito dal sig. Nardi nel suo articolo,<br />

dove sostiene che il diritto di voto<br />

degli italiani oltre confine, “vista la<br />

collocazione geografica di milioni di<br />

elettori residenti all’estero, non può<br />

che essere espletato attraverso il voto<br />

per corrispondenza”. Io ritengo, al<br />

contrario, che la modalità del voto per<br />

corrispondenza debba essere del tutto<br />

eliminata, in quanto non solo non garantisce<br />

né la libertà né la segretezza<br />

del voto e si presta a brogli elettorali<br />

(come appunto quelli denunciati nelle<br />

votazioni del 2006 e del 2008), ma<br />

nemmeno rispetta quella pariteticità<br />

tra cittadini italiani all’estero e cittadini<br />

italiani residenti in Patria che la<br />

Costituzione italiana sancisce.<br />

Credo che la soluzione più plausibile<br />

e rispettosa della legalità e trasparenza<br />

dei procedimenti elettorali sia<br />

quella dell’istituzione dei seggi elettorali<br />

all’estero. Il sig. Nardi considera<br />

questa soluzione impraticabile, anche<br />

per gli elevati costi che essa comporterebbe.<br />

Egli però non tiene conto<br />

delle ingenti spese che la gestione<br />

dei plichi elettorali, nel caso del voto<br />

per corrispondenza, ha comportato<br />

nelle elezioni passate, sia in termini<br />

di materiali, di invio che di personale.<br />

Peraltro, l’argomentazione con cui<br />

il Sig. Nardi conclude il suo articolo<br />

mi sembra poco sostenibile. Se per<br />

difendere il voto per corrispondenza<br />

dobbiamo ricorrere al fatto che, come<br />

dice Nardi, “pure il voto nei seggi<br />

non è una garanzia assoluta e immune<br />

da pecche”, allora dovremmo togliere<br />

il diritto di voto a tutti gli italiani!<br />

I brogli elettorali non vanno risolti<br />

con metodi ancora meno trasparenti<br />

come quello del voto per corrispondenza,<br />

ma vanno combattuti con controlli<br />

rigorosi e severi. ●<br />

Eugenio Sangregorio<br />

Vicepresidente pro tempore PDL<br />

America Meridionale<br />

Italiani nel mondo<br />

E i giornali<br />

all’estero?<br />

Chi, a Roma, ha fatto approvare<br />

questo “infame” decreto<br />

legge e chi lo ha approvato<br />

votandolo, sappia che ha posto<br />

le basi per la distruzione della<br />

stampa e della lingua italiana<br />

all’estero. “Se l’intenzione è<br />

quella di buttare nel dimenticatoio<br />

più di 40 milioni di italiani<br />

che da decenni hanno contribuito<br />

a tenere alto nel mondo il nome<br />

dell’Italia, ebbene il suo Governo,<br />

con i tagli alla stampa italiana<br />

all’estero, vi è riuscito. Egregio<br />

Sig. Presidente, ed ora che<br />

cosa ancora taglierete: gli eletti<br />

all’estero e poi il nostro voto alle<br />

prossime elezioni politiche italiane?”:<br />

è quanto si chiede Luciano<br />

Gonella, giornalista italiano residente<br />

in Canada, in una lettera<br />

aperta al presidente del Consiglio,<br />

Silvio Berlusconi. “Da<br />

decenni - scrive ancora Gonella<br />

- un gruppo di persone coraggiose,<br />

con i loro giornali, hanno<br />

saputo tenere vivo il sentimento<br />

di italianità di cui siamo andati<br />

sempre fieri, oltre a dare il maggiore<br />

contributo all’informazione<br />

ed alla cultura della madre patria.<br />

I giornali italiani nel mondo<br />

sono sempre stati il cordone ombelicale<br />

tra l’Italia e gli Italiani<br />

nel mondo. Tutti sanno ed hanno<br />

sempre saputo che il manipolo<br />

di editori coraggiosi che hanno<br />

pagato a caro prezzo questo loro<br />

sforzo di mantenere vivo il dialogo<br />

con la madre patria, non si<br />

sono certamente arricchiti stampando<br />

i loro giornali e nemmeno<br />

ricevendo una miseria di contributo<br />

dal Governo italiano, contributo,<br />

tuttavia, che dava loro un<br />

minimo di aiuto. Si possono ben<br />

capire le ristrettezze dovute ad<br />

una crisi internazionale, ma tre<br />

milioni di euro destinati ai 120<br />

periodici, in un bilancio finanziario<br />

di più di 800 miliardi di euro,<br />

sono delle bazzecole, quando si<br />

pensa agli sperperi che vengono<br />

perpetrati ogni anno”. ●<br />

<strong>Panorama</strong> 25


28 <strong>Panorama</strong><br />

Reportage<br />

Numero record di produttori presenti quest’anno a Crassiza ad Oleum Olivarum<br />

Sostenere l’autoctonia dell’olivo istriano<br />

testo e foto di Ardea Velikonja<br />

Un recente studio effettuato dal<br />

“Flois olei”, la guida dei migliori<br />

olii di oliva europei, afferma<br />

che l’Istria è al secondo posto<br />

in quanto a varietà di olio, preceduta<br />

solo dalla Toscana. Infatti in questa<br />

prestigiosa guida ci sono gli olii di 35<br />

paesi di cui ben 40 produttori istriani.<br />

Favorita dal microclima, la regione<br />

sta diventando meta di acquirenti da<br />

Spagna, Belgio e Germania che sono<br />

interessati ad acquistare terreni per la<br />

coltivazione dell’olivo. Attualmente<br />

conta 125 olivicoltori con oltre 500 alberi<br />

e sette “Strade dell’olio di oliva”,<br />

progetto portato con successo a termine<br />

da Denis Ivošević, assessore regionale<br />

al turismo.<br />

In Croazia annualmente si producono<br />

4500 tonnellate di olio di oliva, in<br />

Italia 612.000, in Spagna 1.100.000.<br />

Nonostante ciò l’Istria come regione,<br />

come già detto, con 1500 tonnellate di<br />

olio annue lavorate in 26 oleifici, è riuscita<br />

a piazzarsi al secondo posto, secondo<br />

il parere di esperti e giornalisti<br />

che hanno compilato la guida “Flois<br />

olei”, dopo la Toscana che ne produce<br />

16.600. L’Istria addirittura è riuscita a<br />

battere la California che in 30 oleifici<br />

produce 1000 tonnellate di olio.<br />

Le feste dell’olio di oliva stanno<br />

facendola conoscere, anche se timidamente,<br />

in tutta Europa. Una di queste<br />

è Oleum Olivarum, l’incontro dei<br />

produttori istriani che si svolge tradizionalmente<br />

a Crassiza nel mese di<br />

marzo e che quest’anno è giunto alla<br />

tredicesima edizione, ed a cui negli<br />

ultimi cinque anni si è aggiunta anche<br />

la Fiera vera e propria, con stand e<br />

degustazioni. La due giorni di Crassiza<br />

è stata anche occasione per sentire<br />

ai seminari tenuti dagli esperti come<br />

l’Istria e la Croazia si stiano preparando<br />

all’entrata nell’Unione europea<br />

e di conseguenza come procede<br />

l’adeguamento ai nuovi regolamenti<br />

di produzione di tutte le colture,<br />

quindi anche delle olive. Đanfranko<br />

Pribetić, esperto olivicultore, ha parlato<br />

sulle necessità di promuovere<br />

i cluster (un gruppo di unità simili)<br />

La piccola Crassiza ha ospitato centinaia di persone<br />

Il dott. Paolo Parmegiani<br />

dei produttori: “L’unità fa la forza e<br />

in futuro, se non ci raggrupperemo,<br />

non potremo fruire degli incentivi<br />

europei nell’ambito del programma<br />

per lo sviluppo dell’olivicoltura. Anche<br />

il Ministero all’agricoltura croato<br />

prevede sovvenzioni per tutti i cluster<br />

agricoli”. È seguito l’intervento<br />

dell’agronoma Marina Kocijanić,<br />

che ha parlato ai numerosi produttori<br />

d’olio presenti in sala del nuovo database<br />

ARKOD, “che altro non è che<br />

una specie di controllo di tutte le parcelle<br />

catastali in cui si svolge attività<br />

agricola, dati che saranno obbligatori<br />

una volta entrati nell’Ue”.<br />

Infine il dott. Paolo Parmegiani,<br />

esperto in olivicolture della regione<br />

Friuli Venezia Giulia, ha toccato<br />

il tema “La varietà di olivo autoctone<br />

dell’Istria, il loro valore e l’importanza”:<br />

“Da anni vengo qui in Istria e con<br />

piacere ho visto che di anno in anno<br />

c’è più voglia di fare. Qui, in questo<br />

territorio, ci sono tutti i presupposti<br />

per fare non bene ma benissimo. Comunque<br />

avete ancora parecchi percorsi<br />

da fare in prospettiva dell’entrata<br />

nell’Ue, primo fra tutti l’accatastamento<br />

delle particelle con gli olivi<br />

dato che nell’Unione europea ci sono<br />

regole precise per quanto riguarda<br />

l’agricoltura. In Istria ci sono circa 8-9<br />

mila ettari di terreno coltivati a olivo,<br />

con oltre un milione di piante e quindi<br />

qui c’è un grosso potenziale. Tanto<br />

per fare paragoni con il resto dell’Europa<br />

vi dirò che in Friuli Venezia Giulia<br />

ci sono 400 ettari di olivi, in Veneto<br />

circa 7000, in Toscana 90.000 ed in<br />

Puglia 350.000. Complessivamente in<br />

Italia ci sono circa un milione di ettari<br />

coltivati ad olivo. Il primo produttore<br />

in Europa comunque è la Spagna con<br />

2 milioni di ettari. Qui ormai l’olivicoltura<br />

è diventata un’industria e non<br />

un ramo dell’agricoltura. Voi quando<br />

entrerete in Europa dovrete scontrarvi<br />

con un grosso mercato e quindi dovrete<br />

lottare per la qualità.<br />

L’olio non è sempre olio, quello al<br />

supermercato non è nulla a confron-


Quest’anno la giuria ha avuto il suo bel da fare:<br />

144 gli oli presentati<br />

Degustazioni in ogni stand<br />

Tantissima gente ha voluto partecipare alla fiera di Crassiza<br />

Prodotti biologici ovunque<br />

<strong>Panorama</strong> 29


Lo show culinario<br />

I due cuochi al lavoro<br />

Stuzzichini di polenta bianca con ricotta<br />

al tartufo, una vera bontà<br />

Almo Čatlak, il cuoco più<br />

conosciuto dalle casalinghe<br />

I “pljukanci” istriani, ovvero la pasta fatta in casa Immancabili i fusi istriani Il riso<br />

30 <strong>Panorama</strong>


Sergio Rožman alle prese con i fornelli<br />

tto con il radicchio rosso è andato a ruba<br />

Pinze, frittole e pane con il patè di olive<br />

Gli antipasti<br />

Il sugo con le verdure e le olive verdi e nere<br />

<strong>Panorama</strong> 31


Tra le tante medaglie d’oro, primo classificato in assoluto Igor Kersan di Dignano<br />

32 <strong>Panorama</strong><br />

L’argento è andato a 64 produttori<br />

Quest’anno l’olio di Giancarlo Zigante<br />

si è fatto onore alla rassegna dalmata<br />

Venti le medaglie di bronzo A vincere il concorso di pittura quest’anno<br />

è stato Milan Marin di Umago


to di quello acquistato dal contadino<br />

in bottigliete al massimo di mezzo litro.<br />

Esso rispecchia una determinata<br />

zona e quindi le varietà autoctone<br />

sono quelle qualità dell’olio tipico del<br />

territorio. In Spagna tre qualità ricoprono<br />

circa il 50 per cento della produzione,<br />

in Grecia tre specie ricoprono<br />

il 90 per cento della produzione, in<br />

Portogallo 3 varietà coprono il 96 per<br />

cento della produzione, in Turchia 5<br />

coprono il 75 per cento, in Marocco<br />

una sola varietà copre il 97 per cento<br />

della produzione totale. Per quanto<br />

riguarda l’Italia, 24 varietà coprono<br />

il 58 per cento della produzione, In<br />

tutto abbiamo 538 varietà iscritte nel<br />

registro. Logico che ci sono cultivar<br />

diverse perché ci sono ambienti microclimatici<br />

diversi, sicché ogni zona<br />

risce ad avere delle varietà autoctone<br />

presenti da secoli. Quindi qui da voi,<br />

o sulle isole e in Dalmazia, non possono<br />

esserci gli stessi tipi di olivo. In<br />

Istria gli olivi devono essere resistenti<br />

al freddo e sono la ricchezza dell’olivicoltura<br />

locale.<br />

Qui questa coltivazione è stata riscoperta<br />

grazie ai contributi della regione<br />

che ha sovvenzionato gli olivicoltori,<br />

e all’importazione delle piante<br />

dalla Toscana definita il più grande<br />

vivaio di olivi d’Europa. I due alberi<br />

principali sono il leccino e il frantoio:<br />

il primo proviene dalla zona di<br />

Firenze dove fa freddo e il Frantoio<br />

dalla Maremma, dove fa caldo. E<br />

poi avete la banchera. Fin qui tutto<br />

va bene - ha continuato Parmegiani -,<br />

ma si è dimenticata la pianta autoctona<br />

dell’Istria, la busa o drobniza. Per<br />

chi non lo sa già nel 1903 Carlo Hugues,<br />

studioso goriziano, a capo della<br />

‘Scuola agraria provinciale’ di Parenzo,<br />

allora le varietà di olivi in Istria.<br />

Con la gelata del 1929 molte zone<br />

olivicole vennero abbandonate anche<br />

perché finché questa zona era sotto<br />

l’Austria-Ungheria l’olivicoltura era<br />

forte perché questa era l’unica zona<br />

agricola su cui l’Austria poteva contare.<br />

Poi successivamente con il passare<br />

dell’Istria all’Italia l’olivo venne<br />

abbandonato perché la grande Italia<br />

aveva già tantissimi olivi. E rimasero<br />

abbandonati fino a qualche anno<br />

fa quando finalmente alcuni contadini<br />

decisero di ripulire dai cespugli<br />

quegli alberi secolari e raccogliere i<br />

frutti. Gli alberi autoctoni sono quelli<br />

selezionati dai nostri antenati, che si<br />

Reportage<br />

Dalle olive non solo olio, ma anche prodotti di bellezza, tutti ecologici<br />

sono adattati all’ambiente e quindi bisogna<br />

tutelarli. Ora sta in voi a prepararvi<br />

alla lotta entro l’Ue che, ripeto,<br />

potrete vincere solo con l’autoctonia,<br />

facendo sì cioè che l’olio istriano sia<br />

riconosciuto ed apprezzato sul mercato<br />

europeo”, ha concluso il dott.<br />

Parmegiani<br />

Chiedo all’esperto: ascoltando la<br />

sua esposizione ho scrutato un po’<br />

i visi dei produttori presenti, mi<br />

sono sembrati parecchio preoccupati,<br />

impauriti per quanto ha detto<br />

lei in merito alle nuove regole che<br />

dovranno entrare in vigore in Croazia<br />

con l’annessione all’Ue. Hanno<br />

da avere paura o no? L’autoctonia<br />

in Istria è talmente sviluppata da<br />

poter competere con i grandi produttori?<br />

“Sulle varietà autoctone in Istria<br />

bisogna ancora lavorare, ciò non significa<br />

che non bisogna piantare leccino<br />

e frantoio, perché dipende molto<br />

dalle quantità di olio che fanno. Certo<br />

che se io faccio mille litri di olio posso<br />

farlo anche tutto con varietà autoctone,<br />

ma quando comincio a farne decine<br />

di ettolitri allora bisogna che sia<br />

un prodotto buono, buonissimo per<br />

il mercato europeo. In questo senso<br />

l’entrata in Europa è una notevole opportunità<br />

e quindi in quella situazione<br />

lì si va a fare un prodotto anche con il<br />

leccino, anche con il frantoio, ma si<br />

deve pensare a dare qualcosa di più,<br />

cioè un prodotto di prima fascia, seconda<br />

fascia, standard, due gusti, uno<br />

con leccino leggermente più dolce,<br />

uno con il frantoio, un momentino più<br />

fruttato, però accanto a questo prodotto<br />

che magari viaggia in bottiglie da<br />

un litro e 750 cl, mettere anche la bottiglietta<br />

da mezzo litro, da un quarto di<br />

litro, di queste cose specifiche, produ-<br />

zioni nostre, locali magari spiegando<br />

cosa significa questo olio, questa varietà.<br />

Perché poi diventa un problema<br />

di educazione alimentare, cioè far capire<br />

alla gente le caratteristiche diverse<br />

di un olio da un altro olio, allo stesso<br />

modo come viene fatto con i vini.<br />

Quindi dobbiamo seguire nel mondo<br />

dell’olio la strada che ormai i viticoltori<br />

hanno intrapreso 30-40 anni fa”.<br />

Tornando alla Rassegna dell’olio<br />

di oliva di Crassiza dobbiamo dire che<br />

quest’anno c’è stato un record nel numero<br />

degli olii presentati all’apposita<br />

commissione: ben 144 provenienti da<br />

tutta l’Istria. La comissione dell’Associazione<br />

assaggiatori ha assegnato<br />

quindi ben 37 medaglie d’oro, 64 d’argento<br />

e 20 di bronzo. Primo fra tutti<br />

però è risultato essere l’olio di Igor<br />

Kersan di Dignano. Ma “Oleoum Olivarum”<br />

per la prima volta ha presentato<br />

uno show culinario con due cuochi<br />

molto conosciuti, Almo Čatlak,<br />

che ogni mattina alle 8.30 presenta<br />

in TV la trasmissione “Buongiorno,<br />

buon appetito”, e Sergio Ražman, il<br />

cuoco della trattoria “Marino” di Kremenje.<br />

Ed è stato un vero spettacolo<br />

di odori e sapori con la gente che<br />

ha fatto la fila per gustare i fusi con il<br />

sugo agli ortaggi, la polentina con ricotta<br />

al tartufo, il mascarpone nel cestino<br />

di pane, il pane alle olive, il risotto<br />

con il radicchio rosso, insomma<br />

tutto all’insegna dell’olio di oliva.<br />

Anche quest’anno in seno alla rassegna<br />

si è tenuto il tradizionale concorso<br />

di pittura in tema. Ben 120 gli<br />

artisti presenti provenienti da Croazia,<br />

Slovenia, Italia, Germania ed Inghilterra.<br />

Ad aggiudicarsi il primo premio<br />

è stato Milan Marin di Umago, per il<br />

suo acquerello ispirato, manco a dirlo,<br />

alle olive. ●<br />

<strong>Panorama</strong> 33


Lo scorso giugno sono stati attribuiti i Premi della<br />

XLII edizione del concorso Istria Nobilissima, che<br />

hanno dato una nuova conferma dei potenziali creativi<br />

del gruppo nazionale italiano nei campi dell’arte<br />

e della cultura. Ritenendo che di tali potenziali debba<br />

fruire il maggior numero di lettori nelle pagine riservate<br />

alle letture, “<strong>Panorama</strong>” propone le opere a cui<br />

siano stati attribuiti premi o menzioni.<br />

Nella sezione “Prosa in lingua italiana” la giuria<br />

ha assegnato la menzione onorevole a MARIO<br />

SCHIAVATo di Fiume. Il titolo del racconto, di cui<br />

pubblichiamo la prima parte, è ”Ritorno a Midian”.<br />

34 <strong>Panorama</strong><br />

Letture<br />

«Ritorno a Midian»<br />

I<br />

Marco, di buon mattino, dopo quasi sei mesi dal pensionamento,<br />

con uno zaino sulle spalle e un borsone in mano, a Zagabria<br />

salì su un autobus e se ne stette immobile sprofondato<br />

nel sedile, gli occhi smarriti nel vuoto. Quanti affanni gli turbinavano<br />

nell’animo anche quella mattina perché con la partenza<br />

aveva finalmente deciso di innalzare un muro su tutte le<br />

indecisioni, le ansie, le paure e gli scoramenti che, soprattutto<br />

negli ultimi tempi, lo avevano tanto abbattuto, angustiato,<br />

spesso sconvolto. Voleva uscire da quel tunnel e dimenticare.<br />

Tutto. Proprio tutto!<br />

In primo luogo l’ufficio e tutto quanto all’ufficio era legato:<br />

quelle albe dopo le troppo lunghe notti insonni quando la<br />

sveglia suonava, lui spegneva la suoneria, si girava dall’altra<br />

parte, s’addormentava finalmente, ma dopo un po’ apriva gli<br />

occhi e scopriva di avere solo poco tempo per alzarsi, lavarsi,<br />

vestirsi e correre in banca; poi la noia fetida di tutti quegli<br />

anni trascorsi, dei giorni tutti uguali tra l’indifferenza di quanti<br />

gli stavano attorno intruppati di scrivania in scrivania a sbadigliare<br />

e a deriderlo; quindi i vigliacchi intrighi del caposezione<br />

che, per poter passare da comandante di sei impiegati a quello<br />

di quindici esseri indolenti e rassegnati, non faceva che scorrazzare<br />

in cerca di dirigenti bisognosi di servi tonti, meglio di<br />

leccaculi e appena poteva per delle stupidaggini lo rimproverava,<br />

lo umiliava davanti a tutti, lui, l’istarski talijančić che<br />

alle volte nel parlare sbagliava qualche desinenza; voleva dimenticare<br />

anche gli ordini ed i contrordini ai quali aveva dovuto<br />

sempre adeguarsi senza mai protestare, l’aver sgobbato tre<br />

volte più del necessario sforzandosi da un lato di portare a termine<br />

i compiti affidatigli - sempre per orgoglio e per assurdo<br />

spirito di disciplina, non perché credesse all’utilità di quel che<br />

faceva o ne aspettasse qualche vantaggio personale -, dall’altro<br />

di evitare le piccole furberie e le viltà indispensabili per<br />

poter rimanere a galla, per difendersi dall’invidia e dall’ostilità<br />

degli altri. Perfino quando comprese che il far carriera non<br />

era cosa che gli si addicesse, che doveva accontentarsi di effettuare<br />

solo dei lavori esecutivi, trovò la forza di rinunciare ai<br />

modesti gradi che a volte gli concedevano, continuando però a<br />

soffrire moralmente per le ingiustizie e per i cento piccoli soprusi<br />

fatti a lui ed agli altri, per lo spettacolo delle teste vuote,<br />

dei prepotenti, dei ciarlatani e degli intriganti che troppo spes-<br />

so salivano in alto. Sì, doveva proprio mettere nel dimenticatoio<br />

tutta quella sua lunga vita fatta di niente, vuota, piatta, rassegnata<br />

seguita ai primi entusiasmi, ai primi fervori, quel suo<br />

degradare giorno per giorno dallo zelo verso il disinteresse,<br />

verso l’indifferenza, e alla fine, quella sua esistenza ancora più<br />

vuota, vacua, seguita al pensionamento, le giornate senza fine<br />

passate girovagando per la casa in ciabatte e mutande, il non<br />

saper dove andare e cosa fare, i pranzi e le cene solitari consumati<br />

con la mente persa, i libri che una volta aveva tanto amato,<br />

che tentava di leggere e non riusciva a seguire.<br />

E poi voleva soprattutto dimenticare quella che era stata la<br />

sua vita con la Dora che in un certo modo lo aveva costretto<br />

a rimanere a Zagabria, quei tanti amori all’inizio, certo grandi<br />

amori, l’entusiasmo, la passione e la tenerezza almeno da parte<br />

sua, quel matrimonio fatto in fretta e senza pretese d’accordo,<br />

ma molto intimo e tenero, quindi da parte di lei la non desiderata<br />

nascita di figli, quel tempestarlo di pugni sulla schiena,<br />

il non lasciarlo finire se qualche volta facevano l’amore per i<br />

due aborti uno dietro l’altro che lei aveva deciso ed in seguito<br />

i rancori, le recriminazioni, l’animosità che pian piano erano<br />

finiti nell’indifferenza, nell’astio, nel livore, nell’odio. La rivedeva<br />

cento volte al giorno, spettinata, arrabbiata, acquattata<br />

nel suo malanimo, cento volte al giorno risentiva le sue invettive,<br />

le sue minacce, le sue sfuriate, anche il suo disprezzo<br />

e, alla fine, per sua fortuna, il definitivo delirio, quando dopo<br />

anni di liti furiose, spesso con rottura di piatti e di bicchieri,<br />

aveva impacchettato non soltanto la sua roba, aveva fatto caricare<br />

il tutto su un furgone e, sbattendo la porta, se n’era andata<br />

finalmente a far ammattire, lui lo aveva capito da qualche tempo<br />

che esisteva, un altro disgraziato come lui.<br />

Adesso che tutto era finito doveva ammettere che troppo<br />

spesso era stato un codardo, un remissivo, qualche volta persino<br />

un vile sia nei rapporti con l’ufficio che con la Dora. Molto<br />

difficili, inquieti, erano stati poi tutti quegli ultimi mesi chiuso<br />

in casa. Non usciva più. Ogni tanto metteva la testa fuori dalla<br />

finestra, vedeva il cielo azzurro deserto di nubi, immaginava<br />

campi, boschi, vigne, olivi e pietraie, fiutava i profumi e gli<br />

pareva di percepire quello del cotogno, del ginepro, del timo,<br />

anche del letame. Gli odori della sua infanzia. Allora gli occhi<br />

gli si riempivano di lacrime, singhiozzava premendosi una<br />

mano sulla bocca, ma non sapeva decidersi ad andarsene. Non<br />

ci riusciva. Spesso sdraiato sulla malconcia poltrona sfondata


ascoltava l’assordante rotolare dei motori, gli scoppi delle motociclette<br />

sulla strada, la musica a tutto volume dei vicini screanzati,<br />

teneva un libro aperto in mano e non riusciva a leggere<br />

una sola parola, sfinito rimaneva lì, a braccia e gambe spalancate<br />

come un sacco vuoto senza neanche poter connettere.<br />

Davvero tanti giorni di noia, di accidia, di completa solitudine,<br />

raramente a finestre spalancate per poter catturare - almeno<br />

quelli - i pochi fili di vento e le illusioni di frescure serali e<br />

se qualche volta nel radersi la barba si guardava allo specchio<br />

avrebbe voluto essere un altro per dimenticare quel livore che<br />

sentiva e vedeva dentro di sé.<br />

Usciva di sabato, solo di sabato mattina per la spesa. Se incontrava<br />

qualcuno sulle scale salutava, ma nessuno gli rispondeva.<br />

Allora imparò ad imboccarle e scenderle senza reggersi<br />

al corrimano, lentamente, a testa alta, pallido, fiero, teso, magari<br />

guardando in viso la gente ma mostrando con evidenza<br />

che non vedeva nessuno, che il suo sguardo era perso altrove.<br />

Nel negozio più vicino andava a comperare pane, formaggio,<br />

mortadella, salsiccia da lasciar sfrigolare per ore nel fornetto<br />

che a suo tempo la Dora aveva preteso e che era già pieno di<br />

unto e di grasso mentre la puzza si diffondeva attorno, fino giù<br />

per le scale. Dopo un lungo tempo di quelle salsicce, di quella<br />

mortadella, di quel riso scondito, di quella pasta mezzo cruda,<br />

anche di vomiti e di diarree, un medico vicino di casa, una<br />

giovane pietosa dai grandi occhi tristi, incontrandolo per caso<br />

sul portone lo aveva fermato, gli aveva detto che era diventato<br />

uno straccio, che sembrava un barbone deperito, emaciato, che<br />

sì, sicuramente non aveva malattie, ma soltanto paura, paura di<br />

uscire da quella sua prigione. Gli disse ancora che aveva bisogno<br />

di una vacanza, di una lunga vacanza. Perciò doveva uscire<br />

più spesso, muoversi da quella sua apatia, incontrare qualche<br />

amico, recarsi fuori della città, immergersi nella natura, respirare<br />

aria buona, parlare con la gente, mangiare decentemente,<br />

scherzare talvolta, anche bere qualche bicchiere di vino.<br />

Fu appunto dopo quell’incontro che una notte, dopo essersi<br />

rivoltato a lungo nel letto, finalmente decise: doveva andare<br />

nella vecchia casa dei nonni nella stanzia di Midian, il villaggetto<br />

sperduto in quell’Istria che non aveva mai dimenticato,<br />

che era continuamente nei suoi sogni, la chiave ruggine<br />

conservata come una reliquia nel borsello che il padre alla sua<br />

morte gli aveva lasciato assieme al suo vecchio orologio. Si<br />

disse: certo, sarò solo anche lì, ma libero finalmente. Se la gente<br />

del posto mi cucirà addosso una figura, non potrà essere che<br />

di straniero il quale arriva per chiedere la carità di una piccola<br />

attenzione, di un saluto, di una parola buona, ma comunque<br />

sarò un uomo tra gli uomini.<br />

Ad un tratto, mentre steso sul sedile dell’autobus se ne stava<br />

con gli occhi socchiusi, gli parve di sentire il ronzio di un<br />

calabrone, poi il cinguettio degli uccelli, il verso del cuculo, il<br />

frinire di cicale, lo sbattere del picchio, di vedere lo snodarsi<br />

del viottolo che portava alla stanzia e, una volta arrivato sotto<br />

il grande gelso che sorgeva all’inizio dell’abitato, di sentire<br />

le voci acute delle donne che dalle finestre chiamavano i figli,<br />

anche il belare delle pecore, il ragliare degli asini, i muggiti<br />

delle vacche e dei manzi. Pure le bestemmie degli uomini. E<br />

fu così che su quell’autobus che filava veloce, dopo tante notti<br />

disperatamente insonni, s’addormentò. Un sonno profondo il<br />

suo, mentre la grande città spariva pian piano alle spalle, tutti<br />

i quartieri moderni, le enormi muraglie degli insulsi dormitori<br />

come il suo sparivano, si perdevano nel magico, fantastico verde<br />

della periferia dapprima e poi della campagna.<br />

Letture<br />

Dormì a lungo. Si svegliò e si riaddormentò più volte finché,<br />

dopo parecchie ore, uno scossone lo destò definitivamente.<br />

Allora strabuzzando gli occhi pulì gli occhiali con l’orlo<br />

della camicia, se li si sistemò sul naso, con la mente ancora annebbiata<br />

seguì per qualche tempo oltre il finestrino l’alternarsi<br />

dei dossi, delle dolinette, dei boschi di querce già di colore<br />

ruggine, dei campi, dei vigneti, degli oliveti, dell’intrico verdastro<br />

della macchia e quello grigiastro delle masere, infinito<br />

labirinto di muretti a secco.<br />

Dunque era arrivato in Istria e quando ad una svolta gli parve<br />

di conoscere i posti e che fosse giunto il momento di scendere,<br />

si decise: si alzò, si pose il suo voluminoso zaino sulle<br />

spalle, agguantò con una mano il borsone, si avvicinò timoroso<br />

all’autista dell’autobus, lo pregò gentilmente e quello quasi subito,<br />

un po’ brontolando, fermò l’automezzo ormai pressoché<br />

vuoto su una piazzola che s’allargava accanto alla strada. Così<br />

egli, per la verità un po’ a fatica, poté scendere prima ancora<br />

di arrivare a Dignano, proprio a due passi dal bivio per Gajan;<br />

alzò una mano in segno di saluto - hvala, grazie sior sofer, so<br />

ben che qua no’ xe stazion, hvala lijepa dovidjenja - scrollò un<br />

po’ le spalle per aggiustarsi il pesante carico e quindi, soprappensiero<br />

ma sollevato, soddisfatto, respirando a pieni polmoni<br />

s’avviò lentamente per il viottolo che si defilava tra due grosse<br />

masere, viottolo pietroso che avrebbe dovuto portarlo, non ne<br />

era molto sicuro comunque perché gli parve un po’ troppo curato,<br />

allargato, a quella stanzia Midian dove appunto sorgeva<br />

anche la vecchia casa della sua famiglia.<br />

Quei due poderosi muri a secco che si perdevano avanti,<br />

erano quasi soffocati da ammassi di sterpi, da rovi spinosi, da<br />

fitti ginepri, da ginestre, da biancospini carichi di bacche olivastre.<br />

In alto planavano i corvi neri e sotto, tra il fogliame marcio,<br />

qualche merlo zampettava, raspava indaffarato in cerca di<br />

chissà quali delizie. Anche se non era tornato da tanto da quelle<br />

parti, come avanzava gli parve di riconoscere ogni tratto del<br />

viottolo che s’inoltrava tra i troppi vedorni, i maggesi trascurati,<br />

tra oliveti abbandonati, tra qualche vigneto con i filari di viti<br />

dai tralci coperti da foglie rossastre, tra campetti di erba spagna<br />

ormai secca, tra grumassi di pietrame con, in un canto, qualche<br />

decrepita casita col tetto mezzo sfondato.<br />

Più avanti, ne era sicuro, il viottolo doveva infilarsi nella<br />

macchia stracolma di cespugli di cornioli e di ginepri, poi<br />

svoltare ad un bivio per Peroi prima e per Valmadorso e Santa<br />

Fosca dopo, quindi allungarsi dritto per un lungo tratto fino<br />

alla vecchia chiesa mezzo diroccata di San Tomà di Gusan per<br />

raggiungere il grosso gelso col tronco da un lato rivestito di<br />

muschio e quindi le poche case tutte affacciate in fila. Finiva<br />

quel viottolo in un altro più stretto e lungo che portava verso le<br />

rovine del castelliere di Mandriol dove quand’era ragazzo, durante<br />

le lunghe vacanze dell’estate, andava con gli amici Gigi<br />

e Ninetto a scovare i ramarri ma anche gli spiriti che - a detta<br />

delle comari chiacchierone sedute di sera sugli scagni davanti<br />

l’uscio di casa a prendere il fresco - nelle giornate di bora sospiravano,<br />

gemevano disperati, poveracci, forse anche perché<br />

ormai da secoli erano ridotti senza un tetto sulla testa.<br />

Su tutto quell’indimenticabile panorama - che Marco<br />

con grande nostalgia e anche con commozione ritrovò<br />

intatto - in quella stagione sovrastava un verde succhiato<br />

da una estrema umidità, un verde già polveroso, secco,<br />

grigio come l’erba del viottolo che lentamente lo accompagnava,<br />

avanti e avanti. E lui faceva un po’ di fatica a<br />

procedere, perché era cosparso di pietre, pietre frantuma-<br />

<strong>Panorama</strong> 35


36 <strong>Panorama</strong><br />

Letture<br />

te nei secoli dalle ruote dei tanti carri che erano andati ed<br />

erano tornati dalla campagna stesa fino al mare.<br />

Qualche volta nell’osservare quanto lo circondava, si commuoveva.<br />

E per questo, piuttosto turbato, doveva fermarsi per<br />

osservare meglio un qualche particolare: il tronco bozzoluto di<br />

un olivo centenario, le pratoline con la corolla al sole che punteggiavano<br />

un prato, le bacche rosse dei pungitopo, un nido<br />

abbandonato tra i rami di un cespuglio, il volo alto dei gabbiani.<br />

Poi riprendeva a camminare sereno, tranquillo, contento di<br />

essersi finalmente deciso di lasciare la baraonda di Zagabria,<br />

di tornare da quelle parti per poter trovare un po’ di serenità e<br />

di pace - così almeno sperava - e dunque fermarsi, forse anche<br />

per sempre, nella vecchia casa dei nonni da parecchi anni abbandonata.<br />

Una volta sistemato - lo aveva già deciso - si sarebbe avviato<br />

per i sentieri, ogni giorno un itinerario nuovo, per riscoprire<br />

la campagna, magari giù fino a Colomba, fino a Valmadorso,<br />

fino al mare. E poi voleva anche ritrovare le poche terre<br />

di famiglia, tutti i panorami che aveva quasi perduto, godere<br />

di nuovo dei profumi dell’aria, della carezza del vento e, nella<br />

bruma della sera, rivedere il distendersi della terra rossa nel<br />

velluto dei tramonti sfuocati. E, perché no?, anche chiamare<br />

gli spiriti, se davvero esistevano tra le nere muraglie franate<br />

del castelliere di Mandriol, perché gli narrassero tutte quelle<br />

storie che, tanti anni prima, la nonna aveva inventato per lui<br />

nelle lunghe serate dell’estate mentre se lo coccolava sulle ginocchia<br />

o mentre nell’ultima luce del crepuscolo continuava a<br />

sferruzzare tranquilla davanti la porta di casa seduta sullo scagno<br />

col cussin, qualche volta, poverina, grattandosi le gambe<br />

piene di vene varicose, oppure accarezzandosi con la mano<br />

stracca il mento, fitto di una peluria d’argento.<br />

Tutto ciò accadeva quando, finita la scuola, i genitori lo<br />

portavano difilato a Midian. Arrivavano tutti e tre da Pola a<br />

Dignano col treno, poi proseguivano a piedi ansando, magari<br />

con pacchi e valigie caricati su una carriola presa in prestito<br />

da un conoscente e riempivano la casa. Era allora che sua madre,<br />

bianca e sottile, dal sorriso altero e dallo sguardo severo,<br />

si metteva dei pantaloni corti, stinti, e magari brontolando - per<br />

mi mai un po’ de vacanze! - s’adattava a lavare i piatti, a mettere<br />

un po’ d’ordine in cucina, a pulire i pavimenti delle camere;<br />

suo padre invece, dopo aver, secondo lui, sgobbato tutta la<br />

giornata nella vigna o nei campi di famiglia, faccende che a lui<br />

proprio non garbavano - appena quindicenne, in piena guerra<br />

era scappato a Pola, apprendista in Arsenal - stravaccato su<br />

una vecchia panca, ascoltando il concerto dei grilli si sorbiva<br />

lentamente l’ultimo bicchiere di malvasia prima di levarsi il<br />

cappello unto bisunto, infilare le scale e andare a dormire nel<br />

gran letto, sbadigliando una buona notte.<br />

Al pensarci, una grande nostalgia gli riempì l’anima al ricordo<br />

di tutti quei lunghi periodi felici delle estati della sua infanzia<br />

- sì lunghi e felici perché al finire di una settimana o due,<br />

per fortuna suo padre e sua madre dopo mille ammonizioni e<br />

raccomandazioni se ne tornavano a Pola e lo lasciavano con la<br />

nonna - periodi pieni di fatti e di fatterelli che adesso, pur nella<br />

sua solitudine, troppo spesso gli era impossibile tirar fuori intatti<br />

dalla mente stanca.<br />

Immerso in un’ansia indefinita, a tratti sfuggente, camminò<br />

adagio un’ora buona. Poi ansante, anche stanco, si fermò.<br />

Posò il borsone per terra sul margine del limido fitto di piante<br />

di malva fiorita pur in quell’autunno inoltrato, si tirò giù anche<br />

lo zaino e si sedette su un sasso senza badar troppo all’erba<br />

ancora bagnata di rugiada che cresceva attorno. Raccolse una<br />

spiga secca di segala selvatica e se la infilò nella manica con le<br />

reste all’ingiù per vedere se dopo qualche movimento sarebbe<br />

rispuntata in alto sulla spalla come capitava quand’era un ragazzino.<br />

Sorridendo mosse lentamente il braccio e quando riapparve<br />

sull’orlo del collo, con il palmo della mano si asciugò<br />

il sudore che per l’emozione gli era apparso sulla fronte e annusò<br />

l’aria. Percepì subito il profumo delicato delle tome, gli<br />

elicrisi, quelle piante odorose dai fiori giallastri con le quali la<br />

nonna faceva le coroncine da ficcare tra le lenzuola e la biancheria,<br />

poi anche quello dei pochi, ultimi fiori delle ginestre,<br />

quello della menta quasi secca, del timo serpillo che cresceva<br />

presso la masera, quello più aspro del pelin che la nonna raccoglieva<br />

per fare un beveraggio alla vacca quando quela bastarda<br />

lazzarona si riempiva di troppa erba fresca e la pancia<br />

le si gonfiava e gonfiava, e poi magari bisognava correre in<br />

paese, chiamare il veterinario, el sior Giulio, sì, el sior Giulio,<br />

così si chiamava il vecchio col pancione che per ogni visita -<br />

quel fiolduncan - si faceva pagare in natura, due litri di olio o<br />

cinque di malvasia come minimo per un viaggetto con il suo<br />

scricchiolante carrozzino tirato da un mulo spelacchiato, così<br />

che suo padre, se per caso era ancora da quelle parti in vacanza<br />

a sfacchinar come un mulo - così diceva lui perché la campagna<br />

non gli piaceva affatto, del resto aveva il suo posto a Scoglio<br />

Olivi, al tempo dei drusi avrebbe voluto andare come tutti<br />

esule in Italia con la famiglia ma la domanda di opzione era<br />

stata respinta per l’ich del suo cognome - quando el conte magnamocoli<br />

come lui lo chiamava se ne sarebbe andato, poteva<br />

tirar giù tutta la sequenza delle sue parolacce, quelle che facevano<br />

imbestialire la nonna, che le facevano mettere il muso per<br />

almeno tre giorni, accendere vari lumini davanti alla Madonna<br />

del Rosario e anche gridare arrabbiata: bruto toco de lazzaron,<br />

bocca sporca va a confessarte che xe ora!<br />

Parve a Marco che in quel silenzio la campagna si allargasse,<br />

più piana di quanto ricordava, giù, giù verso il mare in<br />

quel fitto di vegetazione dai colori autunnali, tanti i gialli che<br />

talvolta sconfinavano nel violetto o nel rugginoso perdersi delle<br />

seraie, i boschetti di vecchie querce. Eh, già! Com’era bello!<br />

Vedorni e seraie, masere e stanzie, lachi e casite, grumassi<br />

e tome!, se li ricordava ancora quei nomi per lui ormai strani,<br />

perché nella sua infanzia, dal dialetto veneto istriano e dall’italiano<br />

delle elementari e delle medie era dovuto passare al croato,<br />

prima per studiare all’università e poi per lavorare in quella<br />

mefitica banca. Comunque li aveva messi tutti in un angolo<br />

della mente e nei momenti di nostalgia li tirava fuori, quasi per<br />

consolarsi, ridacchiando. Quanti nomi, quanti proverbi, quanti<br />

modi di dire, un’infinità. La nonna era una miniera inesauribile:<br />

el fruto no’l casca lontan da l’alboro; mejo un ovo ogi che<br />

‘na galina doman; chi che dà e po ch’el ciol, ghe vien la bissa<br />

soto el cor; la prima galina che canta ga fato l’ovo; chi che<br />

mori el mondo lassa, chi che vive se la spassa; chi che no ga<br />

testa, ga le gambe; l’ago e la pesseta mantien la poveretta; chi<br />

va in leto sensa sena, tuta la note se remena… Già, a pensarci<br />

bene, quella sera forse sarebbe toccato proprio a lui andare a<br />

letto senza cena e magari remenarse senza ciapar sono per le<br />

troppe emozioni di quella giornata!<br />

Ad un tratto, forse perché immerso in quell’ambiente e rincuorato<br />

dal ricordo di tutti quei proverbi e di quei modi di dire,<br />

sollevato, Marco scoppiò in un’allegra risata. In cuor suo ormai<br />

era sicuro di riuscire a ritrovare il tempo perduto. Poi s’accorse<br />

che, poco lontano, oltre un rombo, cioè una masera in


parte franata, c’era un tale con un berretto nero in testa che<br />

trafficava tra i cavi di un vigneto, potava le viti, levava i pali,<br />

di tanto in tanto li scaraventava in un mucchio scatarrando. Lo<br />

osservò meglio. Ma sì, doveva proprio essere Luigi, meglio<br />

Gigi, quello che non s’era mai mosso da Midian, o forse s’era<br />

allontanato solo per un breve periodo in Bosnia a fare il militare<br />

al tempo della socijalistička Jugoslavia come era toccato a<br />

lui del resto, che era finito in quel di Jajce. Dunque quel Gigi,<br />

con il quale aveva fatto le corse con i cerchi arrugginiti delle<br />

vecchie botti spingendoli con un uncino di fil di ferro, poi le<br />

gare di chi pisciava più lontano, anche le pugnete s’erano fatti<br />

assieme quando ben nascosti nei campi tra le piante alte del<br />

granturco parlavano di tette e di culi di donne o quando scappavano<br />

giù fino al mare per andare a fare il bagno nudi inseguiti<br />

dai cani. Lo capì da quei suoi baffoni grigi che gli pendevano<br />

sopra la bocca larga, spalancata e ansimante. E fu proprio Gigi<br />

che gridò, spalancando le braccia come se ad un tratto, miracolo!,<br />

avesse scorto un angelo del paradiso, meglio addirittura<br />

il padreterno:<br />

- Madona benedetta! Marcheto, ti son propio ti!<br />

- Sì, son propro mi!<br />

- Jesus Maria!<br />

Piantò viti e pali il baffone, con i suoi scarponacci infangati<br />

quasi di corsa s’avviò al porter e anche Marco, raccolti zaino e<br />

borsone, trafelato s’affrettò ad andargli incontro:<br />

- Sei proprio tu!<br />

- Eh, sì. Finalmente mi sono deciso a tornare da queste parti.<br />

- Mi fai restare con la bocca aperta!<br />

- Ma sì, starò qui almeno per qualche tempo, vedrò, magari<br />

per sempre.<br />

- Come farai? Solo in questo deserto! Sei matto?<br />

- Nella vecchia casa dei nonni…<br />

- Sempre ben chiusa, eh, sempre! Perché ci penso io a fare<br />

la guardia.<br />

- Grazie Gigi, grazie.<br />

- Non si sa mai con certa gente che va in giro in cerca di<br />

avventure. Intendo a cercar case vuote da pagar poco. Già, ma<br />

tanto, se soltanto la tua fosse vuota! Credimi stanzia Midian è<br />

ormai deserta da tanto. In quanti siamo rimasti?<br />

- Pochi?<br />

- Sei, e soltanto quattro case aperte. Piene de veci squasi<br />

tuti imbambinidi. Le altre spalancano le finestre qualche volta<br />

di domenica se i benedeti fioi si disturbano di venire ad aprirle!<br />

Capirai che fatica per loro, arrivare da Pola o da Rovigno, magari<br />

da Trieste fino qui in auto adesso che hanno pulito, allargato<br />

il limido, te ne sarai accorto anche tu come l’hanno messo<br />

bene, tuti lustri lustri ‘sti turisti!, le done anca coi tacheti<br />

a spilo e le tete fora, e magari brontolano solo perché devono<br />

aggiustare un qualche copo fatto volare di traverso dai refoli<br />

della bora!<br />

Si abbracciarono commossi.<br />

- Gigi, te vedo ben!…<br />

- Anche ti, sempre compagno, Marcheto!<br />

- Eh, compagno, preciso! Anca mi co’ la muffa ormai, da<br />

tanto…Troppa muffa, in testa soprattutto. Che non so, non riesco<br />

a togliermi.<br />

- Dunque ti sei deciso di lasciare le tante comodità del tuo<br />

casermone…<br />

- Nella metropoli. Già, adesso Zagabria la chiamano metropoli<br />

questi cuchi, e mi fanno ridere! Mah, vedremo. Per il momento<br />

ho deciso così…<br />

Letture<br />

- Mi fa piacere. Per poter fare qualche chiacchiera assieme,<br />

riempire qualche lunga serata d’inverno sentai sul fogoler,<br />

quando soffierà la bora e non si potrà mettere fuori neanche<br />

il naso.<br />

- Abbiamo tante cose da ricordare!<br />

- Quante estati passate insieme, eh, ti ricordi? Però tornare<br />

in ‘sta nostra stanzia, sistemarti, abituarti, non ti sarà mica facile.<br />

Davvero. Solo e alla tua età per giunta. Meglio alla nostra<br />

età perché anche noi, mia moglie ed io voglio dire, a malapena<br />

tiriamo avanti, proprio, pensando ad un domani sempre più incerto,<br />

anzi davvero pessimo!<br />

- Spero di farcela…<br />

- Qui, e non par vero, ormai siamo troppo lontani dal mondo.<br />

Manca tutto. Abbiamo ancora le lampade a petrolio e qualche<br />

volta d’estate manca l’acqua perché le cisterne si asciugano.<br />

Per andare a fare la spesa sono chilometri! Da fare a piedi.<br />

O magari in bicicletta se hai soldi per comperartela. Dammi la<br />

borsa che ti aiuto…<br />

- Ma e il tuo lavoro in vigna?<br />

- Sta arrivando l’inverno. Ho già raccolto le olive e le ho<br />

portate nel torchio, ho seminato un paio di vanese di frumento,<br />

ho tutto l’inverno per mettere a posto le vigne così che ora di<br />

tempo ne ho da buttar via. Andiamo va…<br />

- Andiamo…<br />

- Solo non ti capisco. Ecco, lasciare una bella città per venire<br />

qua tra queste quattro masere! Mah… no parlo più! Afari<br />

tui…<br />

S’incamminarono uno di fianco all’altro. Poi Marco cominciò<br />

ad ansimare, ad inghiottire la saliva a fatica come se<br />

volesse parlare e non trovasse le parole. Si fermò. A stento disse:<br />

- Devi capirmi Gigi. Erano mesi che mi preparavo, che<br />

dentro mi rodeva l’ansia. Praticamente da quando sono in pensione<br />

e le mie giornate sono vuote, fatte di niente! Amici non<br />

ne ho. Dove vivo non sono mai riuscito a farmene. Di sinceri,<br />

voglio dire. Per questo mi sono preparato a questo ritorno. In<br />

città, in quella Zagabria che non ho mai digerito, troppo lontana<br />

dal mio essere, dal mio pensare, non ci potevo più stare. La<br />

mia è stata una vita sprecata, davvero tutta sprecata… Dora se<br />

n’è andata, dopo un’ultima lite anni fa mi ha piantato, pare abbia<br />

trovato un altro, sai, di quelli in alto, co’i schei come la voleva,<br />

come pretendeva, e di figli, per fortuna, non ne abbiamo<br />

avuti. Anzi, voluti… Vivevo solo da troppi anni. Nella noia e<br />

nella disperazione.<br />

Gigi lo guardò e poi mormorò:<br />

- Non è che qui sarà molto diverso… Sarai solo anche qui.<br />

Marco parve non sentirlo. Disse afflitto:<br />

- Ogni giorno, anzi meglio ogni notte, durante la mia inguaribile<br />

insonnia, gli occhi aperti nel buio, ho ripassato tutto,<br />

ma tutto di questa terra e di quei periodi in cui qui sono vissuto,<br />

anzi in cui qui sono cresciuto. In quelle interminabili notti<br />

vedevo i parenti, la gente, poi le seraie, i campi, gli oliveti,<br />

le vigne, i vedorni, le verdure negli orti, le rovine su a Mandriol<br />

e le poche case tutte in fila con le persiane spalancate al<br />

sole…<br />

- Te l’ho già detto, molte case sono chiuse da parecchio,<br />

qualche tetto sta per crollare e c’è gente che capita ogni tanto,<br />

gente che vorrebbe comperare, con le auto che ci sono adesso è<br />

facile arrivare fin qui, intendo per serti novi siori, venire con le<br />

loro ganghe in campagna, avere qui una seconda casa, è diventato<br />

di moda… (1 - con tinua)<br />

<strong>Panorama</strong> 37


Fin dal primo periodo trascorso a Pirano (1941-<br />

1953), e poi specie negli anni successivi, a Trieste,<br />

ho constatato che sapevamo e si sapeva ben poco<br />

sull’origine dei cognomi piranesi e istriani. Bisognava<br />

quindi approfondire la questione, e mentre stavo raccogliendo<br />

i materiali necessari per lo studio iniziando<br />

da quelli di Pirano mi capitò fra le mani il Dizionario<br />

dei cognomi italiani, pubblicato a Milano nel 1978 da<br />

Emidio De Felice, ove mi accorsi per prima cosa che<br />

l’autore nel suo pur documentato libro ignorava del<br />

tutto l’Istria, classificando come triestini ad esempio<br />

Apollònio, Muiesàn e Parenzàn che sono invece tipicamente<br />

istriani.<br />

40 <strong>Panorama</strong><br />

Ricerche<br />

Ho intrapreso così uno studio sistematico sui cognomi<br />

di queste terre, allargando man mano le ricerche<br />

fino a comprendere tutti quelli presenti fra Trieste,<br />

l’Istria, il Quarnero, Fiume e la Dalmazia. Il loro studio<br />

- va sottolineato - in quanto coinvolge diverse altre<br />

discipline (storia, geografia, araldica, lingue, dialetti,<br />

ecc.), ci permette di avere una maggiore conoscenza<br />

del nostro passato e delle nostre origini per esprimere<br />

in modo abbastanza esauriente la consapevolezza che<br />

siamo parte integrante di un’unica storia universale,<br />

intercollegati tramite i nostri avi da un intreccio di legami<br />

di sangue che ci affratella e ci unisce.<br />

L’Autore<br />

Che cosa ci dicono i cognomi usati in Istria, Quarnero, Dalmazia e Trieste<br />

I Descovich, otto famiglie morlacche<br />

di Marino Bonifacio<br />

Descovich, Desković, Dešković<br />

Cognome giunto a metà del ‘500 dalla Dalmazia meridionale<br />

in Istria, ove è attestato dal 20/12/1556 a San<br />

Lorenzo del Pasenatico con un ser Paulum Descovich<br />

(AMSI 9°, p. 316 e p. 322), avvertendo nel contempo che<br />

i Descovich sono una delle otto famiglie morlacche che<br />

nel 1558 fondarono Villanova di Parenzo (ACRSR 21°,<br />

1991, p. 201, nota 39).<br />

Un ramo del casato si è inoltre stabilito più a Nord nella<br />

zona di Grisignana, dove il 22/2/1580 era pievano di<br />

Villa Castagna presbiter Georgius Descovich de Bollara<br />

Grisignane (AMSI 94°, 1994, p. 222), cioè prete Giorgio<br />

Descovich di Bollara di Grisignana. La famiglia fondò<br />

appunto vicino a Grisignana la Villa Descovich, come anche<br />

comprovato dal fatto che nel 1720 viveva a Cittanova<br />

uno Jure fattor di Villa Descovich (ACRSR 19, 1988-89,<br />

p.116), ove si trattava di tale Jure (Giorgio) fattore della<br />

detta villa (= villaggio) ossia amministratore, dirigente.<br />

Tale villa evidentemente poi è scomparsa, presumibilmente<br />

nel corso dell’800, e non viene segnalata né dal Cadastre<br />

né da Perselli 1993. Il toponimo Descovici compare<br />

tuttavia in Alberi 1997 nella carta a p. 640.<br />

La succitata località di Bollara / Bolara è invece continuata<br />

fino a noi (nel 1945 era abitata da 22 famiglie pari<br />

a 99 persone), e nel 1775-76 gli eredi Descovich possedevano<br />

una costieretta in contrada di Bolara, nella quale<br />

c’era pure una costieretta bassa di Ive Descovich e altresì<br />

un coronal (campagna a gradoni) vicino alle case dei Descovich<br />

(Catastico 1775-76, pp. 112-13).<br />

Secondo il Cadastre nel 1945 vivevano 40 famiglie<br />

Descovich nell’Istria croata scritte (eccetto 1) Dešković,<br />

alcune delle quali diventate Desco, più 3 famiglie Deško<br />

divenute Desco nell’Istria slovena di cui 2 a Ospo (allora<br />

nel comune di Dolina cioè di San Dorligo della Valle, oggi<br />

sotto Capodistria in Slovenia) e 1 a Villa Decani. Così, in<br />

realtà vi erano soltanto 6 famiglie Dešković nel comune<br />

di Grisignana (5 a Bolara, 1 a Mengotti di Castagna), e le<br />

Spalato<br />

rimanenti nell’Istria orientale e nel Quarnero, ossia 20 famiglie<br />

Dešković nel comune di Moschiena (solo 1 a Moschiena-centro,<br />

8 a Valle di Moschiena, 3 a S. Antonio), 3<br />

nel comune di Laurana, 3 ad Abbazia (2 Dešković e 1 Descovich),<br />

8 nel comune di Cherso (di cui 3 a Caisole e 3 a<br />

Dragosetti), cui va aggiunta 1 famiglia Descovich di due<br />

persone a Pola in Brat-Šim 1985, I, p. 260.<br />

Oggi il cognome prosegue soltanto come Dešković in<br />

Istria (a Grisignana, Cittanova, ecc.), a Fiume, Zara e altrove<br />

(a Lubiana però anche come Desković), e a Trieste<br />

quale Desco, Descovich, Deskovic. Alcuni Desco / Descovich<br />

istriani ovviamente continuano pure fuori Trieste.<br />

La base del cognome Desković - come visto scritto<br />

Descovich in Istria fin dal 1556 a San Lorenzo del Pasenatico<br />

(Orsera) - è il nome croato Desko / Deško (le<br />

predette 3 famiglie Deško dell’Istria slovena erano sottinteso<br />

di origine croata), documentato ad Almissa (croato<br />

Omiš), località dalmata costiera poco a sud di Spalato,<br />

il 17/3/1235, giorno in cui Desco fu uno dei 79 cittadini<br />

della città (incluso il conte Colomanus, primo cittadino)<br />

che firmarono un atto di pace con Ragusa (Ljubić 1868,<br />

p. 52). Inoltre, egli rifece lo stesso giuramento di pace il


5/3/1245 a nome di tutto il comune di Almissa assieme al<br />

conte Nicolò figlio di Codimiro (cit., p. 68).<br />

Citiamo anche uno Zongelo de Desco il 10/11/1378 ad<br />

Arbe (Ljubić 1874, p. 115) e un Descus filius Cressie di<br />

Scutari l’11/10/1407 (Ljubić 1875, p. 103).<br />

Scala, Skala<br />

Cognome presente in Istria a Cittanova nel 1635 con<br />

un Francesco Scala (ACRSR 19°, 1988-89, p. 122), il<br />

quale però era di Rozzo. A conferma di quanto detto, uno<br />

Spiridione Spanić nato nel 1858 nell’orfanotrofio di Spalato,<br />

figlio di genitori ignoti, guardia di finanza, ha sposato<br />

l’8/2/1890 a Pirano una Giuseppa Scala nata nel 1862<br />

a Rozzo e abitante a Pirano, figlia di Francesco Scala e<br />

di Maria Krulčic, dinanzi ai testi Mario Scala calzolaio di<br />

Francesco e Pietro Scala fabbro.<br />

Il Cadastre segnala nel 1945 in Istria 1 famiglia Scala<br />

a Poglie di Rozzo, 2 famiglie Scala nel comune di Pinguente<br />

(1 a Pinguente e 1 a Lanischie), 1 famiglia Scala<br />

a Rovigno, 1 a Isola e 1 a Capodistria, la quale era impersonata<br />

da Mario Scala, titolare di un negozio di calzature,<br />

originario da Rozzo.<br />

Tra gli Scala pinguentini, Giovanni Scala fu uno dei 5<br />

componenti del Comitato che nel 1896 istituì a Pinguente<br />

la Società dei Cacciatori del Pinguentino, mentre Egidio<br />

Scala organizzò una sezione del Corpo Esploratori Italiani.<br />

Liberato Scala di Lanischie è invece perito nell’ultimo<br />

conflitto. Inoltre, nel 1945 vi erano delle famiglie Scala<br />

pure a Pola e a Fiume (si veda il sacerdote fiumano don<br />

Severino Scala, parroco degli italiani di Brooklyn, rien-<br />

Almissa-Omiš (Johan Hogmuller, 1839)<br />

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE<br />

ACRSR: Atti del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, Trieste-Rovigno<br />

dal 1970.<br />

Alberi 1997: Dario Alberi, Istria: storia, arte, cultura, Trieste<br />

1997.<br />

AMSI: Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e<br />

Storia Patria, Parenzo-Pola-Venezia-Trieste dal 1885.<br />

Brat-Šim 1985, I: Josip Bratulić i Petar Šimunović, Prezimena i<br />

naselja u Istri: narodnosna statistika u godini oslobođenja (Cognomi<br />

e località dell’Istria: statistica per nazionalità nell’anno<br />

della liberazione), libro I, Pola-Fiume1985.<br />

Cadastre: Cadastre national de l’Istrie d’après le Recensement<br />

du 1er Octobre 1945, a cura di Josip Roglić, Sušak 1946.<br />

Catastico 1775-76: Vincenzo Morosini IV, Catastico generale dei<br />

boschi della provincia dell’Istria (1775-1776), a cura di Vjekoslav<br />

Bratulić, Collana di ACRSR n. 4, Trieste-Rovigno 1980.<br />

Grisignana<br />

Ricerche<br />

trato in Italia e morto a Roma), oggi proseguenti a Pola<br />

come Skala, cui vanno aggiunte 1 famiglia Skala a Promontore<br />

di Pola e 1 a Cittanova, diversamente da Fiume<br />

ove è rimasta la grafia italiana Scala.<br />

Gli Scala dell’Istria e di Fiume possono essere di origine<br />

veneta oppure dalmata, ramo degli Scala di Zara, ove<br />

ancor oggi vi sono delle famiglie Scala scritte Skala. Al<br />

momento non abbiamo però alcuna attestazione sugli Scala<br />

di Zara, di cui ignoriamo quindi se siano locali o di provenienza<br />

veneta, ad esempio veronese. Il cognome Scala è<br />

tuttora fiorente a Verona e provincia (specie a Caprino, Cerro,<br />

Costermano e Grezzana), e pare risalire a un Balduino<br />

Scala console di Verona nel 1147, da cui discese la signoria<br />

Scaligera cioè gli Scala / della Scala signori della città dal<br />

1259 al 1387 (Verona 2001, pp. 93, 100, 105, 113). Secondo<br />

Rapelli 2007, pp. 623-624, il cognome Scala di Cerro<br />

deriva dalla contrada Scala a nord di Bosco Chiesanuova,<br />

traente il nome da un Nicolò de la Scala, morto prima del<br />

1306, pertinente a un ramo secondario dei signori Scala /<br />

Della Scala, il cui capostipite era costruttore di scale.<br />

Scala è pure antico cognome di Milano, ivi ancor oggi<br />

ben presente (si veda la nota attrice, ballerina e cantante<br />

milanese Delia Scala), documentato dal 7/1/1337 (CDI)<br />

con un Franzolo de Lascala de Mediolano. Gli Scala di<br />

Trieste sono sottinteso di origine istriana, fiumana e zaratina,<br />

ricordando che alcune famiglie Scala di Fiume vivono<br />

anche in altre regioni italiane e 1 famiglia in Germania<br />

a Rodgau. (6 - continua)<br />

Le puntate precedenti sono state pubblicate nei numeri<br />

16, 17, 19 e 22 del 2009 e nel n. 1 di quest’anno<br />

CDI: Codice Diplomatico Istriano (in 5 volumi), di Pietro Kandler,<br />

Trieste 1847-1849.<br />

Ljubić 1868: Šime Ljubić, Monumenta spectantia historiam<br />

Slavorum meridionalium, vol. I, Zagabria 1868.<br />

Ljubić 1874: Šime Ljubić, Monumenta spectantia historiam<br />

Slavorum meridionalium, vol. IV, Zagabria 1874.<br />

Ljubić 1875: Šime Ljubić, Monumenta spectantia historiam<br />

Slavorum meridionalium, vol. V, Zagabria 1875.<br />

Perselli 1993: Guerrino Perselli, I censimenti della popolazione<br />

dell’Istria, con Fiume e Trieste, e di alcune città della Dalmazia<br />

tra il 1850 e il 1936, Trieste-Rovigno 1993.<br />

Rapelli 2007: Giovanni Rapelli, I cognomi del territorio veronese,<br />

Caselle di Sommacampagna (Verona) 2007.<br />

Verona 2001: Storia di Verona: caratteri, aspetti, momenti, di<br />

vari autori, Vicenza 2001<br />

<strong>Panorama</strong> 41


Bambini violenti che maltrattano<br />

i compagni sin dalle elementare<br />

inferiori, adolescenti che umiliano<br />

altri adolescenti (con i compagni che<br />

filmano tutto con il telefonino) già dalle<br />

elementari superiori, branchi di bulletti<br />

che si “calano” in centro per rubare nei<br />

supermercati alle medie, ragazzine e ragazzini<br />

di 15 anni che usano i gabinetti<br />

delle scuole per far quelle cose (magari<br />

facendosi “pagare” con una ricarica<br />

del cellulare) che i loro genitori (se lo<br />

fanno ancora) sono usi a praticare nella<br />

stanza da letto, giovinette di 17 anni che<br />

si mettono davanti alla telecamera del<br />

computer e vendono la loro nudità via<br />

internet, teen-agers che risolvono i problemi<br />

con coltelli e persino pistole, brutalità<br />

inaudite e addirittura omicidi tra<br />

minorenni. E poi la droga. La tremenda<br />

guida veloce, spesso in stato etilico.<br />

E quello smisurato desiderio di protagonismo<br />

che a quell’età troppo spesso fa<br />

rima con arroganza.<br />

Sono troppi i fenomeni di devianza<br />

comportamentale tra i giovani e i giovanissimi.<br />

Forse oggi se ne scrive più di<br />

venti o trent’anni fa, ma anche a tatto si<br />

avverte l’impressione che i sentieri solcati<br />

dai giovani di oggi sono marchiati<br />

da sangue, ingiurie ed offese molto più<br />

che in passato. Le pagine dei giornali ne<br />

sono traboccanti quotidianamente, con<br />

cronache di vandalismo e sadismo che a<br />

volte è difficile persino immaginare. E i<br />

genitori che hanno figli di quell’età devono<br />

convivere con la consapevolezza<br />

che magari un’uscita al cinema, in discoteca<br />

o in pizzeria troppo spesso può sfociare<br />

in una scazzottata, quando non in<br />

una pugnalata o in uno stupro. E quando<br />

ti rubano il telefonino e 10 euro (o 100<br />

kune) vuol dire che ti è andata bene.<br />

È di questo gravissimo fenomeno<br />

che si è occupata Giuliana Vitassovich,<br />

nata a Pola ma residente a Vicenza, nel<br />

suo saggio “Forme di trasgressione adolescenziali<br />

attuali: cause e rimedi” pubblicato<br />

sul sito Internet www.crimine.<br />

net. Giuliana studia a Padova Scienze<br />

criminologiche ed investigative e collabora<br />

con un istituto investigativo: in tv<br />

guarda i reality show “a livello sociologico,<br />

a parer mio hanno il loro perché.<br />

Sono rappresentazioni catastrofiche<br />

della società odierna”. Ed ha ragione.<br />

Il suo intervento sulla trasgressione<br />

adolescenziale parte dalla constatazione<br />

58 <strong>Panorama</strong><br />

JKL Il canto del disincanto<br />

Vitelloni violenti<br />

che nell’l’adolescenza “la trasformazione<br />

mentale avviene intorno ai 12 anni<br />

quando cambiano i rapporti fra pensiero<br />

ed emozioni attraverso una serie di adattamenti<br />

graduali nel tempo. È un momento<br />

di stravolgimento psichico che è<br />

indispensabile per raggiungere un nuovo<br />

equilibrio. Sarà la crisi che precede<br />

il progresso”. Ma con il progresso, iniziano<br />

i problemi, cioè la “crisi” nel suo<br />

signifcato di “cambiamento”. “A questo<br />

punto il bambino” scrive Giuliana Vitassovich,<br />

“vorrà sperimentare e realizzare<br />

le proprie fantasie. Le barriere, le imposizioni<br />

che prima accettava ora diventano<br />

ostacoli da superare perché già fantastica<br />

su ciò che vi può essere al di là. A<br />

volte l’adolescente crea un mondo tutto<br />

suo, elaborato dal suo pensiero, un mondo<br />

egocentrico che egli vuole imporre<br />

agli altri”. Il fatto è che “il crearsi un’illusione<br />

di un mondo corrispondente alle<br />

proprie idee può provocare una perdita<br />

di un corretto giudizio di realtà. Spesso<br />

l’adolescente non si adegua alla realtà<br />

ma al contrario prova a cambiarla. Spesso<br />

si convince di essere già al pari degli<br />

adulti o superiore ad essi e cerca in tutti<br />

i modi di dimostrare questa sua unicità<br />

attraverso il fervente perseguimento di<br />

ideali di qualsiasi tipo: politici, mistici,<br />

musicali ma anche criminali. Coloro che<br />

incappano nell’insuccesso in questo tentativo<br />

di imporsi, spesso sono vittime di<br />

depressioni e disagi”.<br />

Quali sono le cause del disagio?<br />

L’autrice le individua in fattori socioambientali<br />

(la precarietà economica, la<br />

disoccupazione, le condizioni abitative<br />

suburbane, spazi fatiscenti, luoghi di aggregazione<br />

spogli determinano un contesto<br />

socio-familiare carico d’ansia e di<br />

preoccupazione con frequenti dinamiche<br />

aggressive), in fattori psicologici e<br />

relazionali (il passaggio dall’infanzia<br />

all’età adulta esprime sempre una sofferenza<br />

psichica come risultato di una lotta<br />

tra il desiderio di andare avanti e quello<br />

di restare bambino) e in fattori educativo-affettivi<br />

(la solitudine, la frequente<br />

conflittualità generazionale). “Da questi<br />

fattori”, scrive la Vitassovich, “spesso in<br />

relazione fra loro, si determinano comportamenti<br />

a rischio” e individua ben 15<br />

forme di trasgressione, alcune delle quali<br />

sfociano in patologie vere e proprie: si<br />

va dal disadattamento generico al teppismo,<br />

al furto e al vandalismo, dalla violenza<br />

(qui, con il bullismo, entra prepotentemente<br />

in gioco il linguaggio del<br />

corpo) al tentato suicidio, dall’asociali-<br />

di Silvio Forza<br />

tà e depressione al linguaggio scurrile,<br />

dall’anoressia e bulimia alla droga (alcolismo<br />

e altre dipendenze), dalla propensione<br />

al rischio alla fobia della scuola.<br />

E poi ancora la fuga da casa, l’ansia<br />

e il delirio (crisi di rifiuto della realtà).<br />

Dunque siamo davanti ad un cattivo rapporto<br />

con se stessi, con i coetanei, con<br />

gli insegnanti, con i genitori e in genere<br />

con gli altri. E siccome “gli adolescenti<br />

non sono in grado di prevedere le conseguenze<br />

dei propri atti e di capire gli effetti<br />

emotivi e psicologici delle proprie gesta<br />

sulle altre persone” ecco allora che il<br />

disadattamento può sfociare in deliquenza<br />

e crimine.<br />

Quali i rimedi? “Le strategie preventive”<br />

, scrive Giuliana, “possono essere<br />

attuate nei contesti inerenti la realtà<br />

fattuale in cui l’individuo vive, tipo<br />

la scuola, in cui si dovrebbero portare<br />

avanti dei progetti in cui si devono addestrare<br />

i giovani a resistere alle pressioni<br />

del gruppo dei pari, immunizzarli contro<br />

i messaggi dei mass media, informare le<br />

famiglie sul fenomeno (...), rafforzare<br />

l’immagine del ragazzo e dare maggiori<br />

informazioni sugli effetti dannosi delle<br />

sostanze stupefacienti”, per giungere<br />

a ciò che il criminologo americano Travis<br />

Hirschi ha chiamato “controllo sociale”.<br />

Nella sua Teoria Hirschi ha osservato<br />

che “più che chiederci quali siano<br />

i fattori che determinano il passaggio<br />

all’atto criminale, dovremmo interrogarci<br />

su quali siano i motivi che impediscono<br />

la commissione di atti criminali”.<br />

Giuliana Vitassovich conclude che<br />

il controllo sociale informale si esercita<br />

tramite “l’attaccamento alla famiglia ed<br />

alle figure genitoriali, l’impegno in attività<br />

convenzionali, il coinvolgimento<br />

in attività ricreative e culturali, la convinzione<br />

della naturalità delle istituzioni<br />

del controllo”. Fatto salvo il fatto che la<br />

prevenzione, ma anche “la salvezza per<br />

qualsiasi devianza deve giungere dalla<br />

famiglia”. E, ovviamente, dalla scuola:<br />

il compito degli educatori deve essere<br />

quello di aiutare i ragazzi “a congiungere<br />

l’illusione e la ragione (il cuore e<br />

la mente) perché si possano formare la<br />

personalità, la dignità e la vitalità” e perché<br />

essi possano “adattare i loro valori<br />

astratti alle esigenze della società in<br />

cui vivono sviluppando l’attitudine alla<br />

cooperazione e alla solidarietà. In questo<br />

modo essi entrano in possesso di una<br />

propria personalità, cioè di un adeguato<br />

inserimento nella collettività umana”.<br />

C’è da pensarci su. E parecchio.●


Duino: storia, suggestione, arte<br />

Un magico intreccio di storia, arte e<br />

mondanità è a disposizione dei visitatori<br />

con un’impareggiabile visione<br />

sul Golfo di Trieste. Parliamo del Castello<br />

di Duino, il cui percorso turistico<br />

comprende la visita alla splendida dimora<br />

storica dei Principi della Torre e Tasso<br />

(Thurn und Taxis), il grande parco a<br />

picco sul mare e il bunker della seconda<br />

guerra mondiale trasformato in un piccolo<br />

museo scavato nella roccia. La riapertura<br />

giornaliera del Castello (tranne<br />

il martedì, giorno di riposo) dopo la pausa<br />

invernale, ha coinciso con l’inaugurazione<br />

di una prestigiosa mostra di strumenti<br />

musicali antichi ed è caratterizzata<br />

da una importante novità: per la prima<br />

volta i turisti possono raggiungere e<br />

visitare anche i ruderi del Castello Vecchio,<br />

che si ergono sugli scogli a livello<br />

del mare (sorto nel primo secolo del<br />

primo millennio sui resti di un tempio<br />

druidico dedicato al Dio Sole è legato<br />

ad un breve soggiorno di Dante Alighieri<br />

e alla leggenda della “Dama Bianca”).<br />

Al castello è tornata, dopo cinque anni,<br />

la Mostra di strumenti musicali storici<br />

al servizio di una tradizione vivente<br />

della prestigiosa collezione Orpheon di<br />

strumenti musicali antichi del professor<br />

José Vázquez dell’Università di Musica<br />

di Vienna. L’accesso avviene per gruppi,<br />

su prenotazione e in orari prestabiliti:<br />

il biglietto d’ingresso intero costa 7<br />

euro ma sono previsti sconti per i gruppi,<br />

bambini e over 65.<br />

<strong>Panorama</strong> 59

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