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Anno LVII - N. 6 -31 marzo 2010 - Rivista quindicinale - kn 14,00 - EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401<br />
<strong>Panorama</strong><br />
www.edit.hr/panorama<br />
Croazia e Serbia: nuove<br />
alleanze per l’Europa
La Parenzana scolpita nella traversina<br />
La Parenzana, emblema dell’Istria e di Isola<br />
nei primi decenni del secolo scorso. A ricordo<br />
lo smantellamento della ferrovia, alla Comunità<br />
degli Italiani di Palazzo Manzioli l’artista<br />
capodistriano Loris Morosini ha consegnato la<br />
sua scultura La Parenzana ricavata direttamente<br />
da una traversina della ferrovia a scartamento<br />
ridotto. Tratteggiando la storia della linea, il<br />
presidente della CI, Silvano Sau, ha sottolineato<br />
che, per il suo valore storico e simbolico, la<br />
scultura di Morosini ha trovato la sede ideale a<br />
Palazzo Manzioli, altro importante monumento<br />
della storia isolana e istriana. Per il critico d’arte<br />
Enzo Santese, “l’artista coniuga la vocazione<br />
alla scultura con lo studio delle combinazioni<br />
morfologiche offerte dal legno. Frammenti,<br />
radici e oggetti scartati dalla loro originaria<br />
funzione entrano nella sua poetica a proclamare<br />
che nell’esistente c’è già il nucleo di partenza<br />
per un’avventura da affrontare. Lavorando il<br />
pezzo di traversina ha così mantenuto l’innesto<br />
originale del bullone (per non cancellare il ruolo<br />
del legno nelle strade ferrate), creando nella<br />
porzione lignea una sorta di bifrontalità: un lato,<br />
forato e bruciato, che rimanda al lavoro delle<br />
fiamme, l’altro, incavato e liscio, all’azione del<br />
vento o allo scorrere delle acque, quale sorta di<br />
‘reperto calcareo’. In ogni caso ‘La Parenzana’<br />
si situa nello spazio con una risonanza totemica,<br />
capace di esprimere l’intera forza di un simbolo<br />
racchiudente tanta parte della storia istriana<br />
(viaggi, emigrazioni, comunicazioni, commerci,<br />
etc)”. La serata è stata introdotta da alcuni<br />
canti di Dario Marušič che hanno preso spunto<br />
proprio dalle vicende legate alla “Parenzana”.<br />
2 <strong>Panorama</strong>
di Mario Simonovich<br />
Sembravano tanti e piuttosto decisi,<br />
gli agricoltori croati che nei<br />
primi giorni di marzo avevano<br />
istradato a migliaia i loro trattori per<br />
chiedere al Governo di saldare quello<br />
che consideravano il suo perdurante<br />
debito nei loro confronti. Anche<br />
solo a guardarla alla TV, la massa di<br />
mezzi agricoli che invadeva le carreggiate,<br />
incuteva una certa impressione.<br />
E se fossero veramente andati avanti,<br />
fino al cuore di Zagabria, come minacciavano?<br />
Chi ha una certa memoria<br />
ricorderà che, un paio di settimane<br />
prima, al momento in cui erano giunte<br />
al culmine le proteste degli allevatori,<br />
erano bastati i cenni perentori di<br />
tutt’altro che nutrite pattuglie di polizia<br />
per sgomberare le viabili, di regola<br />
chiude in un solo senso.<br />
Con gli agricoltori lo scontro ha<br />
raggiunto un livello più alto: carreggiate<br />
bloccate in ambo i sensi, richieste<br />
perentorie e musi duri verso i poliziotti,<br />
stavolta presentatisi non con<br />
l’uniforme “urbana” bensì in tenuta<br />
antisommossa. Scelta pertinente,<br />
come si è visto nell’accenno a quello<br />
scontro fisico non lontano da Vinkovci,<br />
che minacciava di dilagare a<br />
macchia d’olio fra i dimostranti esasperati<br />
accanto ai loro quattrocento<br />
trattori. Fortunatamente ad essere<br />
spinti con violenza, a quel che si<br />
sa, furono non più di un paio di poliziotti,<br />
il che permise ad ambo le parti<br />
di minimizzare quanto era avvenuto.<br />
Non c’era stato alcun contatto<br />
né conflitto, dissero concordemente.<br />
Peccato che dalle telecamere venisse<br />
una testimonianza che li contraddiceva<br />
in assoluto, ma chiunque ragionasse<br />
con un filo di saggezza non poteva<br />
che condividere la bugia detta a<br />
fin di bene.<br />
Il livello successivo è stato raggiunto<br />
a Vranjic, la cittadina dalmata<br />
non lontana da Spalato dove si trova<br />
la fabbrica Salonit, spina nel fianco<br />
non solo dell’amministrazione locale<br />
in seguito ad una gestione ormai<br />
da anni in perdita - tanto da arrivare<br />
al fallimento - ma anche delle autori-<br />
In primo piano<br />
Taluni piccoli dettagli indicano che in Croazia la sopportazione è al limite<br />
Gli oppressi spostano i paletti<br />
tà mediche, in quanto estremamente<br />
pericoloso focolaio di una delle più<br />
pericolose affezioni derivate dalla<br />
produzione industriale: l’asbestosi.<br />
L’insofferenza degli operai, che già<br />
in autunno aveva avuto un’eloquente<br />
epressione nell’occupazione dei<br />
locali della Contea spalatina, ora si è<br />
espressa in maniera ancora più tangibile.<br />
Decisi ad entrare nella fabbrica<br />
abbandonata per dar vita ad un’assemblea<br />
e trovati i cancelli chiusi,<br />
hanno “preso in mano la mazza della<br />
giustizia” come diranno poi. Ossia,<br />
hanno infranto con una sbarra di ferro<br />
la grande vetrata della portineria<br />
e sono entrati. Il tutto si è concluso<br />
con il successivo verbale di polizia.<br />
Nessun fermato, nessun denunciato.<br />
Perché questi eventi meritano una<br />
maggior attenzione? Perché presentano<br />
un elemento in comune: lo spostamento<br />
dei paletti della protesta un po’<br />
più in là, un po’ più avanti. Non c’è<br />
dubbio che la situazione nel paese in<br />
cui troppi “esemplari patrioti” si stanno<br />
rivelando di giorno in giorno d’essere<br />
ineguagliabili solo nell’arraffare<br />
il bene pubblico e lucrare in tutti i<br />
modi sugli strati più poveri e indifesi,<br />
sta peggiorando ormai da tempo. Nel<br />
contempo, con altrettanta chiarezza si<br />
evince che mai si è profilata una massiccia<br />
risposta organizzata al latrocinio<br />
e al depauperamento. Semmai il<br />
contrario, le poche volte che i nostri<br />
debilitati sindacati, o altri, hanno tentato<br />
di organizzare qualcosa, la risposta<br />
è stata tanto misera da impensierire<br />
chiunque conosca la situazione:<br />
gli inviti ai consumatori a un giorno,<br />
uno solo, di boicottaggio degli acquisti,<br />
è finita nel ridicolo, la protesta degli<br />
studenti, categoria “pensante” per<br />
eccellenza, si è conclusa in maniera<br />
ignominosa.<br />
In questi due casi, invece, lentamente<br />
ma con vigore, si sta facendo<br />
strada il barlume del cambiamento,<br />
la volontà degli oppressi di “battersi”<br />
per la partecipazione alla decisionalità.<br />
Sono, senza dubbio, fuocherelli,<br />
ma un giorno potrebbero essere<br />
ricordati come l’inizio del cambiamento.<br />
●<br />
Costume<br />
e scostume<br />
Istriani:<br />
no alla polizia<br />
Gli istriani mostrano poca<br />
propensione ad entrare in polizia.<br />
L’anno scorso sono pervenute<br />
al Ministero degli interni<br />
5909 domande, provenienti per<br />
la maggior parte (14 per cento)<br />
dalla Contea di Vukovar-Srijem,<br />
seguite da quella di Osijek e della<br />
Baranja (12 p.c.), e Zagabria, città<br />
compresa. L’Istria è stata invece<br />
presente con una percentuale<br />
ridottissima: 0,02 p.c., in parità<br />
esatta con le Contee di Segna e<br />
della Lika e del Međimurje. Un<br />
rapido calcolo dice che, considerate<br />
in termini assoluti, nel primo<br />
caso le domande sono state circa<br />
827, nel secondo poco meno di<br />
710 e per le tre aree amministrative<br />
di coda solo poco più di una<br />
(esattamente 1,19).<br />
Al Ministero il fatto viene<br />
spiegato innanzitutto con le<br />
maggiori possibilità occupazionali<br />
per i giovani che vivono in<br />
queste Contee rispetto ad altre.<br />
La tesi tuttavia non è aliena da<br />
qualche grossolanità. Se infatti è<br />
assolutamente accettabile in riferimento<br />
ad aree depresse quali<br />
Osijek o, e parecchio di più, Vukovar,<br />
come spiegare il numero<br />
tanto nutrito di domande sottoscritte<br />
dai giovani che vivono<br />
nella capitale, dove le possibilità<br />
occupazionali (e le paghe medie)<br />
si mantengono da sempre al<br />
massimo livello del paese? Allo<br />
stesso modo c’è da chiedersi,<br />
come mai non c’è adesione non<br />
solo in quell’Istria che in genere<br />
si è tenuta sempre alla larga<br />
dall’uniforme, ma anche in una<br />
Lika che da sempre è stata serbatoio<br />
di prim’ordine nel reclutamento.<br />
<strong>Panorama</strong> 3
<strong>Panorama</strong><br />
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<strong>Panorama</strong> testi<br />
N. 19 - 31 marzo 2010<br />
Sommario<br />
IN PRIMO PIANO<br />
In Croazia la sopportazione è al limite<br />
GLI OPPRESSI SPOSTANO I PALETTI ... 3<br />
di Mario Simonovich<br />
Abbazia, incontro storico tra Josipović e Tadić<br />
CROAZIA E SERBIA: NUOVE<br />
ALLEANZE PER L’EUROPA ....... 6<br />
a cura di Diana Pirjavec Rameša<br />
ETNIA<br />
Delegazione CNI in visita al premier Borut<br />
Pahor a 15 mesi dal suo insediamento<br />
SENZA RETROCEDERE SU BILIN-<br />
GUISMO E FINANZIAMENTI ...... 8<br />
di Diana Pirjavec Rameša<br />
ATTUALITÀ<br />
Italia-Russia, ambiziosi progetti<br />
SOUTH STREAM, SOTTO<br />
L’EGIDA DI ENI E GAZPROM ... 10<br />
a cura di Diana Pirjavec Rameša<br />
RIFLESSIONI IN CORNICE<br />
DI ALLUVIONI E ALTRE SPONDE ... 11<br />
di Luca Dessardo<br />
ITALIA<br />
Nelle regionali centrodestra da 2 su 11 a 6 su 7<br />
BERLUSCONI RIMONTA,<br />
LEGA A VALANGA ...................... 12<br />
a cura di Bruno Bontempo<br />
SOCIETÀ<br />
Sprecata nei paesi avanzati, agognata<br />
nelle aree più arretrate del globo<br />
ACQUA, UN FERMO DINIEGO<br />
ALLA PRIVATIZZAZIONE ........ 14<br />
di Marino Vocci<br />
ECHI DI STORIA<br />
A Santa Caterina, alle spalle di Fiume, gli<br />
impianti militari ancora in ottimo stato<br />
CHI DOVEVANO FERMARE<br />
QUELLE FORTIFICAZIONI? ...... 16<br />
di Franco Gottardi<br />
INTERVISTE<br />
Miljenko Jergović, intervistato durante la<br />
visita in Italia per presentare “Freelander”<br />
NEI BALCANI LE ILLUSIONI<br />
TI AIUTANO A VIVERE ............. 18<br />
di Diana Pirjavec Rameša<br />
CINEMA E DINTORNI<br />
”The hurt locker”, di Kathryn Bigelow,<br />
si è guadagnato due Oscar<br />
GUERRA, ABORRITA MA ANCHE<br />
TANTO AGOGNATA ................... 20<br />
di Gianfranco Sodomaco<br />
ARTE<br />
Ha ideato pure il sepolcro di Berlusconi<br />
PIETRO CASCELLA, SCULTORE<br />
DALL’ANIMO “MONUMENTALE” ... 22<br />
di Erna Toncinich<br />
ITALIANI NEL MONDO<br />
Sangregorio sulle dichiarazioni di Nardi<br />
IL DIRITTO DI VOTO<br />
RISPONDE ALLA LOGICA<br />
DELLA DEMOCRAZIA .............. 24<br />
a cura di Ardea Velikonja<br />
MADE IN ITALY<br />
Dall’ 8 al 12 aprile alla Fiera veronese<br />
A VINITALY IL BUSINESS<br />
È NEL BICCHIERE ..................... 26<br />
a cura di Ardea Velikonja<br />
REPORTAGE<br />
Record di produttori presenti quest’anno<br />
a Crassiza ad “Oleum Olivarum”<br />
SOSTENERE L’AUTOCTONIA<br />
DELL’OLIVO ISTRIANO ........... 28<br />
di Ardea Velikonja<br />
LETTURE ISTRIA NOBILISSIMA<br />
”RITORNO A MIDIAN” .............. 34<br />
di Mario Schiavato<br />
RICERCHE<br />
Che cosa ci dicono i cognomi usati in<br />
Istria, Quarnero, Dalmazia e Trieste<br />
I DESCOVICH, OTTO FAMIGLIE<br />
MORLACCHE .............................. 40<br />
di Marino Bonifacio<br />
MUSICA<br />
A 70 anni incide dischi e scrive<br />
MINA, INCANTATRICE SOLITARIA ... 42<br />
a cura di Bruno Bontempo<br />
SPORT<br />
Una sola rappresentante della narcisa<br />
Serie A nei quarti delle coppe europee<br />
CORO ITALIA: INTER, SALVACI TU... 44<br />
LJUBIČIĆ, 31 ANNI<br />
E IL DIRITTO DI SOGNARE ..... 45<br />
SIMON AMMANN PIGLIATTUTTO ... 46<br />
VLAŠIĆ, CORSA A OSTACOLI<br />
TRA INCOMPRENSIONI<br />
E SGAMBETTI ............................ 47<br />
a cura di Bruno Bontempo<br />
MULTIMEDIA<br />
Quali pregi e quali difetti (3 e fine)<br />
TOP TEN DEGLI ANTIVIRUS 2010 ... 50<br />
a cura di Igor Kramarsich<br />
RUBRICHE .................................. 52<br />
a cura di Nerea Bulva<br />
IL CANTO DEL DISINCANTO ... 58<br />
di Silvio Forza<br />
IN COPERTINA: L’incontro storico tra i Presidenti Josipović e Tadić ad Abbazia
Le ultime edizioni dei “Quaderni”<br />
(il ventesimo numero), delle<br />
“Ricerche sociali” (il sedicesimo)<br />
ed il 56.esimo numero del bollettino<br />
del Centro di ricerche storiche<br />
di Rovigno “La ricerca” sono stati<br />
presentati a Pola, città scelta non<br />
a caso dato che questa è stata pure<br />
l’occasione per presentare un nuovo<br />
validissimo volume ovvero il “Dizionario<br />
del dialetto di Pola” (nella<br />
foto) che costituisce il 31.esimo volume<br />
della collana più longeva del<br />
Jan Bernas (nella foto), giovane<br />
giornalista italiano, salernitano<br />
di origine polacca, tra cronaca<br />
e storia nel suo libro “Ci chiamavano<br />
fascisti. Eravamo italiani” ha<br />
cercato di ricostruire tassello dopo<br />
tassello l’intero mosaico, il dramma<br />
comune di un popolo: quello<br />
degli esuli e dei rimasti. E il libro,<br />
presente l’autore, è stato presentato<br />
di recente alla Comunità degli<br />
Italiani di Fiume e Pola davanti<br />
ad un folto pubblico che ha voluto<br />
capire come un autore così gio-<br />
Agenda<br />
Realizzato dal Centro di ricerche storiche di Rovigno nell’ambito degli «Atti»<br />
Nuovo Dizionario del dialetto di Pola<br />
Una commedia leggera, ironica e<br />
spassosa, che ritrae la vita delle<br />
donne, dall’infanzia alla vecchia-<br />
CRS: la collana degli “Atti”. Autori<br />
del nuovo dizionario sono la docente<br />
dell’Università di Pola, Barbara<br />
Buršić Giudici e Giuseppe Orbanich,<br />
“dialettofono appassionato”<br />
che ha dedicato all’imponente lavoro<br />
di raccolta dei lemmi e del corredo<br />
fraseologico che li esemplifica<br />
la bellezza di cinquant’anni. Il<br />
volume contiene un elenco di ben<br />
6000 lemmi su 314 pagine corredate<br />
da una setie di riproduzioni di fotografie<br />
d’epoca. Nell’ambito degli<br />
ia, nelle varie tappe di un’esistenza<br />
che raramente è noiosa e monotona.<br />
Questo in sintesi il contenuto di<br />
“Tutto sulle donne” il nuovo lavoro<br />
presentato dal Dramma Italiano di<br />
Fiume, autore Miro Gavran, traduzione<br />
di Silvio Ferrari.<br />
Comunque lo spettacolo non rispecchia<br />
il piano narrativo dell’opera<br />
originale: infatti nel suo adattamento<br />
teatrale Neva Rošić, la curatrice,<br />
con l’aiuto dell’intero gruppo<br />
di attori ha trasferito l’azione da<br />
Zagabria a Fiume nel contesto del-<br />
vane abbia voluto scrivere della<br />
storia delle nostre parti. L’autore,<br />
come ha spiegato alla presentazione,<br />
ha sentito l’esigenza di capire,<br />
di fare chiarezza, approfondire<br />
l’argomento, quando una sua insegnante<br />
cercò di “liquidare” la questione<br />
dell’esodo con una spiegazione<br />
spicciola: “Erano tutti fascisti”.<br />
Comprese già allora che era<br />
un’ingiustizia, che non poteva essere<br />
così. Ed è per questo che, oltre<br />
ad analizzare volumi e contributi<br />
storiografici, è voluto andare<br />
“Atti” finora sono usciti il Dizionario<br />
del dignanese, il Vocabolario dei<br />
dialetti di Rovigno, di Buie, di Capodistria<br />
e via dicendo. ●<br />
Il nuovo lavoro del Dramma Italiano scritto da Miro Gavran e tradotto da Silvio Ferrari<br />
Successo annunciato per «Tutto sulle donne»<br />
la realtà comunitaria italiana. Tutto<br />
quindi si inserisce in questa cornice<br />
a partire da certi comportamenti<br />
(mamme istriane e fiumane) fino<br />
all’uso della lingua, che abbraccia<br />
espressioni in dialetto fiumano e<br />
ciacavo oltre che in italiano e croato.<br />
Bravissime le tre attrici che interpretano<br />
i tre spaccati di vita, ovvero<br />
Elvia Nacinovich, Rosanna<br />
Bubola ed Elena Brumini, ciascuna<br />
delle quali si presenta in cinque<br />
ruoli diversi, in cinque storie intrecciate.<br />
●<br />
Presentato a Fiume e Pola il libro di Jan Bernas, giovane giornalista italiano<br />
«Ci chiamavano fasciti. Eravamo italiani»<br />
oltre, arrivare alle “fonti dirette”,<br />
alla gente che la storia l’ha vissuta<br />
sulla propria pelle.●<br />
<strong>Panorama</strong> 5
a cura di Diana Pirjavec Rameša<br />
senza cravatta», così<br />
è stato definito il ritrovo in-<br />
«Incontro<br />
formale tra il Presidente croato<br />
Ivo Josipović e l’omologo serbo<br />
Boris Tadić ad Abbazia. Grandi sorrisi<br />
e calorose strette di mano che annunciano<br />
un netto miglioramento nelle<br />
relazioni tra i due paesi<br />
L’incontro a sorpresa tra i Presidenti<br />
ha contribuito non poco al miglioramento<br />
delle relazioni tra i due<br />
Paesi. Su questo concordano sia Belgrado<br />
che Zagabria, condividendo<br />
la soddisfazione per il fatto che<br />
Josipović e Tadić siano riusciti ad<br />
“aggiustare” le relazioni politiche tra<br />
i due paesi dopo non poche “incomprensioni”.<br />
Nonostante fosse stato invitato,<br />
Tadić poco più di un mese fa non si<br />
era recato a Zagabria alla cerimonia<br />
di insediamento del terzo Presidente<br />
croato, adducendo a sua giustificazione<br />
il fatto che vi avrebbe trovato<br />
il Presidente del Kosovo, il nuovo<br />
stato la cui esistenza non è rico- nosciuta dalla Serbia e che Belgrado<br />
considera tuttora una sua provincia.<br />
Ma il vero problema nelle relazioni<br />
tra i due Paesi riguarda le denunce<br />
per genocidio, che la Croazia<br />
e la Serbia hanno presentato una<br />
contro l’altra alla Corte internazionale<br />
di giustizia dell’Aia. “Si potrebbero<br />
ritirare e il contenzioso risolvere<br />
con un accordo extragiudiziario”<br />
- hanno sostenuto ad Abbazia<br />
i due Presidenti. “Sarebbe opportuno<br />
risolvere la disputa tra i due Stati<br />
fuori dai tribunali, ma ciò non significa<br />
che si rinuncerebbe a perseguire<br />
i diretti responsabili per i crimini<br />
di guerra’’, ha detto Tadić. Nel 1999<br />
la Croazia aveva denunciato Belgrado<br />
per il genocidio commesso dalle<br />
truppe serbe durante il conflitto serbo-croato<br />
(1991-1995), ricorso contro<br />
il quale la Serbia ha risposto con<br />
una contro-denuncia tre mesi fa nella<br />
quale si sostiene che l’esercito e<br />
lo Stato croato sono responsabili di<br />
6 <strong>Panorama</strong><br />
In primo piano<br />
Incontro storico tra i Presidenti Josipović e Tadić ad Abbazia. Ora bisog<br />
Croazia e Serbia: nuove alleanze p<br />
L’evento sancisce l’inizio del<br />
disgelo tra Croazia e Serbia<br />
L’incontro “senza cravatta” tra i Presidenti Josipović e Tadić. E non è<br />
mancato nemmeno l’elemento sorpresa, visto che i media sono stati informati<br />
dell’evento solo nella giornata in cui questo doveva avvenire<br />
genocidio contro la minoranza serba<br />
in Croazia. “I rapporti tra i nostri due<br />
Paesi non dovrebbero restare ostag-<br />
gi dei criminali di guerra’’, ha osservato<br />
Tadić. I due Presidenti si sono<br />
detti pronti al tempo stesso a lavorare<br />
a favore dell’integrazione di Serbia,<br />
Croazia e dell’intera regione dei<br />
Balcani occidentali nell’Unione europea.<br />
Zagabria è nella fase finale<br />
del negoziato di adesione e potrebbe<br />
entrare nella Ue nel 2012, mentre<br />
Belgrado ha presentato domanda lo<br />
scorso dicembre, ma non ha ancora<br />
ottenuto lo status di paese candidato<br />
all’adesione.<br />
Il ritiro dell’accusa da parte della<br />
Croazia, ovviamente, significherebbe<br />
una mossa analoga da parte<br />
della Serbia, col che verrebbe tolto<br />
dall’ordine del giorno delle irrisolte<br />
questioni reciproche uno dei punti<br />
più dolorosi. Ma ve ne sono anche<br />
altri: i due Stati infatti devono ancora<br />
risolvere la questione delle persone<br />
scomparse durante la guerra, del<br />
rientro dei profughi serbi in Croazia,<br />
ma anche della restituzione di parte<br />
del patrimonio culturale croato portato,<br />
ai tempi della guerra, in Serbia.<br />
Le due ore scarse passate insieme -
na pensare al disgelo<br />
er l’Europa<br />
tanto i due Presidenti hanno discusso<br />
sul battello che li ha portati dall’aeroporto<br />
dell’isola di Veglia, dove è atterrato<br />
Tadić, fino ad Abbazia, dove<br />
hanno pranzato e passeggiato - sono<br />
state appena sufficienti ad aprire alcuni<br />
importanti argomenti che hanno<br />
pesato in passato sulle relazioni bilaterali.<br />
Josipović e Tadić avrebbero dovuto<br />
incontrarsi a Brdo kod Kranja alla<br />
riunione dei Paesi dei Balcani occidentali,<br />
incontro fallito perché il Presidente<br />
serbo non è andato a causa<br />
della presenza del Presidente del Kosovo.<br />
Sia Belgrado che Zagabria hanno<br />
ritenuto che l’incontro bilaterale<br />
dei due Presidenti sia stato meglio di<br />
qualsiasi colloquio di sfuggita in una<br />
qualche conferenza internazionale.<br />
Con questo gesto hanno anticipato,<br />
bisogna rilevarlo, le aspettative<br />
dei partner europei riunitisi il 26<br />
marzo a Bruxelles dimostrando di essere<br />
interlocutori affidabili per risolvere<br />
problemi nel sud-est europeo su<br />
di cui prima gli americani e poi l’Ue<br />
hanno decisamente fallito, come lo è<br />
stato quello della Bosnia.<br />
Le relazioni tra la Croazia e la<br />
Serbia sono cruciali per la stabilità<br />
della regione, e su questo insiste anche<br />
l’Unione europea. La Croazia sta<br />
superando le ultime tappe del percorso<br />
verso l’Unione, mentre la Serbia<br />
è solo all’inizio, ma la loro collaborazione<br />
significa molto più di buone<br />
relazioni reciproche. “Se la Croazia<br />
entra nell’Ue e la Serbia no, non sarebbe<br />
un bene né per la Serbia né per<br />
la Croazia”, ha detto Tadić durante il<br />
breve incontro con la stampa.<br />
“La Croazia deve essere interessata<br />
all’avanzamento delle relazioni<br />
con la Serbia anche per i vantaggi<br />
economici che potrebbero derivarne”,<br />
ha precisato la commentatrice<br />
dello zagabrese “Jutarnji list”, Jelena<br />
Lovrić.<br />
In questo momento la collaborazione<br />
economica è di gran lunga migliore<br />
e più sviluppata di quella politica.<br />
Non è la politica ad aprire lo<br />
spazio per intensificare le relazioni<br />
economiche, sono piuttosto i politi-<br />
ci a trottare al seguito degli imprenditori<br />
come nel settore del turismo<br />
e dell’interscambio commerciale.<br />
L’incontro di Abbazia - concordano<br />
gli analisti - è un importante stimolo<br />
per la collaborazione tra di due vicini.<br />
Benché né Tadić né Josipović abbiano<br />
grandi poteri e ancora meno ne<br />
hanno per poter risolvere i numerosi<br />
problemi tra Zagabria e Belgrado<br />
- perché ciò dipende più che altro dai<br />
rispettivi governi - il clima che hanno<br />
creato favorirà iniziative concrete.<br />
Archiviato questo dettaglio, e rinnovata<br />
l’amicizia anche personale<br />
tra i due Presidenti, sembra che<br />
Josipović e Tadić abbiano parlato di<br />
molte cose, convenendo quasi su tutto.<br />
Al centro dei colloqui, la cooperazione<br />
economica basata su progetti<br />
congiunti nel settore dell’energia,<br />
ed in tal senso “South Stream” si è<br />
rivelato ancora protagonista. L’accordo<br />
tra la Russia e la Croazia sulla<br />
cooperazione per la costruzione e<br />
lo sfruttamento del gasdotto “South<br />
Stream” è stato firmato il 2 marzo a<br />
Mosca, alla presenza del Primo ministro<br />
russo Vladimir Putin e del Primo<br />
ministro croato Jadranka Kosor. La<br />
Serbia aveva già firmato prima l’accordo<br />
con la Russia. L’amministratore<br />
delegato di Gazprom, Alexej Miller,<br />
ha recentemente dichiarato che il<br />
ramo “South Stream” per la Croazia<br />
potrebbe partire dalla Serbia o dalla<br />
Slovenia.<br />
Dopo che è stata esaminata anche<br />
la questione della proprietà legale<br />
In primo piano<br />
delle traduzioni croate dei documenti<br />
per l’adesione all’Ue, i Presidenti<br />
hanno rilevato che “questo problema<br />
dovrebbe essere risolto con la consegna<br />
dei medesimi”.<br />
Per quanto riguarda la situazione<br />
in Bosnia-Erzegovina, entrambi<br />
i Presidenti hanno sottolineato che<br />
l’integrità della Bosnia-Erzegovina<br />
è indiscutibile, e che la Croazia e la<br />
Serbia restano garanti dell’accordo<br />
di Dayton. “I cittadini della Bosnia-<br />
Erzegovina devono decidere da soli<br />
del proprio destino e noi siamo qui<br />
solo per aiutarli, con consigli ispirati<br />
ai valori europei”, ha detto Josipović.<br />
I giornalisti hanno voluto sentire anche<br />
previsioni circa il “ritorno” dei<br />
turisti serbi sull’Adriatico e Tadić ha<br />
risposto che è lui il primo turista serbo<br />
di quest’anno. “Tutti mi assicurano<br />
che i turisti provenienti dalla Serbia<br />
sono benvenuti in Croazia e che<br />
non c’è alcun motivo di preoccupazione<br />
per la loro sicurezza. Abbiamo<br />
bisogno di rompere alcuni stereotipi,<br />
questo è uno dei gesti più grandi che<br />
possiamo fare”, ha detto Tadić durante<br />
la sua passeggiata al parco della<br />
Pela del Quarnero. Scherzosamente<br />
ha aggiunto che l’unica questione<br />
su cui i Presidenti non si sono messi<br />
d’accordo è l’esito del prossimo incontro<br />
di Coppa Davis tra Serbia e la<br />
Croazia nel mese di luglio a Spalato.<br />
A questo punto, ironizzando, si potrebbe<br />
dedurre che anche per le questioni<br />
più delicate è comunque possibile<br />
trovare una soluzione. ●<br />
<strong>Panorama</strong> 7
8 <strong>Panorama</strong><br />
Etnia<br />
Qualificata delegazione della CNI in visita al premier sloveno Borut Pahor a<br />
Senza retrocedere su finanziamenti e<br />
di Diana Pirjavec Rameša<br />
I<br />
rapporti tra la CNI e Lubiana sono<br />
cordiali e basati sulla reciproca<br />
considerazione. Nonostante ciò<br />
esistono questioni aperte che si risolvono<br />
con difficoltà. Si lavora a<br />
favore di soluzioni che rispettino le<br />
esigenze e le aspettative di ambo le<br />
parti, ma i tempi, come spesso accade,<br />
sono molto lenti. Queste le conclusioni<br />
dell’incontro tra il Primo<br />
ministro sloveno, Borut Pahor, e gli<br />
esponenti della CNI, realizzato a distanza<br />
di 15 mesi dall’insediamento<br />
del premier.<br />
L’incontro è servito soprattutto<br />
per fare il punto sui non pochi problemi<br />
che rallentano e creano intoppi<br />
al funzionamento e all’attività<br />
della minoranza in Slovenia. In tal<br />
senso la delegazione di cui facevano<br />
parte il presidente della CAN costiera,<br />
Flavio Forlani, il presidente della<br />
Giunta esecutiva dell’UI, Maurizio<br />
Tremul, i presidenti delle CAN comunali<br />
di Pirano e Capodistria, Bruno<br />
Fonda e Alberto Scheriani, la vicepresidente<br />
della CAN di Isola, Lilia<br />
Petercol, ed il deputato al Parlamento<br />
sloveno, Roberto Battelli, ha<br />
consegnato al premier un documento<br />
in tredici punti corredato da una<br />
considerevole documentazione basata<br />
su esempi pratici, relativa alla<br />
mancata attuazione dei diritti minoritario<br />
riconosciuti dalla Costituzione<br />
e dalle vigenti leggi slovene. Uno<br />
degli argomenti che sta più a cuore<br />
ai rappresentanti CNI è il problema<br />
della Radiotelevisione e della carenza<br />
di finanziamenti destinati all’attività<br />
dei programmi in lingua italiana.<br />
Problemi ci sono anche per<br />
quanto riguarda le inadempienze del<br />
Governo nel rispettare i contratti relativi<br />
al pubblico impiego. Nel documento<br />
si parla pure della carente<br />
applicazione del bilinguismo e ne<br />
viene chiesta a chiare lettere l’applicazione<br />
pratica nei territori nazionalmente<br />
misti.<br />
Con Maurizio Tremul abbiamo<br />
voluto, qualche giorno dopo l’incontro,<br />
raccogliere le sue impres-<br />
sioni su questo appuntamento atteso<br />
per lunghi 15 mesi.<br />
”Mi aspettavo risposte più concrete<br />
e operative almeno sulle questioni<br />
urgenti che sono state poste. Il Presidente<br />
ha voluto in qualche modo<br />
approfondire alcuni aspetti delle tematiche<br />
che gli sono state presentate<br />
però su nessuna di queste ha assunto,<br />
in sede di incontro, precisi<br />
impegni né ha espresso chiaramente<br />
l’indirizzo del Governo né le proprie<br />
posizioni. Essendo stato il primo<br />
incontro ufficiale con il premier<br />
va rilevato che questo si è rivelato di<br />
carattere conoscitivo. Confido, nonostante<br />
ciò, che a seguito di questa<br />
prima presentazione delle problematiche<br />
e dei promemoria, al prossimo<br />
incontro avremo un riscontro concreto,<br />
che può essere negativo o parzialmente<br />
positivo, ma sempre meglio<br />
una risposta chiara ancorché negativa<br />
che un’assenza di risposta. Mi<br />
conforta l’impegno che il premier ha<br />
preso assicurando di voler analizzare<br />
i memo consegnati e di fornirci la risposta<br />
e la posizione del Governo” -<br />
ha spiegato il presidente della Giunta<br />
esecutiva dell’UI.<br />
”Va aggiunta un’altra cosa. Questi<br />
promemoria il gabinetto del premier<br />
li aveva a disposizione già da<br />
settembre dell’anno scorso e quindi<br />
queste tematiche non avrebbero<br />
dovuto rappresentare alcuna novità.<br />
Dietro a questo incontro vi è un’intensa<br />
attività diplomatica e una precisa<br />
analisi dei ‘mali’, si fa per dire,<br />
che incidono sulla vita della CNI e<br />
delle sue istituzioni.<br />
A Lubiana alla fine di marzo abbiamo<br />
consegnato due distinti blocchi<br />
di documenti elaborati congiuntamente<br />
da UI e CAN Costiera. Si<br />
tratta di alcuni testi che sono stato io<br />
a redigere ma comunque coordinati<br />
da UI e CAN assieme al nostro deputato<br />
Roberto Battelli. I due gruppi<br />
di documenti riguardano il Memorandum<br />
sulla CNI in Slovenia,<br />
un memo di 21 pagine in cui vengono<br />
elaborati 13 punti e altre 12 pagine<br />
di allegati nonché uno molto<br />
più sintetico di 2 cartelle e mezza e<br />
Maurizio Tremul, presidente<br />
della Giunta UI<br />
un’altra pagina e mezza di allegati.<br />
Il Memorandum più articolato,<br />
quello di 13 punti, è stato stilato<br />
nella primavera del 2009 sulla base<br />
di un documento più ristretto elaborato<br />
dall’UI che venne trasmesso<br />
dall’Ambasciata italiana di Lubiana<br />
al premier sloveno Borut Pahor. Su<br />
questo memorandum dell’UI il Governo<br />
sloveno ha fornito alcuni mesi<br />
dopo delle risposte per ogni singola<br />
tematica. Gli argomenti messi in<br />
evidenza riguardano tra l’altro i finanziamenti<br />
al settore dell’istruzione,<br />
il mantenimento nel capodistriano<br />
dell’italiano come lingua<br />
dell’ambiente, il finanziamento delle<br />
attività culturali, la creazione di<br />
una base economica per la CNI... In<br />
seguito su queste risposte ho preparato<br />
per conto dell’UI una contro risposta<br />
che poi è stata armonizzata<br />
con le CAN e con il deputato Battelli<br />
ed è stata riconsegnata a Pahor<br />
per tramite l’ambasciatore italiano<br />
Alessandro Pietromarchi, che qui<br />
vorrei sentitamente ringraziare perché<br />
ha voluto svolgere con indubbia<br />
efficacia una rilevante opera di<br />
sensibilizzazione presso il Governo<br />
sloveno sulle principali tematiche<br />
della nostra comunità nel senso<br />
che l’ambasciatore, nell’ambito<br />
dei suoi contatti istituzionali con il<br />
Governo, ha voluto presentare tra le
15 mesi dal suo insediamento<br />
bilinguismo<br />
varie questioni anche i punti essenziali<br />
delle problematiche della nostra<br />
Comunità”.<br />
È possibile fare una carrellata<br />
sulle questioni poste all’ordine del<br />
giorno?<br />
”Riassumere i 13 punti del documento<br />
considerata l’ampiezza potrebbe<br />
risultare un’operazione sin troppo<br />
articolata. Possiamo vedere allora le<br />
questioni più urgenti che sono state<br />
presentate al premier: in primo luogo<br />
va evidenziato il problema del finanziamento<br />
dei programmi italiani<br />
di RTV Capodistria e la Nuova legge<br />
sulla RTV slovena. La nuova legge<br />
rispetto alle versioni presentate in<br />
un primo momento è migliorata. Presenta<br />
però alcuni elementi pericolosi<br />
che se non vengono aggiustati, migliorati,<br />
rischiano di compromettere<br />
seriamente l’esistenza e l’autonomia<br />
dei nostri programmi. Il rischio di<br />
una mancata presenza garantita dei<br />
rappresentanti delle due Comunità<br />
nazionali in seno al Consiglio della<br />
RTV preoccupa, eccome. Nel documento<br />
si prevede infatti che il Capo<br />
dello Stato nomini un (1) rappresentante<br />
su proposta delle due comunità,<br />
quella italiana e quella ungherese.<br />
Noi questo lo riteniamo di dubbia costituzionalità<br />
perché priva le due Comunità<br />
minoritarie dell’autonomia di<br />
proposta, sottraendo in tal modo soggettività<br />
agli organismi minoritari.<br />
Per questo motivo chiediamo che le<br />
due comunità continuino a nominare<br />
i propri rappresentanti, anche perché<br />
in questo modo viene assicurata<br />
la loro partecipazione alla gestione”.<br />
Mi risulta che ci siano problemi<br />
anche legati ai finanziamenti...<br />
“L’altro problema, indubbiamente,<br />
è rappresentato dai finanziamenti.<br />
La legge stabilisce che la RTV possa<br />
svolgere due funzioni, quella di<br />
pubblica utilità e funzioni commerciali.<br />
Tra le funzioni di pubblica utilità<br />
la RTV slovena deve trasmettere<br />
due programmi TV in lingua slovena,<br />
tre programmi radiofonici, un programma<br />
in lingua italiana radiofonico<br />
e uno televisivo, un programma TV<br />
in ungherese e uno radiofonico in un-<br />
Etnia<br />
Flavio Forlani, presidente della CAN Costiera, e il premier Borut Pahor<br />
a Lubiana lo scorso 23 marzo<br />
gherese. Ciò significa che i programmi<br />
minoritari sono parte del servizio<br />
pubblico che la RTV deve assicurare.<br />
Ciò però è in contraddizione con il<br />
successivo passaggio della legge che<br />
stabilisce che i programmi minoritari<br />
nel suo complesso, vale e dire italiani,<br />
ungheresi e rom, non devono pesare<br />
più del 5 p.c. sul budget della RTV<br />
e che l’RTV, dai propri mezzi, cofinanzia<br />
questi programmi fino al 50<br />
p.c. del loro costo. Il restante 50 p.c.<br />
lo mette lo Stato. Se nell’ambito del<br />
servizio pubblico entrano i programmi<br />
minoritari l’approccio deve essere<br />
capovolto: per cui la RTV dovrebbe<br />
finanziare questi programmi come finanzia<br />
i programmi di RTV SLO 1 e<br />
RTV SLO 2, mentre lo Stato può cofinanziare<br />
questi programmi attraverso<br />
una particolare convenzione RTV-Stato.<br />
Nella nota esplicativa della legge si<br />
dice che con l’entrata in vigore della<br />
presente legge non vi saranno ulteriori<br />
aggravi finanziari per il bilancio dello<br />
Stato. Ed ecco che alcune cose risultano<br />
molto complicate. Lo Stato oggi<br />
stanzia 1,5 milioni e mezzo di euro per<br />
i programmi italiano e ungherese, la<br />
RTV di Slovenia cofinanzia fino al 50<br />
p.c... Ciò vuol dire che per i programmi<br />
minoritari sono previsti 3 milioni<br />
di euro. Ma dai dati che la RTV di Slovenia<br />
comunica soltanto i programmi<br />
italiani inciderebbero sul bilancio con<br />
5-6 milioni di euro all’anno. Il calcolo<br />
è presto fatto: con questa legge ci sarebbe<br />
una riduzione drastica dei programmi<br />
italiani e ungheresi con particolare<br />
danno per gli italiani”.<br />
Le posizioni del Governo...?<br />
“Io ho presentato al premier Pahor<br />
questi problemi, perché sono membro<br />
del Consiglio di programma della RTV.<br />
Mi sarei aspettato una risposta precisa<br />
sulla questione. Tra l’altro gli ho anche<br />
detto che quest’anno per la prima volta<br />
i programmi italiani vanno incontro<br />
ad una riduzione e che per poter mantenere<br />
lo stesso livello, ovvero la medesima<br />
ampiezza, mancano circa 300<br />
mila euro. Su questo mi sarei aspettato<br />
una risposta che non c’è stata.<br />
Un altro punto qualificante è la nascita<br />
del Comune di Ancarano che va<br />
a intaccare i diritti acquisiti dalla CI a<br />
Capodistria e rischia di indebolirla ulteriormente<br />
e su questo la delegazione<br />
è stata molto chiara.<br />
Sul bilinguismo e sul clima, mi dispiace<br />
dirlo, non favorevole agli italiani,<br />
la preoccupazione del premier era<br />
quella di capire se addebitiamo la colpa<br />
di questo clima al Governo o ad altri<br />
elementi. Ne abbiamo parlato, però<br />
va detto che un clima indubbiamente<br />
ostile esiste.<br />
Questo è stato un primo incontro<br />
conoscitivo, adesso aspettiamo la risposta”.<br />
Se per un primo incontro ci sono<br />
voluti 15 mesi... quanto bisognerà<br />
attendere per le risposte?<br />
“Il premier ha assunto l’impegno di<br />
rispondere e ha annunciato che tra sei<br />
mesi ci rincontreremo. Questo Governo<br />
ha posizioni molto diverse all’interno<br />
della coalizione e quindi capisco<br />
che ci sono anche altre priorità. Ciò<br />
non toglie che l’impegno del Governo<br />
e la Carta costituzionale non vadano<br />
rispettati”. ●<br />
<strong>Panorama</strong> 9
10 <strong>Panorama</strong><br />
Attualitá<br />
Italia e Russia impegnate in ambiziosi progetti infrastrutturali da realiz<br />
South Stream, sotto l’egida di Eni<br />
a cura di Diana Pirjavec Rameša<br />
Italia e Russia sono impegnate nella<br />
realizzazione di uno dei più ambiziosi<br />
progetti infrastrutturali del<br />
21.esimo secolo: la costruzione del gasdotto<br />
South Stream che attraverso il<br />
Mar Nero dovrà collegare entro il 2015<br />
la Russia all’Italia e a molti altri Paesi<br />
dell’Europa meridionale e centrale.<br />
Di recente, dopo che al progetto<br />
hanno aderito Bulgaria, Grecia, Serbia,<br />
Ungheria, Austria e Slovenia, anche<br />
la Croazia ha avuto luce verde.<br />
Il leader di Gazprom, Alexei Miller,<br />
ritiene che il tratto del South Stream<br />
che deve attraversare la Croazia può<br />
essere collegato dalla Serbia o dalla<br />
Slovenia. Lo studio di fattibilità del<br />
ramo croato dovrebbe essere completato<br />
entro e non oltre il 30 dicembre<br />
di quest’anno, come riferiscono i<br />
media russi. L’accordo intergovernativo<br />
tra Russia e Croazia sulla cooperazione<br />
per la costruzione e lo sfruttamento<br />
del gasdotto sul territorio della<br />
Repubblica di Croazia è stato firmato<br />
agli inizi di marzo a Mosca. Promotori<br />
e realizzatori del progetto del<br />
ramo South Stream croato sono la russa<br />
Gazprom e la croata Plinacro, che<br />
avrà quote paritetiche nella joint-venture<br />
per l’attuazione del progetto. Alla<br />
società possono partecipare i nuovi<br />
azionisti, con la riassegnazione delle<br />
azioni. I fondatori del progetto prenderanno<br />
una decisione sulla costru-<br />
zione del gasdotto entro due anni dalla<br />
data in cui riceveranno lo studio di<br />
fattibilità e, in base ai loro risultati,<br />
Gazprom prenderà in considerazione<br />
la possibilità di aumentare le forniture<br />
di gas naturale della Croazia.<br />
Inoltre il Presidente russo Dmitri<br />
Medvedev e il Primo ministro Vladimir<br />
Putin pare abbiano offerto all’ex<br />
Presidente croato Stjepan Mesic di<br />
gestire la società a cui farà capo il gasdotto<br />
South Stream attraverso la Croazia,<br />
ma bisogna attendere ancora per<br />
avere conferma della notizia.<br />
Alcuni cenni storici. I piani relativi<br />
a South Stream sono stati ufficialmente<br />
pubblicati il 23 luglio 2007, quando<br />
l’amministratore delegato dell’Eni,<br />
Paolo Scaroni, e il Presidente russo<br />
Medvedev hanno firmato a Roma un<br />
memorandum d’intesa. Quattro mesi<br />
dopo Gazprom ed Eni hanno firmato<br />
a Mosca l’accordo di costituzione<br />
della società che dovrebbe effettuare<br />
la commercializzazione e lo studio<br />
di fattibilità tecnica del progetto. Alla<br />
fine di gennaio dell’anno successivo,<br />
Russia e Serbia hanno firmato un memorandum<br />
per la costruzione di una<br />
derivazione su territorio serbo, e il 25<br />
febbraio scorso anche l’accordo che<br />
istituisce la joint-venture, ufficializzato<br />
solo nel mese di dicembre, che si<br />
occuperà della costruzione del gasdot-<br />
to, così come del deposito di stoccaggio<br />
di gas, che si troverà nei pressi del<br />
Banatski Dvor.<br />
La grande novità della intesa italo-russa<br />
è l’aumento della capacità di<br />
trasporto di South Stream non da 31<br />
miliardi a 47 miliardi di metri cubi<br />
all’anno, come si era pensato in precedenza,<br />
ma fino a 64 miliardi di metri<br />
cubi: “Dietro questi numeri si trovano<br />
gli accordi di un grande significato<br />
politico, perché tutto questo gas<br />
arriverà in Europa senza dover più<br />
passare per il territorio dell’Ucraina”,<br />
ha sottolineto l’Amministratore<br />
delegato dell’Eni, Paolo Scaroni.<br />
Grazie all’aumento della capacità del<br />
gasdotto, l’Eni potrà ottenere un supplemento<br />
di 12 miliardi di metri cubi<br />
di gas all’anno, che gestirà e commercializzerà<br />
a propria discrezione.<br />
Per la costruzione di South Stream,<br />
cui parte subacquea sarà lunga 900<br />
chilometri, Gazprom ed Eni costituirono<br />
nel 2007 su base paritetica una<br />
joint venture, mentre la realizzazione<br />
tecnica sarà affidata a Saipem, l’unica<br />
società al mondo capace di posare<br />
i tubi di grande diametro sul fondale<br />
marino a una profondità che in alcune<br />
zone supera i due mila metri. Dalle<br />
stazioni di compressione “Beregovaja”<br />
nel territorio russo, il gasdotto<br />
passerà per il Mar Nero, fino alla città<br />
bulgara di Varna, dopodiché si dividerà<br />
in due sezioni di cui una andrà<br />
verso il nord-ovest, in Serbia, Ungheria<br />
e Austria, mentre l’altra in direzione<br />
sud-occidentale passerà per il<br />
territorio della Grecia e attraverso il<br />
Mare Adriatico, porterà del gas russo<br />
in Italia.<br />
Paolo Scaroni, nel corso di una<br />
conferenza sull’energia tenuta a<br />
metà marzo negli Stati Uniti, ha proposto<br />
di unire una parte del percorso<br />
dei gasdotti Nabucco e South Stream.<br />
“Se tutti i partner decidessero<br />
di unire alcuni percorsi dei due oleodotti,<br />
saremmo in grado di ridurre<br />
la quantità degli investimenti, il costo<br />
dei posti di lavoro e aumentare i<br />
ricavi. Un unico gasdotto collegherà<br />
i principali consumatori europei e i<br />
più importanti fornitori”.
zarsi entro il 2015<br />
e Gazprom<br />
Il gasdotto South Stream, sviluppato<br />
dalla Gazprom russa, l’italiana<br />
Eni e la francese EDF, collega la città<br />
russa di Novorossiysk alla città bulgara<br />
di Varna sul Mar Nero, per poi di<br />
dividersi in due rami che attraversano<br />
i Balcani per raggiungere Italia e Austria.<br />
Il progetto Nabucco (tratta più<br />
lunga e più costosa) dovrebbe trasportare<br />
gas naturale dal Mar Caspio verso<br />
l’Europa bypassando la Russia. Con<br />
una capacità di 31 miliardi di metri<br />
cubi di gas all’anno, l’oleodotto attraverserà<br />
l’Azerbaigian, Georgia, Turchia,<br />
Bulgaria, Ungheria, Romania e<br />
Austria. Nell’ottica in cui la Romania<br />
sia anch’essa partner del South Stream,<br />
si viene così a creare un perfetto<br />
parallelismo delle due condutture, che<br />
confermano la tesi dell’Eni.<br />
L’idea di fondere i due percorsi è<br />
stata salutata come un’idea “interessante”<br />
anche dall’attaché dell’ambasciatore<br />
Richard Morningstar, inviato<br />
speciale degli Stati Uniti per l’energia.<br />
“È un’idea interessante che merita<br />
ulteriori discussioni e considerazioni<br />
ed è importante che tale questione<br />
abbia iniziato ad essere discussa”,<br />
ha detto Morningstar durante un<br />
incontro con i giornalisti alla Farnesina.<br />
Tale posizione ottimistica è stata<br />
espressa anche dal segretario generale<br />
del Ministero degli Esteri, l’ambasciatore<br />
Giampiero Massolo, il quale<br />
ha affermato che le parti hanno iniziato<br />
a discutere, anche se non c’è ancora<br />
una risposta. ●<br />
di Luca Dessardo<br />
Attualitá<br />
Riflessioni in cornice<br />
Di alluvioni e altre sponde<br />
Omosessualità. Un tema ricorrente, comodo per un discorso al bar come<br />
alla TV, e del quale si parla dai pulpiti delle chiese come dai palcoscenici<br />
della politica. Tra una generica chiacchierata sui cambiamenti climatici<br />
e la decadenza morale del secol nostro, in qualche modo si trova sempre<br />
il pretesto per metterci dentro anche le persone gay.<br />
Partiamo dal tempo, classico argomento sul quale si può ripiegare nei<br />
momenti di imbarazzante silenzio. La crescente libertà di dichiarare la propria<br />
sessualità senza il timore di venire lapidati mette agitazione nei circoli<br />
religiosi più radicali. Così, ciò che dovrebbe venire considerato come<br />
una libertà conquistata, è per alcuni un sintomo del degrado della società<br />
odierna, sempre più simile a quella sodomita (di Sodoma). E proprio qui si<br />
nasconde il perverso nesso con le calamità naturali, che diventano nientemeno<br />
che una punizione divina per i nostri comportamenti. Non a caso<br />
dopo le devastazioni provocate a New Orleans dall’uragano Katrina c’era<br />
anche chi ha apertamente individuato negli omosessuali la causa scatenante<br />
dell’ira di Dio. Lasciando in pace il Signore, arriviamo al Papa, accusato<br />
due settimane fa dallo scrittore Aldo Busi di essere un omofobo e,<br />
in quanto tale, un omosessuale represso. Se l’accusa di omofobia nei confronti<br />
della Chiesa potrebbe in un primo momento anche sembrare intelligente,<br />
visti i tempi da talk show che corrono, dire invece che il Santo Padre<br />
sia un omosessuale represso è una provocazione gratuita di dubbio gusto.<br />
Ritornando alla Chiesa in generale, bisogna notare che su certe questioni<br />
rimane tradizionalmente conservatrice, ma ciò non è necessariamente sbagliato.<br />
Dovrebbe forse la religione piegarsi sempre e comunque alla mania<br />
secolarizzante? Certamente è fastidioso per un omosessuale vedersi privato<br />
dei sacramenti che definiscono la sua fede, ma credendo la Chiesa santa<br />
cattolica ed apostolica sceglie anche questa privazione - purché rimanga<br />
sempre nell’ambito della confessione e non incida anche sulla vita civile.<br />
Una fede individuale piuttosto che una religione politica, è questa la vera<br />
conquista della secolarizzazione, non già la castrazione della religione che<br />
deve invece, insegna Kierkegaard, essere sempre scandalosa.<br />
Il vero problema si manifesta quando l’intolleranza religiosa diventa anche<br />
intolleranza civile. Utilizzare lo spauracchio dell’inferno (come quello<br />
dantesco, dove i “peccatori contro natura” sono tormentati da una continua<br />
pioggia di fuoco) per stigmatizzare gli omosessuali ovunque si trovino:<br />
è questo l’aspetto obsoleto e degradante della religione. Questo genere di<br />
indottrinamento è alla base, ad esempio, delle ridicole parole dell’ex comandante<br />
NATO John Sheehan, il quale ha individuato nei soldati gay delle<br />
truppe olandesi dell’ONU la ragione per il mancato impedimento del massacro<br />
di Srebrenica. Condannare pratiche omosessuali non è come condannare<br />
un aborto, che può essere visto anche come omicidio, o l’eutanasia.<br />
L’omosessualità non è una patologia dannosa al prossimo come la pedofilia,<br />
oppure un feticcio scelto perché di moda. Si tratta invece della caratteristica<br />
che definisce la sessualità di una persona, esattamente come l’eterosessualità:<br />
né norma né devianza. Biologicamente va notato che esiste pure<br />
negli animali: se poi l’uomo ha il pretesto di vedersi superiore, in tal caso<br />
va da sé che neppure la sua orientazione sessuale dovrebbe, come negli animali,<br />
essere definita dal mero bisogno di riprodursi. Se la nostra indole ci<br />
spinge a indirizzare quel qualcosa in più che chiamiamo amore verso una<br />
persona dello stesso sesso non mi sembra un problema, né civile né tantomeno<br />
etico. Perché allora continuare a guardarlo con biasimo? ●<br />
<strong>Panorama</strong> 11
12 <strong>Panorama</strong><br />
Italia<br />
Nelle elezioni regionali l’alleanza di centrodestra passa da 2 su 11 a 6 su 7<br />
Berlusconi rimonta, Lega a valanga<br />
a cura di Bruno Bontempo<br />
Sono sceso in campo e questa è<br />
la mia vittoria, ha confidato Silvio<br />
Berlusconi quando è diventato<br />
definitivo anche l’ultimo dato,<br />
quello più atteso, che a sorpresa ha<br />
attestato la vittoria di Renata Polverini<br />
su Emma Bonino: il centrodestra<br />
ha battuto al fotofinish il Pd anche in<br />
Lazio ed in Piemonte, dove Roberto<br />
Cota ha avuto la meglio su Mercedes<br />
Bresso. E con le vittorie in Lombardia,<br />
Veneto, Campania e Calabria, il<br />
premier sente di aver vinto in pieno<br />
la scommessa fatta gettandosi anima<br />
e corpo nella campagna elettorale,<br />
nonostante le inchieste giudiziarie,<br />
le baruffe tra alleati, le arrabbiature<br />
sulla mancata presentazione delle liste<br />
Pdl in Lazio, le liti sul milione di<br />
piazza San Giovanni.<br />
Mentre la Polverini festeggiava la<br />
vittoria in Piazza del Popolo a Roma<br />
e prima di tutto ringraziava il premier<br />
che per lei si era speso in campagna<br />
elettorale, Berlusconi tornava a Palazzo<br />
Grazioli e gustava fino in fondo<br />
quella che sente anche come una<br />
vittoria sua personale, un’investitura<br />
forte ad andare avanti<br />
nei prossimi tre anni di governo,<br />
decisivi per le riforme.<br />
L’astensionismo record (ha votato<br />
il 64,2 p.c. degli aventi diritto)<br />
che preoccupava il premier<br />
non si è rivolto come in<br />
Francia solo contro il Governo,<br />
ma ha penalizzato anche<br />
l’opposizione. Non spaventa il<br />
premier il successo della Lega,<br />
“alleato fedele” con cui stringere<br />
un rapporto sempre più<br />
forte e con il quale “si vince”.<br />
Il Carroccio ha fatto cappotto<br />
nel Veneto con Luca Zaia, ha<br />
vinto il testa a testa in Piemonte<br />
con Roberto Cota, si è irrobustito<br />
in Lombardia e in tutto<br />
il Nord produttivo. Ma se è<br />
vero che i voti si pesano e non<br />
si contano, le sei regioni conquistate<br />
dal Pdl, per numero di<br />
abitanti e prodotto interno lordo,<br />
consentono a Berlusconi di<br />
andare a testa alta al confronto con<br />
gli avversari di centrosinistra, che nel<br />
loro carniere hanno sette governatori.<br />
E in più consentono al centrodestra<br />
di avere la maggioranza nella Conferenza<br />
Stato Regioni, cosa della quale<br />
il Cavaliere è particolarmente felice.<br />
Il presidente del Consiglio non<br />
è riuscito a contenere la gioia per la<br />
vittoria nel Lazio, arrivata nonostante<br />
l’“assurda esclusione” della lista<br />
del Popolo delle Libertà, quindi del<br />
partito di maggioranza relativa. Berlusconi<br />
è quindi contento e si mostra<br />
affatto preoccupato del successo<br />
di Bossi, l’alleato che ha portato<br />
con sé sul palco di piazza San Giovanni.<br />
Il Carroccio ha fatto en plein<br />
con un’identità più forte e marcata di<br />
quella del Pdl, adesso certo chiederà<br />
di accelerare sull’attuazione del federalismo<br />
fiscale. Avrà forse pretese sul<br />
ministero dell’Agricoltura che Zaia<br />
lascia, quando tra qualche settimana<br />
si riaprirà il giro di poltrone che dovrebbe<br />
includere anche la guida delle<br />
Ferrovie dello Stato, altri sottosegretari<br />
e ministeri. Ma Berlusconi si<br />
fida e preferisce gioire del risultato<br />
leghista. Anche se c’è già chi parla<br />
di diarchia Berlusconi-Bossi, il Cavaliere<br />
sa che ora nessuno potrà metterlo<br />
sulla graticola per aver investito<br />
con la sua spada candidati leghisti<br />
in Veneto e Piemonte. Né gli dispiacciono<br />
gli spazi sottratti al Pd e conquistati<br />
dalla Lega nelle regioni del<br />
centro-nord, tradizionalmente di centrosinistra.<br />
In Emilia Romagna, Toscana,<br />
Umbria, Marche e Basilicata<br />
la sconfitta della maggioranza è stata<br />
secca, ma era stata messa in conto,<br />
visti i candidati di bandiera schierati<br />
in campo. Nette invece le vittorie<br />
dei candidati di centrodestra in Campania,<br />
Stefano Caldoro, e in Calabria,<br />
Giuseppe Scopelliti. In Puglia,<br />
di certo il ministro Raffaele Fitto<br />
dovrà rendere conto al premier della<br />
sconfitta del suo beniamino, Rocco<br />
Palese, che Berlusconi ha obtorto<br />
collo dovuto preferire ad Adriana<br />
Poli Bortone, poi diventata candidata<br />
governatrice dell’Udc. Berlusconi si<br />
consola tuttavia pensando che l’Udc<br />
non è stato determinante come pretendeva<br />
e Pier Ferdinando Casini ha<br />
visto sconfitta la sua politica nelle regioni<br />
dove ha messo in campo<br />
la suggestione del laboratorio<br />
politico con la sinistra. Intanto<br />
il risultato peserà certamente<br />
nei rapporti tra Berlusconi ed il<br />
co-fondatore Gianfranco Fini,<br />
che durante la campagna elettorale<br />
ha fatto pesare più di un<br />
distinguo rispetto al premier ed<br />
ha annunciato, a sole due settimane<br />
dal voto, la nascita del<br />
nuovo pensatoio Generazione<br />
Italia. In vista dei prossimi tre<br />
anni di governo, decisivi per le<br />
riforme, Berlusconi e Fini dovranno<br />
rinegoziare i rispettivi<br />
spazi nel Pdl ed il risultato<br />
delle regionali - che il premier<br />
ha molto personalizzato senza<br />
timore di contraddire Fini<br />
su temi come l’immigrazione -<br />
avrà certo il suo peso. E per il<br />
Cavaliere adesso anche chi più<br />
gli è lontano tra gli ex di An<br />
non potrà non riconoscergli la<br />
leadership. ●
Italia<br />
Dopo le regionali Berlusconi ha motivo per gioire ma dovrà fare i conti con le nuove “pretese” di Bossi<br />
Campagna elettorale, l’Isola dei famosi della politica!<br />
N ella<br />
lunga attesa dei dati ufficiali, l’unica certezza<br />
è stata da subito la vittoria dell’astensione: mai<br />
nella storia della Repubblica si è avuto un così scarso<br />
afflusso alle urne con una defezione che fa riflettere,<br />
registrata soprattutto nel Lazio (-12). Di certo ha pesato<br />
l’intervento del Vaticano che con i suoi appelli al<br />
voto per la tutela della vita (quindi contro la Bonino)<br />
ha alimentato i sensi di colpa dell’elettorato cattolico<br />
di centrosinistra che evidentemente ha preferito rinunciare.<br />
Anche il caso politico-giudiziario che ha investito<br />
la lista del Pdl (assente sulla scheda), può aver<br />
agito da deterrente. C’è chi ha notato che la campagna<br />
elettorale per le regionali è stata la “più brutta”<br />
di sempre. Per mille motivi, non ultimo l’approccio<br />
troppo autoreferenziale delle forze politiche che hanno<br />
prestato poca e distratta attenzione ai reali problemi<br />
dei cittadini in un momento in cui la crisi economica<br />
miete la forza-lavoro. Anche il livello dello scontro<br />
elettorale ha contribuito a quella delegittimazione della<br />
politica, “punita” con il non-voto.<br />
Il virus dunque si è diffuso e ha colpito anche il centrosinistra<br />
il cui elettorato è sempre stato ritenuto molto<br />
più motivato e organizzato rispetto a quello più giovane<br />
e un po’ ballerino del centrodestra. Strafelice, come<br />
si è detto, Bossi che pur non avendo operato il sorpasso<br />
al Nord (La Russa ha potuto annunciare che non dovrà<br />
quindi mangiarsi un asino vivo) ha fatto il pieno storico<br />
di voti avvicinandosi al 13 p.c. A fronte di un Pdl in<br />
“tenuta”, come ha velenosamente osservato il senatur, la<br />
Lega si è “scatenata” mentre la sinistra è andata a “picco”.<br />
Esagerazioni padane, ovvio, ma sicuramente Bossi<br />
farà fruttare politicamente la performance leghista: già<br />
ha prenotato la poltrona della Moratti, e intende conservare<br />
per il suo partito il ministero dell’Agricoltura inizialmente<br />
destinato alla staffetta con Galan.<br />
La disaffezione al voto da parte degli italiani è colpa<br />
di una classe politica “sguaiata, da Isola dei famosi”. Il<br />
sociologo Francesco Alberoni non considera “catastrofici”<br />
i dati di affluenza alle urne ma l’astensionismo abbastanza<br />
alto dimostra “il profondo disgusto degli italiani<br />
per il dibattito politico. La classe politica - afferma il<br />
noto sociologo - è troppo sguaiata, senza distinzioni di<br />
parti. I politici ormai si sparano tra di loro, escludendo<br />
la popolazione che avrebbe voluto sentirsi dire ben altro.<br />
Vedere i dibattiti nella tv generalista è stato un po’ come<br />
assistere ad una Isola dei famosi della politica. Il fatto è<br />
che non si possono fare dei dibattiti sui processi e sulle<br />
chiassate. Vanno riviste le regole, almeno in campagna<br />
elettorale”. L’astensionismo italiano, comunque, non ha<br />
nulla a che vedere con quello francese: “Lì hanno punito<br />
Sarkozy, qui si era disgustati dal chiacchiericcio politico,<br />
dagli scandali. La gente avrebbe voluto risposte per<br />
i problemi reali. In alcuni casi, assistendo ai dibattiti televisivi<br />
in campagna elettorale, ho avuto la sensazione<br />
di assistere agli scontri del ‘48: il bene contro il male, le<br />
escort in primo piano. L’accanimento. Cose che hanno<br />
creato disgusto”.<br />
“Gli italiani sono troppo presi dalle difficoltà crescenti<br />
di far quadrare i bilanci familiari, di mantenere un livello<br />
di benessere e far fronte alle esigenze cogenti, a<br />
partire da quelle che riguardano il futuro dei figli. Siamo<br />
talmente presi dalle esigenze private e familiari da perdere<br />
di vista la dimensione pubblica e la responsabilità collettiva”<br />
è invece l’opinione di Massimo Di Giannantonio,<br />
docente di psichiatria all’università di Chieti - spiega<br />
-. “È prevalsa l’attenzione al proprio particulare rispetto<br />
al generale, al pubblico. Ma nelle competizioni internazionali<br />
vince, invece, la coesione della struttura politica,<br />
tenuta a rigenerarsi e a offrire soluzioni ai problemi della<br />
gente, a partire dal lavoro per i giovani”. ●<br />
<strong>Panorama</strong> 13
14 <strong>Panorama</strong><br />
Societá<br />
Sprecata sistematicamente nei paesi avanzati, agognata nelle aree più<br />
Acqua, un fermo diniego alla priv<br />
di Marino Vocci<br />
In questi primi giorni di primavera,<br />
ho camminato nell’Alto Buiese,<br />
tra Filaria e Ceppi, insieme<br />
ad amiche e amici triestini e istriani,<br />
lungo il percorso geologico naturalistico<br />
dedicato al grande studioso del<br />
Carso, Carlo D’Ambrosi, alla scoperta<br />
di una parte della grande storia<br />
dell’acqua. Immerso in questo mondo<br />
così particolare, ancora una volta<br />
ho capito che la diversità è ricchezza<br />
e soprattutto bellezza, e che l’acqua<br />
è un bene universale che dobbiamo<br />
difendere, tutelare e valorizzare,<br />
non solo quest’anno celebrativo, ma<br />
a partire da oggi, per sempre.<br />
Partiamo da subito! Da questo<br />
2010 che l’Assemblea generale delle<br />
Nazioni Unite ha deciso di proclamare<br />
anche Anno internazionale della biodiversità.<br />
Dobbiamo quindi intervenire<br />
con azioni concrete da realizzare<br />
pure a livello locale, con l’obiettivo<br />
di contribuire a sensibilizzare il più<br />
possibile, la nostra società in merito<br />
all’importanza della diversità biologica.<br />
La scelta, nata nel 2006, è dovuta<br />
alla forte preoccupazione che la perdita<br />
di biodiversità avrebbe sul nostro<br />
pianeta e quali conseguenze sociali,<br />
economiche, ecologiche e culturali<br />
tale perdita comporterebbe. La scelta,<br />
inoltre, del 2010 non è un caso: infatti<br />
le parti che hanno sottoscritto la Convenzione<br />
sulla biodiversità hanno deciso<br />
di puntare su obiettivi ambiziosi<br />
già per questo 2010.<br />
Ricordo poi che il trattato sottoscritto<br />
al vertice mondiale delle Nazioni<br />
Unite tenutosi a Rio de Janei-<br />
ro nel 1992, che è il riferimento più<br />
importante per quanto riguarda i problemi<br />
ambientali e uno dei trattati più<br />
importanti sinora sottoscritti, è stata<br />
proprio la Convenzione sulla diversità<br />
biologica, considerato a ragione il<br />
primo accordo globale per la conservazione<br />
e l’uso sostenibile della biodiversità<br />
che, entrata in vigore il 29 dicembre<br />
1993, fortunatamente ha avuto<br />
immediatamente un ampio e diffuso<br />
consenso.<br />
I tre principali obiettivi della Convenzione<br />
sono: la conservazione della<br />
biodiversità; l’uso sostenibile degli<br />
elementi della biodiversità; la distri-<br />
buzione equilibrata ed equa dei vantaggi<br />
e dei guadagni derivanti dall’uso<br />
delle risorse genetiche (Access and<br />
Benefit Sharing).<br />
Questa Convenzione è una pietra<br />
miliare nel diritto internazionale. Una<br />
scelta lungimirante e intelligente per-<br />
ché è la prima volta che la conservazione<br />
della diversità biologica viene<br />
riconosciuta come “esigenza comune<br />
dell’umanità” e parte integrante dello<br />
sviluppo. E soprattutto perché la Convenzione<br />
è vincolante e i paesi firmatari<br />
sono tenuti a recepirne le disposizioni.<br />
Nello stesso anno del vertice l’Assemblea<br />
generale delle Nazioni Unite<br />
ha istituito nel 1992 la Giornata Mondiale<br />
per l’Acqua, che si tiene il 22<br />
marzo di ogni anno. Nel 2010 si è deciso<br />
di dedicare la Giornata mondiale<br />
dell’acqua al tema della qualità delle<br />
acque.<br />
Alcuni dati sconvolgenti, diffusi<br />
dall’Onu, implicano una lotta davvero<br />
feroce contro la privatizzazione<br />
di questo bene primario: un bambino<br />
ogni 20 secondi muore per malattie<br />
collegate alla qualità dell’acqua;<br />
ci sono molte più persone che muoiono<br />
per l’acqua contaminata, che<br />
per qualsiasi altra forma di violenza,<br />
guerre incluse. “Acqua pulita per un<br />
mondo sano” è lo slogan scelto per<br />
l’edizione di quest’anno.<br />
Secondo l’Oms e l’Unicef, sono<br />
ancora 884 milioni le persone che non<br />
posso contare su un accesso ad un’acqua<br />
protetta da eventuali contaminazioni,<br />
mentre un 39 per cento, cioè 2,6<br />
miliardi, è priva di idonei servizi igienico<br />
sanitari. Questo accade soprattutto<br />
nell’Africa subsahariana e nell’Asia
arretrate del globo<br />
atizzazione<br />
meridionale. È arrivata a quota 87 per<br />
cento invece la popolazione mondiale<br />
che può contare sull’acqua potabile<br />
(5,9 miliardi di persone). Almeno 3,8<br />
miliardi di persone possono bere grazie<br />
ad una rete idrica che arriva dentro<br />
casa, mentre ancora quattro persone<br />
su dieci nell’Africa Sub-sahariana<br />
e la metà della popolazione dell’Oceania<br />
non dispongono di fonti adeguate.<br />
Un grande obiettivo è quello di assicurare<br />
nel 2015 l’acqua per tutti. Abbattendo<br />
gli sprechi dei Paesi “sviluppati”.<br />
Ciascun essere umano necessita da<br />
20 a 40 litri d’acqua pulita al giorno,<br />
che cresce fino a 50 litri se si considera<br />
il bisogno per lavarsi e cucinare. Un<br />
europeo può consumare in media 200<br />
litri di acqua al giorno, che diventano<br />
400 litri per un nordamericano, contro<br />
i 10 litri di una persona povera nei<br />
Paesi in via di sviluppo. Negli Usa si<br />
butta il 30 per cento, l’equivalente di<br />
40mila miliardi di litri, l’acqua necessaria<br />
ai bisogni di 500 milioni di persone.<br />
Ad essere sempre più minacciata<br />
dall’inquinamento è la qualità dell’acqua:<br />
negli ultimi 50 anni l’uomo è diventato<br />
responsabile di una contaminazione<br />
dell’”oro blu” senza precedenti<br />
nella storia. Ogni giorno, nel<br />
mondo vengono riversati nelle acque<br />
del globo due milioni di tonnellate di<br />
liquami e altri scarichi. Il punto è che<br />
costa molto meno proteggere le risorse<br />
idriche che ripulirle dopo averle inquinate.<br />
E con l’aumento della popolazio-<br />
ne, continua la pressione sulle aree urbane.<br />
Per il 2050, le previsioni parlano<br />
di 6,4 miliardi di persone che vivranno<br />
in città, contro i 3,4 miliardi del 2010.<br />
Questa rapida crescita costituirà un’ulteriore<br />
sfida per il sistema di gestione<br />
dei rifiuti e del patrimonio di oro blu<br />
mondiale.<br />
Sono almeno 1,8 milioni i bambini<br />
sotto i cinque anni che muoiono<br />
ogni anno per malattie collegate alla<br />
qualità dell’acqua secondo il rapporto<br />
dell’Unep, il programma Onu sull’ambiente.<br />
“Oltre metà dei letti d’ospedale<br />
nel mondo sono occupati da persone<br />
che hanno malattie derivanti da acque<br />
inquinate”. Inoltre, “si stima che intorno<br />
al 90 p.c.di casi di diarrea, che uccide<br />
ogni anno 2,2 milioni di persone,<br />
sono causati dal bere acqua poco sicura<br />
e da scarsa igiene”.<br />
Ci sono poi due grossi pericoli che<br />
minacciano il nostro futuro; il primo,<br />
gravissimo, è quello della privatizzazione<br />
della risorsa acqua, il secondo<br />
quello dello stato e dell’uso dei fiumi.<br />
Negli ultimi cinquanta anni la maggior<br />
parte dei fiumi italiani, ma non<br />
solo purtroppo quelli italiani, è sta-<br />
Societá<br />
ta aggredita con interventi che hanno<br />
cambiato radicalmente assetto e dinamica:<br />
in molti casi le nostre “vene<br />
blu” sono state trasformate in semplici<br />
canali (penso ad esempio al fiume<br />
Quieto-Mirna nel cuore della nostra<br />
Istria) ignorando che invece si tratta<br />
di complessi ecosistemi regolati non<br />
solo dalle leggi dell’idraulica, ma anche<br />
da quelle della natura. Il risultato<br />
è che la biodiversità di questi ambienti<br />
si è drasticamente ridotta e con essa<br />
la funzionalità ecologica che li caratterizza,<br />
mettendo inevitabilmente a rischio<br />
anche le popolazioni che vivono<br />
nelle aree circostanti.<br />
Ancora un’ultima notizia che è anche<br />
una speranza: alcuni sondaggi recenti<br />
condotti da autorevoli istituti di<br />
ricerca italiani, hanno evidenziato che<br />
in questo momento di sviluppo disordinato<br />
e aggressivo, sono per fortuna<br />
in crescita le persone che credono che<br />
per ragioni economiche, ecologiche,<br />
sociali e culturali, sia necessaria scegliere<br />
la decrescita. Meno male!, Un<br />
mondo migliore è possibile per tutti,<br />
se tutti crederanno e lavoreranno per<br />
un mondo migliore.●<br />
<strong>Panorama</strong> 15
16 <strong>Panorama</strong><br />
Echi di storia<br />
A Santa Caterina, alle spalle di Fiume, gli impianti militari si presentano anc<br />
Chi dovevano fermare quelle fort<br />
di Franco Gottardi<br />
Per qualche inspiegabile motivo,<br />
negli anni Trenta, a Santa<br />
Caterina, sulle alture a nord<br />
dell’abitato di Fiume, vennero costruite<br />
diverse fortificazioni. Si trattava<br />
di grosse opere, soprattutto sotterranee,<br />
dalle quali emergevano le postazioni<br />
per i cannoni. La prima parte<br />
era rivolta verso il mare, forse per<br />
contrastare un ipotetico attacco navale<br />
o forse anche per cannoneggiare<br />
Sušak nel caso che le truppe jugoslave<br />
attaccassero Fiume attraverso il<br />
Ponte oppure attraverso il Delta. Verso<br />
sud-est invece, altre fortificazioni<br />
puntavano le bocche da fuoco verso<br />
l’entroterra jugoslavo. Nell’uno<br />
come nell’altro caso l’opera aveva<br />
ben poche giustificazioni: il confine<br />
segnato dall’Eneo era, dalla parte italiana,<br />
molto scosceso ed un assalto<br />
sarebbe stato meglio rintuzzabile da<br />
forze ed armi di fanteria. Proseguendo<br />
lungo le colline, seguendo il corso<br />
dell’Eneo, su un cucuzzolo vi era appostata<br />
una batteria alpina da 100/17.<br />
La sua collocazione sarebbe facile da<br />
individuare ancor oggi, dato che si<br />
trova esattamente a nord del laghetto<br />
di Drenova.<br />
Cercare di spiegare perché queste<br />
opere siano state fatte è ancor più difficile<br />
se si pensa che dalla parte volta<br />
verso l’Istria non vi era nessuna forti-<br />
La postazione d’artiglieria ripresa dall’interno. Non molto tempo fa il comitato<br />
locale di Brašćine-Pulac aveva organizzato una ricognizione all’interno<br />
delle strutture (le foto sono di Igor Kramarsich)<br />
ficazione. Invece proprio quella parte<br />
si sarebbe meglio prestata ad un assalto,<br />
dato che si trattava di zona pianeggiante<br />
o di basse colline. Anche<br />
la penetrazione dalla parte della Val<br />
Scurigne, sarebbe stata facile, eppure<br />
non vi era stata apprestata nessuna<br />
difesa particolare.<br />
Dopo l’8 settembre le fortificazioni<br />
vennero affidate a truppe della<br />
RSI inizialmente sistemate al bagno<br />
Quarnero, sul Molo Lungo (diga Cagni),<br />
ed armate di mitragliere contraeree<br />
da 20 mm. Dopo il primo bombardamento,<br />
constatata la loro totale<br />
inutilità, le truppe vennero spostate<br />
sulle fortificazioni volte verso il<br />
mare e poi, pochi mesi prima della<br />
fine del conflitto, su quelle che volgevano<br />
all’entroterra.<br />
Questi reparti costituivano un<br />
esercito raccogliticcio e con ben poca<br />
A distanza di sei decenni e mezzo dalla cessazione dell’impiego, grazie anche all’ottima ventilazione naturale,<br />
l’interno della ramificata struttura militare sotterranea è ancora molto ben conservato
or sempre in ottimo stato<br />
ificazioni?<br />
velleità combattiva. Erano prevalentemente<br />
formati da ragazzi lombardi<br />
e piemontesi, presi nelle retate e arruolati<br />
con la forza per essere poi portati<br />
a Fiume, soprattutto con l’idea di<br />
isolarli dai partigiani italiani. La disposizione<br />
funzionò solo in parte dato<br />
che alcuni, forse 3 in tutto, disertarono<br />
per unirsi ai partigiani di Tito. Il<br />
loro spirito è ben descritto dai suggerimenti<br />
che davano per come rispondere<br />
al giuramento collettivo di fedeltà.<br />
Invece di rispondere “lo giuro!“ si<br />
sarebbe dovuto dire “l’ho duro!“.<br />
I fiumani qui erano pochi e forse<br />
un po’ più motivati politicamente, o<br />
almeno pervasi da un qualche spirito<br />
nazionalistico. Quelli che si sentivano<br />
fortemente animati da spirito patriottico<br />
e fascista si arruolavano nella<br />
milizia o nella X Mas. Per quelli<br />
I camminamenti in verticale che<br />
conducevano all’esterno<br />
assegnati alle fortezze si trattava soprattutto<br />
di ragazzi che avevano fatto<br />
una scelta che garantisse di non essere<br />
mandati lontano dalla città: si temeva<br />
che persone giovani ed in buona<br />
salute, arruolati nell’organizzazione<br />
Todt, venissero mandati molto<br />
lontano. Il timore non era infondato,<br />
infatti due compagni di scuola degli<br />
arruolati nella RSI, Fiore Bruzzese e<br />
Gianni Contus, furono mandati lontano<br />
ed ebbero molte traversie per<br />
tornare a casa alla fine del conflitto.<br />
Alcuni sottufficiali erano vecchi fiu-<br />
mani, precedentemente inseriti nella<br />
contraerea, DICAT, che pure, con tutta<br />
probabilità, avevano preferito questa<br />
collocazione per essere più al sicuro.<br />
La vita di questo esercito raccogliticcio<br />
si svolgeva tranquilla e<br />
senza pericoli. I bombardamenti della<br />
città mai interessarono le parti collinari<br />
di Cosala, Santa Caterina e Drenova,<br />
e comunque i soldati in quelle<br />
circostanze erano ben rintanati nelle<br />
viscere delle fortificazioni. Verso la<br />
fine del conflitto, nel mese di febbraio<br />
’45 arrivarono altre reclute. Erano<br />
prevalentemente triestini, portati<br />
a Fiume quasi come in una sorta di<br />
internamento e costituirono la 41.esima<br />
batteria allievi. Tra di loro c’era<br />
anche il noto musicista Lelio Luttazzi.<br />
Verso la fine del conflitto i soldati<br />
erano stabilmente alloggiati nei sotterranei<br />
forse per essere avvenuti mitragliamenti<br />
e spezzonamenti (forse<br />
20/04/45). Raramente i cannoni,<br />
75/27, vennero usati se non per esercitazioni<br />
contro bersagli marittimi.<br />
Un rimorchiatore trainava con una<br />
lunghissima fune una barca che faceva<br />
da bersaglio; non risulta che venisse<br />
mai colpita.<br />
I partigiani di Tito che avevano<br />
particolare fretta per arrivare a Trieste,<br />
si avvicinarono all’abitato di Fiume<br />
solo ai primi di maggio, quando<br />
da diversi giorni la radio aveva annunciato<br />
che i tedeschi avevano lasciato<br />
Milano. Al loro arrivo i can-<br />
Echi di storia<br />
Una delle postazioni che conteneva i pezzi d’artiglieria (foto Lucio Vidotto)<br />
noni spararono contro truppe che si<br />
trovavano nella piana a nord di Tersatto.<br />
Tutti i non fiumani approfittarono<br />
di quel momento per darsi alla<br />
fuga in modo disordinato e senza le<br />
armi. Credo che la loro condizione di<br />
non collaboratori fosse nota e non risulta<br />
che ebbero difficoltà per rientrare<br />
a casa. La loro fuga era stata preceduta<br />
da quella degli ufficiali e dei<br />
vecchi sottufficiali. I giovani fiumani,<br />
più astutamente, se ne andarono<br />
armati ed inquadrati come se dovessero<br />
andare in città per una missione.<br />
Un drappello di dieci ragazzi, al<br />
comando di un giovane sergente fiumano,<br />
B.A.C. detto Pippo, passò al<br />
controllo tedesco all’entrata in città,<br />
che chiese: “Ist der Weg zum Zenter<br />
frei?“. La risposta fu “Jawohl!“. Poco<br />
dopo, dalle parti della casa Balilla,<br />
ognuno se ne andò a casa sua. Alcuni<br />
gomilari nascosero i moschetti e<br />
poco dopo li ripresero per diventare<br />
partigiani di Tito.<br />
Tutta la storia sembra in qualche<br />
modo rievocare il vecchio detto fiumano,<br />
che riporto dal folclore fiumano<br />
di Gigante:<br />
Servir l’imperator<br />
xe el più grande onor<br />
servir el re de Ungheria<br />
ognidun voleria<br />
Morir per lori in guera<br />
né per mar, né per tera:<br />
la panza per i fighi<br />
e lassali che i zighi<br />
<strong>Panorama</strong> 17
18 <strong>Panorama</strong><br />
Interviste<br />
Miljenko Jergović, intervistato in occasione di una sua visita in Italia per pres<br />
Nei Balcani le illusioni ti aiutan<br />
Già qualche mese fa lo scrittore<br />
Miljenko Jergović ha fatto<br />
capire che vivere in Croazia,<br />
dove si è rifiugiato nei duri anni della<br />
guerra in Bosnia, stava diventando<br />
sempre più difficile. Interpellato<br />
non aveva precisato perché l’ambiete<br />
culturale e massmediologico dove<br />
opera con successo da anni gli è diventato<br />
un po’ stretto... Poi qualche<br />
mese dopo lo ha spiegato alla giornalista<br />
Azra Nuhefendić, pure lei originaria<br />
di Sarajevo, che lo ha intervistato<br />
per “Osservatorio sui Balcani”<br />
in occasione di una sua visita in<br />
Italia dove ha presentato il suo ultimo<br />
libro “Freelander”. Proponiamo<br />
un estratto.<br />
L’eroe del suo nuovo libro è tormentato<br />
da un’idea: “Se avessi fatto<br />
diversamente, non sarebbe successo…”.<br />
C’è un riferimento autobiografico?<br />
“Sì. Penso che una cosa simile accada<br />
a ognuno di noi nei momenti in<br />
cui si fanno i conti con le decisioni<br />
importanti della nostra vita, ma anche<br />
nella semplice quotidianità. Per<br />
esempio se a uno capita di sfregiare<br />
la portiera dell’automobile, oppure<br />
di rompere il fanalino posteriore,<br />
pensa che tutto ciò non sarebbe accaduto<br />
se fosse rimasto a casa o fosse<br />
andato al lavoro in tram. Gli uomini<br />
sono avvezzi a pensare in questo<br />
modo. Addirittura si potrebbe sostenere<br />
che ogni ritorno al passato, o anche<br />
solo un ricordo, non sia altro che<br />
un triste pensiero su come ogni cosa<br />
sarebbe andata diversamente se solo<br />
avessimo fatto esattamente l’opposto<br />
di quello che abbiamo fatto”.<br />
Lei è molto noto in Italia, e la<br />
Sua scrittura molto apprezzata. La<br />
paragonano ad Andrić, Selimović,<br />
Kiš. È contento di se stesso come<br />
autore?<br />
“Non ho una risposta pronta a<br />
questa domanda. Sono sempre più<br />
contento degli scrittori che leggo.<br />
Per quanto riguarda i paragoni, la<br />
gente ti paragona spesso ad un altro<br />
che ha letto e che conosce come<br />
scrittore. In Italia sono noti Andrić,<br />
Selimović e Kiš, e io, naturalmente,<br />
sono molto contento di simili paragoni,<br />
mi lusingano”.<br />
Benché originario di Sarajevo<br />
Lei vive a Zagabria. Si sente mai<br />
come l’eroe del suo ultimo libro,<br />
ovvero “l’uomo più solo del mondo”?<br />
“Vivo a Zagabria in una situazione<br />
molto interessante dal punto di<br />
vista sociale ed emotivo. Sono andato<br />
via molto tempo fa, 17 anni or<br />
sono, quando per molti aspetti Sarajevo<br />
era un’altra città. Oggi, quando<br />
vi ritorno, non mi pare più di tornare<br />
nella mia città, di essere tornato a<br />
casa. A Zagabria, invece, non mi sento<br />
affatto come se fossi a casa mia,<br />
perché qui non sono nato, qui non<br />
mi sono formato e, tra l’altro, sono<br />
molto spesso esposto a feroci attacchi<br />
di stampo sciovinistico nelle<br />
campagne della stampa o della televisione<br />
e contestato dai vertici politici<br />
(fatto molto interessante visto che<br />
non sono un uomo politico, né nutro<br />
la benché minima aspirazione di occuparmi<br />
mai di politica). In queste<br />
contestazioni viene espresso ad alta<br />
voce l’imperativo categorico che,<br />
per il bene dell’ambiente zagrebese e<br />
di quello croato, io torni là da dove<br />
sono venuto, sicché la città nella quale<br />
vivo per me è ‘l’estero più lontano<br />
del mondo’. Dunque, non mi appartiene<br />
la città dove sono nato e non è<br />
mia la città nella quale vivo. Immagino<br />
che un sentimento del genere sia<br />
condiviso da molti, che non sia io il<br />
solo ad avvertirlo. A prescindere dal<br />
fatto che io abbia la doppia cittadinanza,<br />
croata e bosniaca, e numerosi<br />
lettori in tutti e due gli Stati, oggi<br />
sono un apolide. Forse anche perché<br />
non ho voluto fare una scelta, perché<br />
non ho voluto rinunciare a una città<br />
per conquistare i cuori dell’altra. Nei<br />
Balcani invece questo è un imperativo.<br />
Io però non sono uno che rinuncia<br />
facilmente”.<br />
Il nuovo film che ha girato<br />
(“Viaggio di 3.000 km con la Yugo<br />
rossa”) è, se ho capito bene, la ricerca<br />
della risposta alla domanda:<br />
“Cosa ci è successo?”. Io stessa<br />
provengo dalla Bosnia Erzegovi-<br />
na e so che la stessa domanda tormenta<br />
molti dei miei amici, colleghi,<br />
parenti, concittadini, bosniaci<br />
sparsi per il mondo. La rivolgo a<br />
Lei. Cosa ci è successo?<br />
“È una domanda per la quale<br />
ognuno ha una risposta, salvo poi<br />
non accontentarsi mai della risposta<br />
stessa. Una risposta definitiva probabilmente<br />
non esiste nemmeno, ma lo<br />
scopo sociale delle nostre vite sarà<br />
di cercarla, questa risposta, fino alla<br />
fine. Soltanto in questo modo è possibile<br />
sopravvivere decentemente”.<br />
A chi si rivolge mentre scrive?<br />
Cerca di risolvere dilemmi che<br />
sono dentro di sé, oppure si rivolge<br />
ai lettori per informarli, istruirli,<br />
divertirli?<br />
“Penso di non rivolgermi a qualcuno<br />
in particolare. Racconto semplicemente<br />
la mia storia, perché la<br />
considero importante. Lo faccio<br />
spronato dallo stesso motivo per cui<br />
leggo le storie narrate da altri. Credo<br />
che questa sia una delle elementari<br />
caratteristiche umane: narrare<br />
una storia, ascoltarla o leggere quella<br />
narrata da un altro. Senza questo non<br />
si potrebbe andare avanti. Senza storie<br />
narrate probabilmente ci saremmo<br />
trasformati in bestie feroci e crudeli,<br />
che neppure in natura esistono.<br />
Una storia narrata fa sì che la gente<br />
non diventi selvaggia, in essa risiede<br />
il fondamento d’ogni morale, e con<br />
ciò pure il motivo per essere talvolta<br />
buono e gentile”.<br />
Lei non è soltanto scrittore ma<br />
anche giornalista. Pubblica a Zagabria,<br />
a Belgrado, a Sarajevo. Alcuni<br />
dei suoi colleghi hanno rifiutato,<br />
dopo la guerra, di andare a<br />
Belgrado e in Serbia, considerandole<br />
“la fonte del male”. Lei è stato<br />
invece ospite alla Fiera belgradese<br />
del libro. Non ha problemi ad andare<br />
da coloro che aveva criticato,<br />
accusato?<br />
“Ci vado a Belgrado perché amo<br />
quella città, ma ancor di più perché<br />
nutro l’illusione che così, passo dopo<br />
passo, sto vincendo coloro che hanno<br />
perpetrato crimini in nome di quella<br />
città e di quel popolo. Penso che sia
entare il libro «Freelander»<br />
o a vivere<br />
molto importante avere simili illusioni.<br />
Senza di esse, nei Balcani si vivrebbe<br />
come in una tomba.<br />
Penso di non andare ospite da<br />
quelli che hanno fatto la guerra, che<br />
hanno tenuto Sarajevo sotto assedio o<br />
che hanno distrutto Vukovar e ucciso<br />
a Srebrenica. Vado da altra gente,<br />
tra l’altro vado anche a trovare i miei<br />
amici. Si deve anche accettare il fatto<br />
che bisogna dimenticare molte cose.<br />
Per me non è un grande problema, visto<br />
che non ho mai avuto l’illusione<br />
di far parte della comunità dei giusti.<br />
Se accusassi i serbi per la guerra degli<br />
anni Novanta, e per questo motivo<br />
oggi non andassi più a Belgrado,<br />
mi scontrerei con un notevole problema<br />
interno nello spiegarmi, per<br />
esempio, il fatto che oggi vivo a Zagabria,<br />
nella città che durante la Seconda<br />
guerra mondiale ha perpetrato<br />
un genocidio sostanziale sui serbi e<br />
sugli ebrei, oppure che vivo nella città<br />
in cui all’inizio degli anni Novanta<br />
uccidevano bimbe dodicenni soltanto<br />
perché erano serbe. Penso alla ragazzina<br />
Aleksandra Zec e alla sua famiglia.<br />
I loro assassini, poliziotti e militari<br />
croati, sono stati identificati ma<br />
mai condannati. Alcuni di loro sono<br />
stati, più tardi, anche insigniti con<br />
medaglie. Com’è che si vive in una<br />
tale città? Com’è che si parte per Belgrado,<br />
città dalla quale sono stati inviati<br />
i carri armati per attaccare Vukovar<br />
e gli assassini per Srebrenica?<br />
Alcune di queste amare quanto inevitabili<br />
domande le si potrebbero fare<br />
anche in rapporto a Sarajevo. Naturalmente<br />
non tutte le città sono uguali,<br />
né le colpe e le responsabilità sono<br />
uguali, ma non appena un uomo tenta<br />
d’identificarsi con la comunità dei<br />
giusti o delle vittime, se è intelligente<br />
capirà da solo che sbaglia e che proprio<br />
una simile identificazione rappresenta<br />
la strada verso l’apologia del<br />
crimine. Vado a Belgrado perché amo<br />
quella città, ma ancor di più perché<br />
nutro l’illusione che così, passo dopo<br />
passo, sto vincendo coloro che hanno<br />
perpetrato crimini in nome di quella<br />
città e di quel popolo. Penso che sia<br />
molto importante avere simili illusio-<br />
ni. Senza di esse, nei Balcani si vivrebbe<br />
come in una tomba”.<br />
Lei è stato molto contestato, criticato,<br />
offeso. Rinnegato sia dalla<br />
Bosnia Erzegovina che dalla Croazia.<br />
Ora però entrambi i Paesi sempre<br />
più La rivendicano come proprio.<br />
Lei, in quanto scrittore, a chi<br />
si sente di appartenere?<br />
“Mettiamola in questo modo:<br />
sono scrittore di tutti coloro che mi<br />
leggono in base all’esperienza della<br />
propria madrelingua. Oppure di tutti<br />
coloro che mi considereranno un<br />
loro scrittore. Ma in senso formale,<br />
enciclopedico, io sono uno scrittore<br />
croato e bosniaco-erzegovese. E<br />
per giunta sono ancor felice di questa<br />
duplicità”.<br />
È cominciato il processo a Radovan<br />
Karadžić. Come vorrebbe che<br />
terminasse? Cosa sarebbe giusto<br />
aspettarsi o cosa si aspetta Lei da<br />
quel processo?<br />
“Per lungo tempo durante la guerra,<br />
ma anche dopo, mi coricavo con<br />
l’idea di cosa avrei fatto a Radovan<br />
Karadžić nel caso che lo avessi incontrato.<br />
Nei Paesi un po’ più felici<br />
la gente conta le pecore prima di addormentarsi<br />
o, semplicemente, prende<br />
una pasticca. Una volta che ho<br />
smesso di addormentarmi col pensiero<br />
di Radovan Karadžić, soltanto al-<br />
Miljenko Jergović<br />
Interviste<br />
lora per me la guerra è finita. Penso<br />
che sia stato intorno ai primi anni del<br />
Duemila. Non le dirò cosa mi passava<br />
per la mente perché non pensi che io<br />
sia un orribile sadico, ma le dirò che<br />
mai, proprio mai, trovavo conforto<br />
nell’idea di veder Radovan Karadžić<br />
in Tribunale. A quello di Norimberga<br />
del 1945 sì, certamente, ma a quello<br />
dell’Aja proprio no. Il Tribunale<br />
dell’Aja non funziona, lì non c’è giustizia<br />
per la Bosnia e per i bosniaci,<br />
in quel luogo non sono convinti che<br />
la giustizia per Srebrenica o per Prijedor,<br />
davanti al Signore e davanti<br />
agli uomini, sia uguale alla giustizia<br />
per ogni altro uomo di questo mondo,<br />
provenga da Washington o da Londra.<br />
Loro non credono che un musulmano<br />
morto valga tanto quanto un olandese<br />
morto. Vorrebbero terminare il proprio<br />
lavoro accontentando tutti, e non<br />
deve essere così. Emettono sentenze<br />
in modo da evitare qualsiasi tipo<br />
di catarsi morale, qualsiasi purificazione<br />
in Bosnia, in Croazia, oppure<br />
in qualsivoglia altra parte del mondo.<br />
Tra l’altro, nel Paese e nella città in<br />
cui sale al potere un certo Geert Wilders,<br />
fascista della nuova ora le cui<br />
convinzioni non sono poi molto diverse<br />
da quelle di Radovan Karadžić,<br />
risulta di cattivo gusto giudicare i crimini<br />
di Srebrenica (...)”.●<br />
<strong>Panorama</strong> 19
20 <strong>Panorama</strong><br />
Cinema e dintorni<br />
The hurt locker, di Kathryn Bigelow, si è guadagnato due Oscar sbaragliando A<br />
Guerra, aborrita ma anche tanto<br />
di Gianfranco Sodomaco<br />
È<br />
uscito in questi giorni, per Mondadori,<br />
l’ultimo libro dell’economista-sociologofuturologo<br />
americano Jeremy Rifkin: “La civiltà<br />
dell’empatia”. Seguiamo e conosciamo<br />
da tempo le sue idee sul mondo<br />
globale, sulla “biosfera” come la chiama<br />
lui. Con l’esplosione della “società<br />
informatica” ha incominciato ad immaginare<br />
“La fine del lavoro” (2005),<br />
con il diffondersi delle energie alternative<br />
la nascita di una “Economia<br />
all’idrogeno” (2003) e via di questo<br />
passo. Insomma il Nostro, in soldoni,<br />
pensa che se fossimo un po’ più furbi<br />
e utilizzassimo tutte le potenzialità che<br />
la scienza e la tecnologia oggi ci offrono<br />
potremmo costruire la famosa “società<br />
migliore”. Siccome non è affatto<br />
uno stupido e sa bene che poi, in definitiva,<br />
tutto dipende dalla volontà degli<br />
individui, dei gruppi sociali, degli<br />
Stati, ecc., ecco che ti viene fuori con<br />
questa “civiltà dell’empatia”, cioè con<br />
l’affermazione, detto sempre alla buona,<br />
che l’uomo è sostanzialmente un<br />
“animale sociale” (Aristotele), che è<br />
l’unico animale che muore se non è accudito<br />
e curato, ecc. ecc., e che dunque,<br />
nell’epoca di Internet che sta mettendo<br />
in comunicazione ormai tutto il mondo,<br />
ci sono le condizioni per costruire<br />
una Terza Rivoluzione Industriale, una<br />
società generale fondata sulla condivisione<br />
e sulla cooperazione. E aggiunge<br />
(perché non è un ottimista ingenuo):<br />
“O sarà così oppure, viste le crescenti<br />
crisi energetiche, agricole, politiche,<br />
ambientali, ecc., andremo incontro ad<br />
Il titolo in italiano significa “La cassetta del dolore“, ed è un contentitore nel quale<br />
vengono raccolti gli effetti personali dei soldati americani morti in guerra<br />
una implosione/entropia del globo terracqueo”.<br />
Interessante ma... ma la domanda<br />
è: a cosa son dovute le varie<br />
crisi che caratterizzano il nostro tempo<br />
e che lo mantengono così instabile<br />
e pericoloso? Non sarà, per caso, che<br />
l’uomo non è poi così empatico (socievole)<br />
come il nostro Jeremy crede?<br />
Ovviamente sì!, e con l’aiuto dei<br />
nostri maestri, il giornalista Eugenio<br />
Scalfari e lo psicanalista/filosofo Umberto<br />
Galimberti che sul tema hanno<br />
discusso a distanza sulle pagine de<br />
‘L’espresso’ (4 e 11 marzo), entreremo<br />
nel dettaglio: dopodiché andremo<br />
a vedere The hurt locker, il film che<br />
c’entra e come con questo discorso,<br />
ha vinto l’Oscar in tutti i sensi (miglior<br />
film e miglior regia) e ha sbaragliato<br />
il favoritissimo “Avatar” (ma<br />
noi, se il lettore ce lo concede, indirettamente<br />
l’avevamo previsto...). Scalfari,<br />
4 marzo, è convinto che “la socialità<br />
dell’uomo è una pulsione primaria,<br />
cioè tende ad esaltare la pulsione<br />
‘amorosa’ primaria inconscia<br />
(che convive con quella ‘distruttiva’)<br />
verso gli altri, l’Es di cui aveva par-<br />
lato Freud”; non solo, contrariamente<br />
a Freud, ritiene che essa sia anche<br />
una propensione razionale del nostro<br />
Io, cioè della nostra personalità morale<br />
conscia. Galimberti, 11 marzo, risponde,<br />
proprio commentando il libro<br />
di Rifkin, che sì, che “la socievolezza<br />
umana appartiene alla sua natura biologica<br />
ma che l’empatia funziona, si<br />
radica, solo se c’è fiducia” e aggiunge<br />
che “oggi, nell’epoca della tecnica, la<br />
società non ci chiede, sinteticamente,<br />
una moralità sociale quanto, invece,<br />
una ‘efficienza’ di tipo individualistico,<br />
dunque in definitiva una efficienza<br />
competitiva e conflittuale”.<br />
Non solo, ecco il punto, che il<br />
Freud maturo si spostò, drammaticamente,<br />
sul dualismo fondamentale<br />
Eros-Thanatos, pulsione di vita-pulsione<br />
di morte (pulsione di morte contro<br />
noi stessi e, per evitarla, spostata<br />
contro gli altri). Da qui, aggiungo io,<br />
completamente d’accordo con il “vecchio”<br />
Freud, situazione sociale e personale<br />
sempre instabile, problematica,<br />
difficile, pensando alla perennità delle<br />
guerre, delle infinite e multiformi vio-
vatar (diretto dall’ex marito)<br />
agognata<br />
lenze che caratterizzano le vite vicine<br />
e lontane, ecc. ecc.<br />
E veniamo a “The hurt locker”, di<br />
Kathryn Bigelow, ex moglie di James<br />
Cameron, il regista di “Avatar” (e cominciamo<br />
a capire uno dei motivi della<br />
loro separazione)! La Bigelow ha<br />
concesso in esclusiva a “la Repubblica”<br />
(11 marzo) la sua introduzione alla<br />
sceneggiatura del film, pubblicata da<br />
Newsmarket Press, e scritta da Mark<br />
Boal. Ne riprendiamo alcuni significativissimi<br />
passi.<br />
“Nell’inverno del 2004 - quando<br />
Bagdad era uno dei luoghi più pericolosi<br />
del pianeta, epicentro di esplosioni,<br />
sparatorie e rapimenti quotidiani<br />
- per i pochi giornalisti occidentali<br />
che vi lavoravano quella città divenne<br />
un posto assolutamente letale. Fu con<br />
enorme trepidazione, quindi, che augurai<br />
buona fortuna al mio amico, reporter<br />
e sceneggiatore Mark Boal allorché<br />
mi annunciò di aver deciso di partire<br />
per l’Iraq per seguire la guerra con i<br />
propri occhi. Appassionato di giornalismo<br />
investigativo, Mark aveva messo<br />
gli occhi su una piccola unità delle forze<br />
armate, meglio nota come ‘Explosive<br />
Ordinance Disposal’ (EOD), ovvero<br />
una squadra di artificieri che in quel<br />
periodo rivestiva un ruolo di primaria<br />
importanza nel tentativo dell’esercito<br />
di contenere la crescente minaccia<br />
delle bombe collocate sul ciglio della<br />
strada, i cosiddetti Ied (Improvised<br />
Explosive Devices, dispositivi esplosivi<br />
improvvisati). Tale era il pericolo<br />
legato a quella scelta che, dopo essere<br />
atterrato in Iraq, Mark dovette firmare<br />
su richiesta dei vertici dell’esercito<br />
un accordo di assunzione di responsabilità,<br />
fornire il suo gruppo sanguigno<br />
e scegliere con quale rito fare eventualmente<br />
celebrare il suo funerale...<br />
Bene, dopo aver condiviso per settimane<br />
quella incredibile esperienza (ed<br />
essere sopravvissuto!), Mark, tornato<br />
in America, per farla conoscere ad un<br />
pubblico più vasto, si offrì di scrivere<br />
una sceneggiatura su quello che quasi<br />
sicuramente era il mestiere più pericoloso<br />
che esista... Dopo aver letto la<br />
sceneggiatura di ‘The Hurt Locker’ ho<br />
provato immediatamente la sensazio-<br />
Kathryn Bigelow con l’Oscar per<br />
il film “The Hurt Locker”<br />
ne di aver messo le mani su un copione<br />
memorabile; era allo stesso tempo<br />
sia uno studio approfondito su un personaggio,<br />
il sergente James (che non<br />
può fare a meno di sfidare quelle maledette<br />
bombe sotterrate o addirittura<br />
nascoste nel corpicino di un bambino<br />
senza vita, e quando torna a casa per<br />
un periodo di congedo non vede l’ora<br />
di tornare al fronte, al suo ‘armadietto<br />
di guerra’, al suo hurt locker), sia un<br />
thriller mozzafiato che si trasformava<br />
anche in una sorta di meditazione<br />
sui temi cruciali dell’esistenza umana,<br />
della vita e della morte, del coraggio e<br />
della virilità, della guerra e della natura<br />
umana. Insomma, era originale ed<br />
elettrizzante e ho subito capito che ne<br />
avrei fatto il mio prossimo film”.<br />
Qualcuno ha scritto (Vittorio Zucconi,<br />
“la Repubblica”, 9 marzo) che<br />
soltanto una donna regista, una persona<br />
che non ha mai vissuto una guerra,<br />
poteva realizzare un film simile perché<br />
nessun uomo avrebbe mai avuto il coraggio<br />
di ammettere la impronunciabile<br />
verità e cioè la eterna seduzione<br />
tossica che la guerra esercita sugli uomini,<br />
da Caino in poi..., film talmente<br />
brutale ed agnostico che persino i<br />
veterani, i reduci, i centomila mutilati<br />
del fronte iracheno lo hanno sconfessato<br />
come “assurdo”, “inventato’”,<br />
ecc. E allora, tornando al discorso da<br />
cui siamo partiti, ecco che il cerchio si<br />
chiude: James, volontario non dimentichiamolo,<br />
che appartiene non solo al<br />
film ma alla realtà, ha scelto la pulsione<br />
di morte in tutti i sensi, scaricandola<br />
sugli altri (quando c’è da sparare, spara<br />
come un matto) ma vivendola, cercandola,<br />
anche su di sé: e non è il solo,<br />
milioni e milioni di soldati, più o meno<br />
consapevoli, nella storia...<br />
Cinema e dintorni<br />
Dal punto di vista filmico, in senso<br />
stretto, si impone ancora una domanda:<br />
come è possibile che la “oligarchia<br />
hollywoodiana” abbia premiato<br />
la Bigelow (la prima volta in assoluto<br />
una regista donna)? Psicanaliticamente,<br />
non è poi tanto difficile. Intanto,<br />
c’è una tradizione, un grande cinema<br />
americano antimilitarista che, a partire<br />
da “Comma 22”, di Mike Nichols<br />
(1970) e “M.A.S.H.”, di Robert Altman,<br />
1970, passando per “Apocalypse<br />
Now”, di Francis Ford Coppola,<br />
1979, “Il Cacciatore”, di Michael Cimino,<br />
1978, “Platoon”, di Oliver Stone,<br />
1986, “Full Metal Jacket” di Stanley<br />
Kubrick, 1987, si è confrontato, a<br />
caldo, con il problema “Vietnam”, e ha<br />
comunque raccolto i consensi e i riconoscimenti<br />
dell’America democratica.<br />
Solo che questi film hanno solo, in sostanza,<br />
condannato una guerra “sbagliata”,<br />
e l’ideologia bellicista/salvifica<br />
americana che dichiara guerre ad<br />
altre nazioni per portarvi “la democrazia”;<br />
non è poco ma nessuno è andato<br />
a fondo come la Bigelow, nessuno<br />
ha mostrato che la guerra può diventare<br />
una necessità anche dell’uomo comune,<br />
non solo dei generali, del Pentagono,<br />
ecc. ecc. E, storicamente, ciò<br />
è stato possibile, forse, dopo il trauma<br />
dell’11 settembre 2001, dopo le<br />
“Torri Gemelle”, dopo che nell’inconscio<br />
collettivo americano si è spezzato<br />
qualcosa, ha cominciato a farsi spazio<br />
una cattiva coscienza prima (ci attaccano<br />
perché siamo “il bene”, il baluardo<br />
contro il comunismo, terrorismo,<br />
ecc.!) e una nuova consapevolezza poi<br />
(ma questo baluardo è fragile e il nemico,<br />
“il male”, non sta solo di fronte<br />
a noi ma anche dentro noi stessi). Bigelow,<br />
fragile donna tra duri e puri e<br />
rudi uomini, insegna a riflettere... Meditate,<br />
gente...●<br />
<strong>Panorama</strong> 21
22 <strong>Panorama</strong><br />
Arte<br />
Tra i maggiori artisti italiani, ha ideato pure, ad Arcore, il discusso sepolcro<br />
Pietro Cascella, scultore dall’an<br />
di Erna Toncinich<br />
Nel vasto giardino della villa<br />
San Martino di Arcore, una<br />
delle dimore del presidente del<br />
Governo italiano Silvio Berlusconi,<br />
tra alberi, siepi e aiuole fiorite, c’è già<br />
pronta da qualche anno la “casa” che<br />
lo accoglierà una volta lasciato questo<br />
mondo. Non è, questa, ovvio, una casa<br />
qualunque, non è un edificio con finestre,<br />
porte e balconi, né ha un tetto a<br />
terrazza o a spioventi, è una costruzione<br />
funeraria, un monumentale mausoleo<br />
“degno” di un protagonista della<br />
politica italiana degli ultimi decenni,<br />
nonché, in fatto di finanze, un Paperon<br />
dei Paperoni.<br />
Autore dell’opera è uno tra i maggiori<br />
rappresentanti della scultura<br />
italiana contemporanea, Pietro Cascella,<br />
scomparso due anni or sono.<br />
Lo scultore ha ideato il monumentale<br />
Memorial Berlusconi come un complesso<br />
di forme varie - sfere, dischi,<br />
piramidi tronche, corpi geometrici<br />
e nessun simbolo cristiano - inserite<br />
entro un colonnato poggiante su<br />
una base a gradini. Il tutto in marmo<br />
bianco di Carrara.<br />
Il sepolcro, alto sette metri, accoglierà,<br />
oltre alle spoglie dello<br />
stesso Berlusconi, anche quelle dei<br />
suoi familiari e una piccola schiera<br />
di collaboratori e amici particolarmante<br />
fedeli. Non mancherà sicuramente<br />
tra questi il più che fe-<br />
”La rotatoria”, ultima opera di Pietro Cascella, scomparso<br />
due anni or sono all’età di 87 anni<br />
”La nave”, opera monumentale sul Lungomare di Pescara. È del 1987<br />
”La Volta del Cielo”, monumento<br />
funebre commissionato da Silvio<br />
Berlusconi per sé, per i propri familiari<br />
e amici più intimi. Si trova nel<br />
giardino della sua villa di Arcore<br />
dele Emilio Fede, direttore di Rete<br />
4, che non trova più aggettivi per<br />
osannare il suo datore di lavoro.<br />
Nella schiera dei defunti suoi esti-<br />
matori Berlusconi avrebbe voluto<br />
ci fosse anche il grande Indro<br />
Montanelli al quale aveva offerto<br />
un loculo, ma da buon toscanaccio<br />
pronto come sempre di spirito, il<br />
giornalista avrebbe rifiutato l’offerta<br />
salvandosi con il detto latino Domine<br />
non sum dignus.<br />
Berlusconi, da morto, riposerà<br />
nella cripta del sacrario, centottanta<br />
metri quadri a quattro metri e mezzo<br />
di profondità, tutta in travertino,<br />
raggiungibile scendendo sette gradini<br />
e percorrendo un lungo corridoio<br />
al quale si accede attraverso<br />
una porta in pietra (come nelle piramidi<br />
egizie!). Nella cripta l’attuale<br />
premier non sarà solo, una trentina<br />
di salme, di familiari e amici fidati,<br />
gli faranno compagnia. Lui in un<br />
”L’Arco della Pace”, del 1971. Si trova a Tel Aviv
per Silvio Berlusconi, familiari, collaboratori...<br />
imo «monumentale»<br />
Pietro Cascella (Pescara, 2 febbraio 1921 - Pietrasanta, 18 maggio 2008)<br />
sarcofago (immaginiamo faraonico),<br />
gli altri entro loculi.<br />
Nella realizzazione dell’imponente<br />
architettura-scultura,<br />
accanto a Cascella ha lavorato<br />
anche sua moglie, la scultrice<br />
Cordelia von den Steinen,<br />
autrice della parte decorativa.<br />
L’artista svizzera, ispirandosi<br />
alle decorazioni delle tombe<br />
etrusche, ha rappresentato in<br />
bassorilievo, sulle pareti della<br />
cella del defunto, vari oggetti<br />
di uso quotidiano: pane, giornale,<br />
chiavi e anche un telefonino.<br />
Tutte cose di cui Berlusconi<br />
“si servirà nell’aldilà”.<br />
L’ultima dimora, grande,<br />
sfarzosa anche nel nome, La<br />
Volta Celeste - “rappresenta il<br />
cielo, il luogo da cui veniamo<br />
e verso cui andiamo” - è pronta,<br />
tuttavia pare che la sua ubicazione<br />
desti problemi: è troppo vicina<br />
al centro abitato. I problemi sono<br />
nati subito dopo la sua costruzione,<br />
vent’anni fa, ma a Berlusconi, si sa,<br />
niente è impossibile risolvere quando<br />
si tratta di problemi personali.<br />
Ma chi è Pietro Cascella, che proprio<br />
in quanto autore del sacrario Berlusconi,<br />
e, si dice, legato da amicizia<br />
con l’inquilino di Villa S. Martino, si<br />
è attirato un bel po’ di antipatie?<br />
Pietro Cascella, nato a Pescara<br />
nel 1921, fin da ragazzino ha respirato<br />
un clima d’arte, proviene infatti<br />
”Porta della Sapienza”, già presso la Torre della<br />
Cittadella di Pisa poi trasferita all’Aeroporto<br />
Galileo Galilei della città<br />
da una nota famiglia di artisti che si<br />
sono dedicati chi alla pittura, chi alla<br />
ceramica, alla scultura o alla litografia,<br />
ad iniziare dal nonno Basilio, lo<br />
zio Michele, il padre Tommaso, il<br />
fratello Andrea. Per quasi vent’anni,<br />
dopo gli studi d’arte all’Accademia<br />
di Belle Arti di Roma, Pietro fa<br />
il pittore e con opere di pittura partecipa<br />
ad importanti rassegne quali la<br />
Quadriennale di Roma e la Biennale<br />
di Venezia, alla quale prenderà successivamente<br />
parte più volte come<br />
scultore. Ad un anno dalla scom-<br />
Arte<br />
”Testa” scultura del 1996-97<br />
parsa, alla 53.esima edizione della<br />
mostra veneziana, nel Giardino delle<br />
Vergini all’Arsenale, è stato ricordato<br />
con una rassegna di sue<br />
opere monumentali-ambientali,<br />
tutte in marmo di Carrara, il<br />
materiale da lui preferito. Di<br />
alcune sue importanti realizzazioni,<br />
ovviamente inamovibili,<br />
sono state presentate gigantografie,<br />
come ad esempio<br />
il Monumento ad Auschwitz,<br />
sua prima opera di scultura<br />
ideata nel 1959 insieme al<br />
fratello Andrea e all’architetto<br />
Julio Lafuente, opera che vedrà<br />
la sua realizzazione, leggermente<br />
modificata, appena<br />
un decennio dopo. La grande<br />
scultura, molto suggestiva, è<br />
ubicata dinanzi alla testata<br />
dei binari dove si conclude-<br />
va l’ultimo viaggio dei deportati.<br />
Diverse sono le città anche<br />
straniere che contano un<br />
monumento di questo scultore,<br />
tra queste Tel Aviv dove<br />
di Cascella c’è L’arco della Pace,<br />
Strasburgo che possiede l’Omaggio<br />
all’Europa, in Italia poi ci sono<br />
a Milano il Monumento a Mazzini,<br />
a Pescara La Nave (monumento alquanto<br />
contestato), a Pisa La porta<br />
della Sapienza, a Pontedera il Toro<br />
e diverse altre. Nell’opera di Pietro<br />
Cascella in generale si riconosce<br />
l’influenza del rumeno Brancusi, integrata<br />
da recuperi arcaici, immagini<br />
primitive per soluzioni di grande<br />
nitore formale, di ordine, equilibrio<br />
e forza.●<br />
<strong>Panorama</strong> 23
24 <strong>Panorama</strong><br />
Italiani nel mondo<br />
Serie di osservazioni di Eugenio Sangregorio sulle dichiarazioni di<br />
Il diritto di voto risponde alla log<br />
a cura di Ardea Velikonja<br />
In questi giorni continuano a circolare<br />
le più svariate opinioni<br />
sul tema degli italiani all’estero e<br />
dell’opportunità di riconoscere loro il<br />
diritto di voto. Mi hanno in particolar<br />
modo colpito le recenti dichiarazioni<br />
di Dino Nardi. Mi hanno colpito fondamentalmente<br />
perché lo stesso Nardi<br />
si autodefinisce uno “strenuo difensore<br />
del voto all’estero”. Eppure, il<br />
sig. Nardi condivide quanto sostenuto<br />
dall’on. Ugo Intini, il quale considera<br />
la Legge Tremaglia una legge “balorda”;<br />
o ancora, si chiede quali siano i<br />
motivi e la necessità che gli emigrati<br />
eleggano i propri parlamentari.<br />
A questa domanda che il sig. Nardi<br />
si pone, io rispondo facendogli<br />
presente che i motivi per i quali gli<br />
italiani oltre confine eleggono i propri<br />
parlamentari sono esattamente gli<br />
stessi per i quali gli italiani residenti<br />
in Patria scelgono i propri rappresentanti<br />
in Parlamento. Come in ogni<br />
Paese democratico, è naturale che sia<br />
il popolo ad eleggere i propri rappresentanti<br />
attraverso il suffragio universale,<br />
e per popolo si intendono tutti i<br />
cittadini (maggiorenni), a prescindere<br />
dal luogo di residenza. Su questo<br />
punto non c’è molto da discutere, anche<br />
perché è la stessa Costituzione a<br />
stabilire questo principio, in virtù del<br />
quale il diritto di voto è connesso allo<br />
status di cittadino. Quanto alla seconda<br />
domanda che il sig. Nardi si pone,<br />
ossia “come si potrebbe non essere<br />
d’accordo con quegli italiani residen-<br />
Eugenio Sangregorio<br />
ti in Italia che mai hanno compreso<br />
la necessità che gli emigrati debbano<br />
eleggere i loro parlamentari”, rispondo<br />
semplicemente facendo presente<br />
che il voto non è una questione utilitaristica<br />
o di convenienza. Il diritto<br />
di voto risponde alla logica della democrazia<br />
e non ha secondi fini, per<br />
cui non debbono essere ricercate le<br />
necessità che lo giustificano. Tutt’al<br />
più, se proprio dobbiamo parlare di<br />
necessità, sarebbe quella di preservare<br />
la democrazia nel nostro Paese.<br />
C’è chi ancora oggi continua a sostenere<br />
che gli italiani all’estero sono<br />
un peso per l’Italia e per il suo erario,<br />
sempre alla ricerca di assistenza<br />
e sussidi dallo Stato. Invece, la storia<br />
ci dimostra tutto il contrario, e chi<br />
ancora crede che i connazionali oltre<br />
confine siano un peso non ha capito<br />
nulla delle rimesse, del turismo di ritorno<br />
e della promozione e diffusione<br />
del Made in Italy.<br />
Le rimesse, infatti, sono state<br />
l’elemento di fondo della ricostruzione<br />
italiana e del miracolo economico<br />
del Paese, soprattutto nel secondo<br />
dopoguerra. Da un’analisi dei dati<br />
dell’Ufficio Italiano Cambi, si evince<br />
che già nel 1947 le rimesse degli italiani<br />
all’estero e inviate alle proprie<br />
famiglie rimaste in Patria ammontavano<br />
a più di 30 milioni di dollari.<br />
Nel 1949 ammontavano a circa<br />
90 milioni di dollari, e nel 1952 raggiunsero<br />
gli oltre 100 milioni di dollari.<br />
Questa cifra aumentò in maniera<br />
esponenziale negli anni successivi,<br />
con l’incremento dell’emigrazione.<br />
Pertanto, i sacrifici degli italiani<br />
emigrati contribuirono non solo alla<br />
diminuzione della disoccupazione<br />
e della situazione di miseria in cui<br />
era immersa l’Italia in quegli anni,<br />
ma furono anche strategici per la ricostruzione<br />
e la rinascita economica<br />
del Paese. Altro che peso per l’Italia<br />
e il suo erario!<br />
Un altro importante contributo<br />
degli italiani all’estero per l’economia<br />
del Paese è costituito dal turismo<br />
di rientro, ossia di quei connazionali<br />
che hanno stabilito la propria residenza<br />
all’estero ma che spesso ritornano<br />
in Italia in vacanza. Questo<br />
flusso turistico non deve essere sottovalutato,<br />
anche perché il settore del<br />
turismo è uno dei pilastri dell’economia<br />
italiana.<br />
Altrettanto rilevante è il ruolo degli<br />
italiani all’estero nella promozione<br />
e diffusione del Made in Italy.<br />
In primo luogo, gli emigrati italiani<br />
conservano e diffondono abitudini di<br />
consumo che vanno naturalmente ad<br />
accrescere la domanda di beni prodotti<br />
dalle aziende italiane (basti pensare<br />
ai prodotti alimentari, o ancora<br />
la moda e il design). Non a caso, nei<br />
Paesi esteri in cui è più forte la presenza<br />
della comunità italiana, maggiori<br />
sono le importazioni di prodotti<br />
italiani.<br />
Inoltre, le collettività italiane<br />
all’estero, oltre a diffondere l’italianità<br />
e consumare “all’italiana”, favoriscono<br />
l’esportazione del knowhow<br />
e della tecnologia italiana. Infat-
Dino Nardi in merito alle elezioni all’estero<br />
ica della democrazia<br />
ti, gli imprenditori italiani all’estero,<br />
nell’attrezzare le proprie fabbriche<br />
e aziende, privilegiano i macchinari<br />
italiani.<br />
In sostanza, la forte presenza di<br />
comunità italiane all’estero reca degli<br />
immensi benefici all’economia<br />
del Paese e favorisce le esportazioni<br />
dei beni prodotti dalle aziende site in<br />
Dino Nardi, membro del Comitato<br />
di Presidenza del Consiglio<br />
Generale degli Italiani<br />
all‘Estero (CGIE)<br />
Italia. A questo proposito mi sembra<br />
opportuno anche menzionare delle<br />
recenti dichiarazioni fatte dal Vice<br />
Ministro allo Sviluppo Economico<br />
Adolfo Urso, il quale ha evidenziato<br />
che l’export cresce del 4,7% verso<br />
i Paesi extra Unione Europea ed ha<br />
aggiunto che “solo l’export può trainare<br />
la ripresa italiana”. Certamente,<br />
sia le grandi aziende che le PMI<br />
italiane hanno bisogno di cercare<br />
nuovi mercati in cui poter collocare<br />
i beni e servizi prodotti, non essendo<br />
sufficiente la domanda interna<br />
al mercato italiano. In questo senso,<br />
gli italiani all’estero favoriscono<br />
le esportazioni e fungono da veri e<br />
propri promotori del Made in Italy.<br />
Peraltro, dobbiamo tener conto che<br />
la globalizzazione è ormai cambiata<br />
e vediamo diffondersi sempre di più<br />
tra gli Stati le misure protezionistiche,<br />
con l’obiettivo di tutelare i posti<br />
di lavoro e le imprese nazionali.<br />
Per questa ragione, oggi i Paesi, ivi<br />
compresa l’Italia, hanno bisogno di<br />
cooperazione ed integrazione attraverso<br />
le alleanze strategiche.<br />
Fatte queste precisazioni sulla<br />
grande risorsa (soprattutto economica)<br />
che gli italiani all’estero rappresentano<br />
per lo Stato italiano, vorrei<br />
soffermarmi brevemente su quanto<br />
asserito dal sig. Nardi nel suo articolo,<br />
dove sostiene che il diritto di voto<br />
degli italiani oltre confine, “vista la<br />
collocazione geografica di milioni di<br />
elettori residenti all’estero, non può<br />
che essere espletato attraverso il voto<br />
per corrispondenza”. Io ritengo, al<br />
contrario, che la modalità del voto per<br />
corrispondenza debba essere del tutto<br />
eliminata, in quanto non solo non garantisce<br />
né la libertà né la segretezza<br />
del voto e si presta a brogli elettorali<br />
(come appunto quelli denunciati nelle<br />
votazioni del 2006 e del 2008), ma<br />
nemmeno rispetta quella pariteticità<br />
tra cittadini italiani all’estero e cittadini<br />
italiani residenti in Patria che la<br />
Costituzione italiana sancisce.<br />
Credo che la soluzione più plausibile<br />
e rispettosa della legalità e trasparenza<br />
dei procedimenti elettorali sia<br />
quella dell’istituzione dei seggi elettorali<br />
all’estero. Il sig. Nardi considera<br />
questa soluzione impraticabile, anche<br />
per gli elevati costi che essa comporterebbe.<br />
Egli però non tiene conto<br />
delle ingenti spese che la gestione<br />
dei plichi elettorali, nel caso del voto<br />
per corrispondenza, ha comportato<br />
nelle elezioni passate, sia in termini<br />
di materiali, di invio che di personale.<br />
Peraltro, l’argomentazione con cui<br />
il Sig. Nardi conclude il suo articolo<br />
mi sembra poco sostenibile. Se per<br />
difendere il voto per corrispondenza<br />
dobbiamo ricorrere al fatto che, come<br />
dice Nardi, “pure il voto nei seggi<br />
non è una garanzia assoluta e immune<br />
da pecche”, allora dovremmo togliere<br />
il diritto di voto a tutti gli italiani!<br />
I brogli elettorali non vanno risolti<br />
con metodi ancora meno trasparenti<br />
come quello del voto per corrispondenza,<br />
ma vanno combattuti con controlli<br />
rigorosi e severi. ●<br />
Eugenio Sangregorio<br />
Vicepresidente pro tempore PDL<br />
America Meridionale<br />
Italiani nel mondo<br />
E i giornali<br />
all’estero?<br />
Chi, a Roma, ha fatto approvare<br />
questo “infame” decreto<br />
legge e chi lo ha approvato<br />
votandolo, sappia che ha posto<br />
le basi per la distruzione della<br />
stampa e della lingua italiana<br />
all’estero. “Se l’intenzione è<br />
quella di buttare nel dimenticatoio<br />
più di 40 milioni di italiani<br />
che da decenni hanno contribuito<br />
a tenere alto nel mondo il nome<br />
dell’Italia, ebbene il suo Governo,<br />
con i tagli alla stampa italiana<br />
all’estero, vi è riuscito. Egregio<br />
Sig. Presidente, ed ora che<br />
cosa ancora taglierete: gli eletti<br />
all’estero e poi il nostro voto alle<br />
prossime elezioni politiche italiane?”:<br />
è quanto si chiede Luciano<br />
Gonella, giornalista italiano residente<br />
in Canada, in una lettera<br />
aperta al presidente del Consiglio,<br />
Silvio Berlusconi. “Da<br />
decenni - scrive ancora Gonella<br />
- un gruppo di persone coraggiose,<br />
con i loro giornali, hanno<br />
saputo tenere vivo il sentimento<br />
di italianità di cui siamo andati<br />
sempre fieri, oltre a dare il maggiore<br />
contributo all’informazione<br />
ed alla cultura della madre patria.<br />
I giornali italiani nel mondo<br />
sono sempre stati il cordone ombelicale<br />
tra l’Italia e gli Italiani<br />
nel mondo. Tutti sanno ed hanno<br />
sempre saputo che il manipolo<br />
di editori coraggiosi che hanno<br />
pagato a caro prezzo questo loro<br />
sforzo di mantenere vivo il dialogo<br />
con la madre patria, non si<br />
sono certamente arricchiti stampando<br />
i loro giornali e nemmeno<br />
ricevendo una miseria di contributo<br />
dal Governo italiano, contributo,<br />
tuttavia, che dava loro un<br />
minimo di aiuto. Si possono ben<br />
capire le ristrettezze dovute ad<br />
una crisi internazionale, ma tre<br />
milioni di euro destinati ai 120<br />
periodici, in un bilancio finanziario<br />
di più di 800 miliardi di euro,<br />
sono delle bazzecole, quando si<br />
pensa agli sperperi che vengono<br />
perpetrati ogni anno”. ●<br />
<strong>Panorama</strong> 25
28 <strong>Panorama</strong><br />
Reportage<br />
Numero record di produttori presenti quest’anno a Crassiza ad Oleum Olivarum<br />
Sostenere l’autoctonia dell’olivo istriano<br />
testo e foto di Ardea Velikonja<br />
Un recente studio effettuato dal<br />
“Flois olei”, la guida dei migliori<br />
olii di oliva europei, afferma<br />
che l’Istria è al secondo posto<br />
in quanto a varietà di olio, preceduta<br />
solo dalla Toscana. Infatti in questa<br />
prestigiosa guida ci sono gli olii di 35<br />
paesi di cui ben 40 produttori istriani.<br />
Favorita dal microclima, la regione<br />
sta diventando meta di acquirenti da<br />
Spagna, Belgio e Germania che sono<br />
interessati ad acquistare terreni per la<br />
coltivazione dell’olivo. Attualmente<br />
conta 125 olivicoltori con oltre 500 alberi<br />
e sette “Strade dell’olio di oliva”,<br />
progetto portato con successo a termine<br />
da Denis Ivošević, assessore regionale<br />
al turismo.<br />
In Croazia annualmente si producono<br />
4500 tonnellate di olio di oliva, in<br />
Italia 612.000, in Spagna 1.100.000.<br />
Nonostante ciò l’Istria come regione,<br />
come già detto, con 1500 tonnellate di<br />
olio annue lavorate in 26 oleifici, è riuscita<br />
a piazzarsi al secondo posto, secondo<br />
il parere di esperti e giornalisti<br />
che hanno compilato la guida “Flois<br />
olei”, dopo la Toscana che ne produce<br />
16.600. L’Istria addirittura è riuscita a<br />
battere la California che in 30 oleifici<br />
produce 1000 tonnellate di olio.<br />
Le feste dell’olio di oliva stanno<br />
facendola conoscere, anche se timidamente,<br />
in tutta Europa. Una di queste<br />
è Oleum Olivarum, l’incontro dei<br />
produttori istriani che si svolge tradizionalmente<br />
a Crassiza nel mese di<br />
marzo e che quest’anno è giunto alla<br />
tredicesima edizione, ed a cui negli<br />
ultimi cinque anni si è aggiunta anche<br />
la Fiera vera e propria, con stand e<br />
degustazioni. La due giorni di Crassiza<br />
è stata anche occasione per sentire<br />
ai seminari tenuti dagli esperti come<br />
l’Istria e la Croazia si stiano preparando<br />
all’entrata nell’Unione europea<br />
e di conseguenza come procede<br />
l’adeguamento ai nuovi regolamenti<br />
di produzione di tutte le colture,<br />
quindi anche delle olive. Đanfranko<br />
Pribetić, esperto olivicultore, ha parlato<br />
sulle necessità di promuovere<br />
i cluster (un gruppo di unità simili)<br />
La piccola Crassiza ha ospitato centinaia di persone<br />
Il dott. Paolo Parmegiani<br />
dei produttori: “L’unità fa la forza e<br />
in futuro, se non ci raggrupperemo,<br />
non potremo fruire degli incentivi<br />
europei nell’ambito del programma<br />
per lo sviluppo dell’olivicoltura. Anche<br />
il Ministero all’agricoltura croato<br />
prevede sovvenzioni per tutti i cluster<br />
agricoli”. È seguito l’intervento<br />
dell’agronoma Marina Kocijanić,<br />
che ha parlato ai numerosi produttori<br />
d’olio presenti in sala del nuovo database<br />
ARKOD, “che altro non è che<br />
una specie di controllo di tutte le parcelle<br />
catastali in cui si svolge attività<br />
agricola, dati che saranno obbligatori<br />
una volta entrati nell’Ue”.<br />
Infine il dott. Paolo Parmegiani,<br />
esperto in olivicolture della regione<br />
Friuli Venezia Giulia, ha toccato<br />
il tema “La varietà di olivo autoctone<br />
dell’Istria, il loro valore e l’importanza”:<br />
“Da anni vengo qui in Istria e con<br />
piacere ho visto che di anno in anno<br />
c’è più voglia di fare. Qui, in questo<br />
territorio, ci sono tutti i presupposti<br />
per fare non bene ma benissimo. Comunque<br />
avete ancora parecchi percorsi<br />
da fare in prospettiva dell’entrata<br />
nell’Ue, primo fra tutti l’accatastamento<br />
delle particelle con gli olivi<br />
dato che nell’Unione europea ci sono<br />
regole precise per quanto riguarda<br />
l’agricoltura. In Istria ci sono circa 8-9<br />
mila ettari di terreno coltivati a olivo,<br />
con oltre un milione di piante e quindi<br />
qui c’è un grosso potenziale. Tanto<br />
per fare paragoni con il resto dell’Europa<br />
vi dirò che in Friuli Venezia Giulia<br />
ci sono 400 ettari di olivi, in Veneto<br />
circa 7000, in Toscana 90.000 ed in<br />
Puglia 350.000. Complessivamente in<br />
Italia ci sono circa un milione di ettari<br />
coltivati ad olivo. Il primo produttore<br />
in Europa comunque è la Spagna con<br />
2 milioni di ettari. Qui ormai l’olivicoltura<br />
è diventata un’industria e non<br />
un ramo dell’agricoltura. Voi quando<br />
entrerete in Europa dovrete scontrarvi<br />
con un grosso mercato e quindi dovrete<br />
lottare per la qualità.<br />
L’olio non è sempre olio, quello al<br />
supermercato non è nulla a confron-
Quest’anno la giuria ha avuto il suo bel da fare:<br />
144 gli oli presentati<br />
Degustazioni in ogni stand<br />
Tantissima gente ha voluto partecipare alla fiera di Crassiza<br />
Prodotti biologici ovunque<br />
<strong>Panorama</strong> 29
Lo show culinario<br />
I due cuochi al lavoro<br />
Stuzzichini di polenta bianca con ricotta<br />
al tartufo, una vera bontà<br />
Almo Čatlak, il cuoco più<br />
conosciuto dalle casalinghe<br />
I “pljukanci” istriani, ovvero la pasta fatta in casa Immancabili i fusi istriani Il riso<br />
30 <strong>Panorama</strong>
Sergio Rožman alle prese con i fornelli<br />
tto con il radicchio rosso è andato a ruba<br />
Pinze, frittole e pane con il patè di olive<br />
Gli antipasti<br />
Il sugo con le verdure e le olive verdi e nere<br />
<strong>Panorama</strong> 31
Tra le tante medaglie d’oro, primo classificato in assoluto Igor Kersan di Dignano<br />
32 <strong>Panorama</strong><br />
L’argento è andato a 64 produttori<br />
Quest’anno l’olio di Giancarlo Zigante<br />
si è fatto onore alla rassegna dalmata<br />
Venti le medaglie di bronzo A vincere il concorso di pittura quest’anno<br />
è stato Milan Marin di Umago
to di quello acquistato dal contadino<br />
in bottigliete al massimo di mezzo litro.<br />
Esso rispecchia una determinata<br />
zona e quindi le varietà autoctone<br />
sono quelle qualità dell’olio tipico del<br />
territorio. In Spagna tre qualità ricoprono<br />
circa il 50 per cento della produzione,<br />
in Grecia tre specie ricoprono<br />
il 90 per cento della produzione, in<br />
Portogallo 3 varietà coprono il 96 per<br />
cento della produzione, in Turchia 5<br />
coprono il 75 per cento, in Marocco<br />
una sola varietà copre il 97 per cento<br />
della produzione totale. Per quanto<br />
riguarda l’Italia, 24 varietà coprono<br />
il 58 per cento della produzione, In<br />
tutto abbiamo 538 varietà iscritte nel<br />
registro. Logico che ci sono cultivar<br />
diverse perché ci sono ambienti microclimatici<br />
diversi, sicché ogni zona<br />
risce ad avere delle varietà autoctone<br />
presenti da secoli. Quindi qui da voi,<br />
o sulle isole e in Dalmazia, non possono<br />
esserci gli stessi tipi di olivo. In<br />
Istria gli olivi devono essere resistenti<br />
al freddo e sono la ricchezza dell’olivicoltura<br />
locale.<br />
Qui questa coltivazione è stata riscoperta<br />
grazie ai contributi della regione<br />
che ha sovvenzionato gli olivicoltori,<br />
e all’importazione delle piante<br />
dalla Toscana definita il più grande<br />
vivaio di olivi d’Europa. I due alberi<br />
principali sono il leccino e il frantoio:<br />
il primo proviene dalla zona di<br />
Firenze dove fa freddo e il Frantoio<br />
dalla Maremma, dove fa caldo. E<br />
poi avete la banchera. Fin qui tutto<br />
va bene - ha continuato Parmegiani -,<br />
ma si è dimenticata la pianta autoctona<br />
dell’Istria, la busa o drobniza. Per<br />
chi non lo sa già nel 1903 Carlo Hugues,<br />
studioso goriziano, a capo della<br />
‘Scuola agraria provinciale’ di Parenzo,<br />
allora le varietà di olivi in Istria.<br />
Con la gelata del 1929 molte zone<br />
olivicole vennero abbandonate anche<br />
perché finché questa zona era sotto<br />
l’Austria-Ungheria l’olivicoltura era<br />
forte perché questa era l’unica zona<br />
agricola su cui l’Austria poteva contare.<br />
Poi successivamente con il passare<br />
dell’Istria all’Italia l’olivo venne<br />
abbandonato perché la grande Italia<br />
aveva già tantissimi olivi. E rimasero<br />
abbandonati fino a qualche anno<br />
fa quando finalmente alcuni contadini<br />
decisero di ripulire dai cespugli<br />
quegli alberi secolari e raccogliere i<br />
frutti. Gli alberi autoctoni sono quelli<br />
selezionati dai nostri antenati, che si<br />
Reportage<br />
Dalle olive non solo olio, ma anche prodotti di bellezza, tutti ecologici<br />
sono adattati all’ambiente e quindi bisogna<br />
tutelarli. Ora sta in voi a prepararvi<br />
alla lotta entro l’Ue che, ripeto,<br />
potrete vincere solo con l’autoctonia,<br />
facendo sì cioè che l’olio istriano sia<br />
riconosciuto ed apprezzato sul mercato<br />
europeo”, ha concluso il dott.<br />
Parmegiani<br />
Chiedo all’esperto: ascoltando la<br />
sua esposizione ho scrutato un po’<br />
i visi dei produttori presenti, mi<br />
sono sembrati parecchio preoccupati,<br />
impauriti per quanto ha detto<br />
lei in merito alle nuove regole che<br />
dovranno entrare in vigore in Croazia<br />
con l’annessione all’Ue. Hanno<br />
da avere paura o no? L’autoctonia<br />
in Istria è talmente sviluppata da<br />
poter competere con i grandi produttori?<br />
“Sulle varietà autoctone in Istria<br />
bisogna ancora lavorare, ciò non significa<br />
che non bisogna piantare leccino<br />
e frantoio, perché dipende molto<br />
dalle quantità di olio che fanno. Certo<br />
che se io faccio mille litri di olio posso<br />
farlo anche tutto con varietà autoctone,<br />
ma quando comincio a farne decine<br />
di ettolitri allora bisogna che sia<br />
un prodotto buono, buonissimo per<br />
il mercato europeo. In questo senso<br />
l’entrata in Europa è una notevole opportunità<br />
e quindi in quella situazione<br />
lì si va a fare un prodotto anche con il<br />
leccino, anche con il frantoio, ma si<br />
deve pensare a dare qualcosa di più,<br />
cioè un prodotto di prima fascia, seconda<br />
fascia, standard, due gusti, uno<br />
con leccino leggermente più dolce,<br />
uno con il frantoio, un momentino più<br />
fruttato, però accanto a questo prodotto<br />
che magari viaggia in bottiglie da<br />
un litro e 750 cl, mettere anche la bottiglietta<br />
da mezzo litro, da un quarto di<br />
litro, di queste cose specifiche, produ-<br />
zioni nostre, locali magari spiegando<br />
cosa significa questo olio, questa varietà.<br />
Perché poi diventa un problema<br />
di educazione alimentare, cioè far capire<br />
alla gente le caratteristiche diverse<br />
di un olio da un altro olio, allo stesso<br />
modo come viene fatto con i vini.<br />
Quindi dobbiamo seguire nel mondo<br />
dell’olio la strada che ormai i viticoltori<br />
hanno intrapreso 30-40 anni fa”.<br />
Tornando alla Rassegna dell’olio<br />
di oliva di Crassiza dobbiamo dire che<br />
quest’anno c’è stato un record nel numero<br />
degli olii presentati all’apposita<br />
commissione: ben 144 provenienti da<br />
tutta l’Istria. La comissione dell’Associazione<br />
assaggiatori ha assegnato<br />
quindi ben 37 medaglie d’oro, 64 d’argento<br />
e 20 di bronzo. Primo fra tutti<br />
però è risultato essere l’olio di Igor<br />
Kersan di Dignano. Ma “Oleoum Olivarum”<br />
per la prima volta ha presentato<br />
uno show culinario con due cuochi<br />
molto conosciuti, Almo Čatlak,<br />
che ogni mattina alle 8.30 presenta<br />
in TV la trasmissione “Buongiorno,<br />
buon appetito”, e Sergio Ražman, il<br />
cuoco della trattoria “Marino” di Kremenje.<br />
Ed è stato un vero spettacolo<br />
di odori e sapori con la gente che<br />
ha fatto la fila per gustare i fusi con il<br />
sugo agli ortaggi, la polentina con ricotta<br />
al tartufo, il mascarpone nel cestino<br />
di pane, il pane alle olive, il risotto<br />
con il radicchio rosso, insomma<br />
tutto all’insegna dell’olio di oliva.<br />
Anche quest’anno in seno alla rassegna<br />
si è tenuto il tradizionale concorso<br />
di pittura in tema. Ben 120 gli<br />
artisti presenti provenienti da Croazia,<br />
Slovenia, Italia, Germania ed Inghilterra.<br />
Ad aggiudicarsi il primo premio<br />
è stato Milan Marin di Umago, per il<br />
suo acquerello ispirato, manco a dirlo,<br />
alle olive. ●<br />
<strong>Panorama</strong> 33
Lo scorso giugno sono stati attribuiti i Premi della<br />
XLII edizione del concorso Istria Nobilissima, che<br />
hanno dato una nuova conferma dei potenziali creativi<br />
del gruppo nazionale italiano nei campi dell’arte<br />
e della cultura. Ritenendo che di tali potenziali debba<br />
fruire il maggior numero di lettori nelle pagine riservate<br />
alle letture, “<strong>Panorama</strong>” propone le opere a cui<br />
siano stati attribuiti premi o menzioni.<br />
Nella sezione “Prosa in lingua italiana” la giuria<br />
ha assegnato la menzione onorevole a MARIO<br />
SCHIAVATo di Fiume. Il titolo del racconto, di cui<br />
pubblichiamo la prima parte, è ”Ritorno a Midian”.<br />
34 <strong>Panorama</strong><br />
Letture<br />
«Ritorno a Midian»<br />
I<br />
Marco, di buon mattino, dopo quasi sei mesi dal pensionamento,<br />
con uno zaino sulle spalle e un borsone in mano, a Zagabria<br />
salì su un autobus e se ne stette immobile sprofondato<br />
nel sedile, gli occhi smarriti nel vuoto. Quanti affanni gli turbinavano<br />
nell’animo anche quella mattina perché con la partenza<br />
aveva finalmente deciso di innalzare un muro su tutte le<br />
indecisioni, le ansie, le paure e gli scoramenti che, soprattutto<br />
negli ultimi tempi, lo avevano tanto abbattuto, angustiato,<br />
spesso sconvolto. Voleva uscire da quel tunnel e dimenticare.<br />
Tutto. Proprio tutto!<br />
In primo luogo l’ufficio e tutto quanto all’ufficio era legato:<br />
quelle albe dopo le troppo lunghe notti insonni quando la<br />
sveglia suonava, lui spegneva la suoneria, si girava dall’altra<br />
parte, s’addormentava finalmente, ma dopo un po’ apriva gli<br />
occhi e scopriva di avere solo poco tempo per alzarsi, lavarsi,<br />
vestirsi e correre in banca; poi la noia fetida di tutti quegli<br />
anni trascorsi, dei giorni tutti uguali tra l’indifferenza di quanti<br />
gli stavano attorno intruppati di scrivania in scrivania a sbadigliare<br />
e a deriderlo; quindi i vigliacchi intrighi del caposezione<br />
che, per poter passare da comandante di sei impiegati a quello<br />
di quindici esseri indolenti e rassegnati, non faceva che scorrazzare<br />
in cerca di dirigenti bisognosi di servi tonti, meglio di<br />
leccaculi e appena poteva per delle stupidaggini lo rimproverava,<br />
lo umiliava davanti a tutti, lui, l’istarski talijančić che<br />
alle volte nel parlare sbagliava qualche desinenza; voleva dimenticare<br />
anche gli ordini ed i contrordini ai quali aveva dovuto<br />
sempre adeguarsi senza mai protestare, l’aver sgobbato tre<br />
volte più del necessario sforzandosi da un lato di portare a termine<br />
i compiti affidatigli - sempre per orgoglio e per assurdo<br />
spirito di disciplina, non perché credesse all’utilità di quel che<br />
faceva o ne aspettasse qualche vantaggio personale -, dall’altro<br />
di evitare le piccole furberie e le viltà indispensabili per<br />
poter rimanere a galla, per difendersi dall’invidia e dall’ostilità<br />
degli altri. Perfino quando comprese che il far carriera non<br />
era cosa che gli si addicesse, che doveva accontentarsi di effettuare<br />
solo dei lavori esecutivi, trovò la forza di rinunciare ai<br />
modesti gradi che a volte gli concedevano, continuando però a<br />
soffrire moralmente per le ingiustizie e per i cento piccoli soprusi<br />
fatti a lui ed agli altri, per lo spettacolo delle teste vuote,<br />
dei prepotenti, dei ciarlatani e degli intriganti che troppo spes-<br />
so salivano in alto. Sì, doveva proprio mettere nel dimenticatoio<br />
tutta quella sua lunga vita fatta di niente, vuota, piatta, rassegnata<br />
seguita ai primi entusiasmi, ai primi fervori, quel suo<br />
degradare giorno per giorno dallo zelo verso il disinteresse,<br />
verso l’indifferenza, e alla fine, quella sua esistenza ancora più<br />
vuota, vacua, seguita al pensionamento, le giornate senza fine<br />
passate girovagando per la casa in ciabatte e mutande, il non<br />
saper dove andare e cosa fare, i pranzi e le cene solitari consumati<br />
con la mente persa, i libri che una volta aveva tanto amato,<br />
che tentava di leggere e non riusciva a seguire.<br />
E poi voleva soprattutto dimenticare quella che era stata la<br />
sua vita con la Dora che in un certo modo lo aveva costretto<br />
a rimanere a Zagabria, quei tanti amori all’inizio, certo grandi<br />
amori, l’entusiasmo, la passione e la tenerezza almeno da parte<br />
sua, quel matrimonio fatto in fretta e senza pretese d’accordo,<br />
ma molto intimo e tenero, quindi da parte di lei la non desiderata<br />
nascita di figli, quel tempestarlo di pugni sulla schiena,<br />
il non lasciarlo finire se qualche volta facevano l’amore per i<br />
due aborti uno dietro l’altro che lei aveva deciso ed in seguito<br />
i rancori, le recriminazioni, l’animosità che pian piano erano<br />
finiti nell’indifferenza, nell’astio, nel livore, nell’odio. La rivedeva<br />
cento volte al giorno, spettinata, arrabbiata, acquattata<br />
nel suo malanimo, cento volte al giorno risentiva le sue invettive,<br />
le sue minacce, le sue sfuriate, anche il suo disprezzo<br />
e, alla fine, per sua fortuna, il definitivo delirio, quando dopo<br />
anni di liti furiose, spesso con rottura di piatti e di bicchieri,<br />
aveva impacchettato non soltanto la sua roba, aveva fatto caricare<br />
il tutto su un furgone e, sbattendo la porta, se n’era andata<br />
finalmente a far ammattire, lui lo aveva capito da qualche tempo<br />
che esisteva, un altro disgraziato come lui.<br />
Adesso che tutto era finito doveva ammettere che troppo<br />
spesso era stato un codardo, un remissivo, qualche volta persino<br />
un vile sia nei rapporti con l’ufficio che con la Dora. Molto<br />
difficili, inquieti, erano stati poi tutti quegli ultimi mesi chiuso<br />
in casa. Non usciva più. Ogni tanto metteva la testa fuori dalla<br />
finestra, vedeva il cielo azzurro deserto di nubi, immaginava<br />
campi, boschi, vigne, olivi e pietraie, fiutava i profumi e gli<br />
pareva di percepire quello del cotogno, del ginepro, del timo,<br />
anche del letame. Gli odori della sua infanzia. Allora gli occhi<br />
gli si riempivano di lacrime, singhiozzava premendosi una<br />
mano sulla bocca, ma non sapeva decidersi ad andarsene. Non<br />
ci riusciva. Spesso sdraiato sulla malconcia poltrona sfondata
ascoltava l’assordante rotolare dei motori, gli scoppi delle motociclette<br />
sulla strada, la musica a tutto volume dei vicini screanzati,<br />
teneva un libro aperto in mano e non riusciva a leggere<br />
una sola parola, sfinito rimaneva lì, a braccia e gambe spalancate<br />
come un sacco vuoto senza neanche poter connettere.<br />
Davvero tanti giorni di noia, di accidia, di completa solitudine,<br />
raramente a finestre spalancate per poter catturare - almeno<br />
quelli - i pochi fili di vento e le illusioni di frescure serali e<br />
se qualche volta nel radersi la barba si guardava allo specchio<br />
avrebbe voluto essere un altro per dimenticare quel livore che<br />
sentiva e vedeva dentro di sé.<br />
Usciva di sabato, solo di sabato mattina per la spesa. Se incontrava<br />
qualcuno sulle scale salutava, ma nessuno gli rispondeva.<br />
Allora imparò ad imboccarle e scenderle senza reggersi<br />
al corrimano, lentamente, a testa alta, pallido, fiero, teso, magari<br />
guardando in viso la gente ma mostrando con evidenza<br />
che non vedeva nessuno, che il suo sguardo era perso altrove.<br />
Nel negozio più vicino andava a comperare pane, formaggio,<br />
mortadella, salsiccia da lasciar sfrigolare per ore nel fornetto<br />
che a suo tempo la Dora aveva preteso e che era già pieno di<br />
unto e di grasso mentre la puzza si diffondeva attorno, fino giù<br />
per le scale. Dopo un lungo tempo di quelle salsicce, di quella<br />
mortadella, di quel riso scondito, di quella pasta mezzo cruda,<br />
anche di vomiti e di diarree, un medico vicino di casa, una<br />
giovane pietosa dai grandi occhi tristi, incontrandolo per caso<br />
sul portone lo aveva fermato, gli aveva detto che era diventato<br />
uno straccio, che sembrava un barbone deperito, emaciato, che<br />
sì, sicuramente non aveva malattie, ma soltanto paura, paura di<br />
uscire da quella sua prigione. Gli disse ancora che aveva bisogno<br />
di una vacanza, di una lunga vacanza. Perciò doveva uscire<br />
più spesso, muoversi da quella sua apatia, incontrare qualche<br />
amico, recarsi fuori della città, immergersi nella natura, respirare<br />
aria buona, parlare con la gente, mangiare decentemente,<br />
scherzare talvolta, anche bere qualche bicchiere di vino.<br />
Fu appunto dopo quell’incontro che una notte, dopo essersi<br />
rivoltato a lungo nel letto, finalmente decise: doveva andare<br />
nella vecchia casa dei nonni nella stanzia di Midian, il villaggetto<br />
sperduto in quell’Istria che non aveva mai dimenticato,<br />
che era continuamente nei suoi sogni, la chiave ruggine<br />
conservata come una reliquia nel borsello che il padre alla sua<br />
morte gli aveva lasciato assieme al suo vecchio orologio. Si<br />
disse: certo, sarò solo anche lì, ma libero finalmente. Se la gente<br />
del posto mi cucirà addosso una figura, non potrà essere che<br />
di straniero il quale arriva per chiedere la carità di una piccola<br />
attenzione, di un saluto, di una parola buona, ma comunque<br />
sarò un uomo tra gli uomini.<br />
Ad un tratto, mentre steso sul sedile dell’autobus se ne stava<br />
con gli occhi socchiusi, gli parve di sentire il ronzio di un<br />
calabrone, poi il cinguettio degli uccelli, il verso del cuculo, il<br />
frinire di cicale, lo sbattere del picchio, di vedere lo snodarsi<br />
del viottolo che portava alla stanzia e, una volta arrivato sotto<br />
il grande gelso che sorgeva all’inizio dell’abitato, di sentire<br />
le voci acute delle donne che dalle finestre chiamavano i figli,<br />
anche il belare delle pecore, il ragliare degli asini, i muggiti<br />
delle vacche e dei manzi. Pure le bestemmie degli uomini. E<br />
fu così che su quell’autobus che filava veloce, dopo tante notti<br />
disperatamente insonni, s’addormentò. Un sonno profondo il<br />
suo, mentre la grande città spariva pian piano alle spalle, tutti<br />
i quartieri moderni, le enormi muraglie degli insulsi dormitori<br />
come il suo sparivano, si perdevano nel magico, fantastico verde<br />
della periferia dapprima e poi della campagna.<br />
Letture<br />
Dormì a lungo. Si svegliò e si riaddormentò più volte finché,<br />
dopo parecchie ore, uno scossone lo destò definitivamente.<br />
Allora strabuzzando gli occhi pulì gli occhiali con l’orlo<br />
della camicia, se li si sistemò sul naso, con la mente ancora annebbiata<br />
seguì per qualche tempo oltre il finestrino l’alternarsi<br />
dei dossi, delle dolinette, dei boschi di querce già di colore<br />
ruggine, dei campi, dei vigneti, degli oliveti, dell’intrico verdastro<br />
della macchia e quello grigiastro delle masere, infinito<br />
labirinto di muretti a secco.<br />
Dunque era arrivato in Istria e quando ad una svolta gli parve<br />
di conoscere i posti e che fosse giunto il momento di scendere,<br />
si decise: si alzò, si pose il suo voluminoso zaino sulle<br />
spalle, agguantò con una mano il borsone, si avvicinò timoroso<br />
all’autista dell’autobus, lo pregò gentilmente e quello quasi subito,<br />
un po’ brontolando, fermò l’automezzo ormai pressoché<br />
vuoto su una piazzola che s’allargava accanto alla strada. Così<br />
egli, per la verità un po’ a fatica, poté scendere prima ancora<br />
di arrivare a Dignano, proprio a due passi dal bivio per Gajan;<br />
alzò una mano in segno di saluto - hvala, grazie sior sofer, so<br />
ben che qua no’ xe stazion, hvala lijepa dovidjenja - scrollò un<br />
po’ le spalle per aggiustarsi il pesante carico e quindi, soprappensiero<br />
ma sollevato, soddisfatto, respirando a pieni polmoni<br />
s’avviò lentamente per il viottolo che si defilava tra due grosse<br />
masere, viottolo pietroso che avrebbe dovuto portarlo, non ne<br />
era molto sicuro comunque perché gli parve un po’ troppo curato,<br />
allargato, a quella stanzia Midian dove appunto sorgeva<br />
anche la vecchia casa della sua famiglia.<br />
Quei due poderosi muri a secco che si perdevano avanti,<br />
erano quasi soffocati da ammassi di sterpi, da rovi spinosi, da<br />
fitti ginepri, da ginestre, da biancospini carichi di bacche olivastre.<br />
In alto planavano i corvi neri e sotto, tra il fogliame marcio,<br />
qualche merlo zampettava, raspava indaffarato in cerca di<br />
chissà quali delizie. Anche se non era tornato da tanto da quelle<br />
parti, come avanzava gli parve di riconoscere ogni tratto del<br />
viottolo che s’inoltrava tra i troppi vedorni, i maggesi trascurati,<br />
tra oliveti abbandonati, tra qualche vigneto con i filari di viti<br />
dai tralci coperti da foglie rossastre, tra campetti di erba spagna<br />
ormai secca, tra grumassi di pietrame con, in un canto, qualche<br />
decrepita casita col tetto mezzo sfondato.<br />
Più avanti, ne era sicuro, il viottolo doveva infilarsi nella<br />
macchia stracolma di cespugli di cornioli e di ginepri, poi<br />
svoltare ad un bivio per Peroi prima e per Valmadorso e Santa<br />
Fosca dopo, quindi allungarsi dritto per un lungo tratto fino<br />
alla vecchia chiesa mezzo diroccata di San Tomà di Gusan per<br />
raggiungere il grosso gelso col tronco da un lato rivestito di<br />
muschio e quindi le poche case tutte affacciate in fila. Finiva<br />
quel viottolo in un altro più stretto e lungo che portava verso le<br />
rovine del castelliere di Mandriol dove quand’era ragazzo, durante<br />
le lunghe vacanze dell’estate, andava con gli amici Gigi<br />
e Ninetto a scovare i ramarri ma anche gli spiriti che - a detta<br />
delle comari chiacchierone sedute di sera sugli scagni davanti<br />
l’uscio di casa a prendere il fresco - nelle giornate di bora sospiravano,<br />
gemevano disperati, poveracci, forse anche perché<br />
ormai da secoli erano ridotti senza un tetto sulla testa.<br />
Su tutto quell’indimenticabile panorama - che Marco<br />
con grande nostalgia e anche con commozione ritrovò<br />
intatto - in quella stagione sovrastava un verde succhiato<br />
da una estrema umidità, un verde già polveroso, secco,<br />
grigio come l’erba del viottolo che lentamente lo accompagnava,<br />
avanti e avanti. E lui faceva un po’ di fatica a<br />
procedere, perché era cosparso di pietre, pietre frantuma-<br />
<strong>Panorama</strong> 35
36 <strong>Panorama</strong><br />
Letture<br />
te nei secoli dalle ruote dei tanti carri che erano andati ed<br />
erano tornati dalla campagna stesa fino al mare.<br />
Qualche volta nell’osservare quanto lo circondava, si commuoveva.<br />
E per questo, piuttosto turbato, doveva fermarsi per<br />
osservare meglio un qualche particolare: il tronco bozzoluto di<br />
un olivo centenario, le pratoline con la corolla al sole che punteggiavano<br />
un prato, le bacche rosse dei pungitopo, un nido<br />
abbandonato tra i rami di un cespuglio, il volo alto dei gabbiani.<br />
Poi riprendeva a camminare sereno, tranquillo, contento di<br />
essersi finalmente deciso di lasciare la baraonda di Zagabria,<br />
di tornare da quelle parti per poter trovare un po’ di serenità e<br />
di pace - così almeno sperava - e dunque fermarsi, forse anche<br />
per sempre, nella vecchia casa dei nonni da parecchi anni abbandonata.<br />
Una volta sistemato - lo aveva già deciso - si sarebbe avviato<br />
per i sentieri, ogni giorno un itinerario nuovo, per riscoprire<br />
la campagna, magari giù fino a Colomba, fino a Valmadorso,<br />
fino al mare. E poi voleva anche ritrovare le poche terre<br />
di famiglia, tutti i panorami che aveva quasi perduto, godere<br />
di nuovo dei profumi dell’aria, della carezza del vento e, nella<br />
bruma della sera, rivedere il distendersi della terra rossa nel<br />
velluto dei tramonti sfuocati. E, perché no?, anche chiamare<br />
gli spiriti, se davvero esistevano tra le nere muraglie franate<br />
del castelliere di Mandriol, perché gli narrassero tutte quelle<br />
storie che, tanti anni prima, la nonna aveva inventato per lui<br />
nelle lunghe serate dell’estate mentre se lo coccolava sulle ginocchia<br />
o mentre nell’ultima luce del crepuscolo continuava a<br />
sferruzzare tranquilla davanti la porta di casa seduta sullo scagno<br />
col cussin, qualche volta, poverina, grattandosi le gambe<br />
piene di vene varicose, oppure accarezzandosi con la mano<br />
stracca il mento, fitto di una peluria d’argento.<br />
Tutto ciò accadeva quando, finita la scuola, i genitori lo<br />
portavano difilato a Midian. Arrivavano tutti e tre da Pola a<br />
Dignano col treno, poi proseguivano a piedi ansando, magari<br />
con pacchi e valigie caricati su una carriola presa in prestito<br />
da un conoscente e riempivano la casa. Era allora che sua madre,<br />
bianca e sottile, dal sorriso altero e dallo sguardo severo,<br />
si metteva dei pantaloni corti, stinti, e magari brontolando - per<br />
mi mai un po’ de vacanze! - s’adattava a lavare i piatti, a mettere<br />
un po’ d’ordine in cucina, a pulire i pavimenti delle camere;<br />
suo padre invece, dopo aver, secondo lui, sgobbato tutta la<br />
giornata nella vigna o nei campi di famiglia, faccende che a lui<br />
proprio non garbavano - appena quindicenne, in piena guerra<br />
era scappato a Pola, apprendista in Arsenal - stravaccato su<br />
una vecchia panca, ascoltando il concerto dei grilli si sorbiva<br />
lentamente l’ultimo bicchiere di malvasia prima di levarsi il<br />
cappello unto bisunto, infilare le scale e andare a dormire nel<br />
gran letto, sbadigliando una buona notte.<br />
Al pensarci, una grande nostalgia gli riempì l’anima al ricordo<br />
di tutti quei lunghi periodi felici delle estati della sua infanzia<br />
- sì lunghi e felici perché al finire di una settimana o due,<br />
per fortuna suo padre e sua madre dopo mille ammonizioni e<br />
raccomandazioni se ne tornavano a Pola e lo lasciavano con la<br />
nonna - periodi pieni di fatti e di fatterelli che adesso, pur nella<br />
sua solitudine, troppo spesso gli era impossibile tirar fuori intatti<br />
dalla mente stanca.<br />
Immerso in un’ansia indefinita, a tratti sfuggente, camminò<br />
adagio un’ora buona. Poi ansante, anche stanco, si fermò.<br />
Posò il borsone per terra sul margine del limido fitto di piante<br />
di malva fiorita pur in quell’autunno inoltrato, si tirò giù anche<br />
lo zaino e si sedette su un sasso senza badar troppo all’erba<br />
ancora bagnata di rugiada che cresceva attorno. Raccolse una<br />
spiga secca di segala selvatica e se la infilò nella manica con le<br />
reste all’ingiù per vedere se dopo qualche movimento sarebbe<br />
rispuntata in alto sulla spalla come capitava quand’era un ragazzino.<br />
Sorridendo mosse lentamente il braccio e quando riapparve<br />
sull’orlo del collo, con il palmo della mano si asciugò<br />
il sudore che per l’emozione gli era apparso sulla fronte e annusò<br />
l’aria. Percepì subito il profumo delicato delle tome, gli<br />
elicrisi, quelle piante odorose dai fiori giallastri con le quali la<br />
nonna faceva le coroncine da ficcare tra le lenzuola e la biancheria,<br />
poi anche quello dei pochi, ultimi fiori delle ginestre,<br />
quello della menta quasi secca, del timo serpillo che cresceva<br />
presso la masera, quello più aspro del pelin che la nonna raccoglieva<br />
per fare un beveraggio alla vacca quando quela bastarda<br />
lazzarona si riempiva di troppa erba fresca e la pancia<br />
le si gonfiava e gonfiava, e poi magari bisognava correre in<br />
paese, chiamare il veterinario, el sior Giulio, sì, el sior Giulio,<br />
così si chiamava il vecchio col pancione che per ogni visita -<br />
quel fiolduncan - si faceva pagare in natura, due litri di olio o<br />
cinque di malvasia come minimo per un viaggetto con il suo<br />
scricchiolante carrozzino tirato da un mulo spelacchiato, così<br />
che suo padre, se per caso era ancora da quelle parti in vacanza<br />
a sfacchinar come un mulo - così diceva lui perché la campagna<br />
non gli piaceva affatto, del resto aveva il suo posto a Scoglio<br />
Olivi, al tempo dei drusi avrebbe voluto andare come tutti<br />
esule in Italia con la famiglia ma la domanda di opzione era<br />
stata respinta per l’ich del suo cognome - quando el conte magnamocoli<br />
come lui lo chiamava se ne sarebbe andato, poteva<br />
tirar giù tutta la sequenza delle sue parolacce, quelle che facevano<br />
imbestialire la nonna, che le facevano mettere il muso per<br />
almeno tre giorni, accendere vari lumini davanti alla Madonna<br />
del Rosario e anche gridare arrabbiata: bruto toco de lazzaron,<br />
bocca sporca va a confessarte che xe ora!<br />
Parve a Marco che in quel silenzio la campagna si allargasse,<br />
più piana di quanto ricordava, giù, giù verso il mare in<br />
quel fitto di vegetazione dai colori autunnali, tanti i gialli che<br />
talvolta sconfinavano nel violetto o nel rugginoso perdersi delle<br />
seraie, i boschetti di vecchie querce. Eh, già! Com’era bello!<br />
Vedorni e seraie, masere e stanzie, lachi e casite, grumassi<br />
e tome!, se li ricordava ancora quei nomi per lui ormai strani,<br />
perché nella sua infanzia, dal dialetto veneto istriano e dall’italiano<br />
delle elementari e delle medie era dovuto passare al croato,<br />
prima per studiare all’università e poi per lavorare in quella<br />
mefitica banca. Comunque li aveva messi tutti in un angolo<br />
della mente e nei momenti di nostalgia li tirava fuori, quasi per<br />
consolarsi, ridacchiando. Quanti nomi, quanti proverbi, quanti<br />
modi di dire, un’infinità. La nonna era una miniera inesauribile:<br />
el fruto no’l casca lontan da l’alboro; mejo un ovo ogi che<br />
‘na galina doman; chi che dà e po ch’el ciol, ghe vien la bissa<br />
soto el cor; la prima galina che canta ga fato l’ovo; chi che<br />
mori el mondo lassa, chi che vive se la spassa; chi che no ga<br />
testa, ga le gambe; l’ago e la pesseta mantien la poveretta; chi<br />
va in leto sensa sena, tuta la note se remena… Già, a pensarci<br />
bene, quella sera forse sarebbe toccato proprio a lui andare a<br />
letto senza cena e magari remenarse senza ciapar sono per le<br />
troppe emozioni di quella giornata!<br />
Ad un tratto, forse perché immerso in quell’ambiente e rincuorato<br />
dal ricordo di tutti quei proverbi e di quei modi di dire,<br />
sollevato, Marco scoppiò in un’allegra risata. In cuor suo ormai<br />
era sicuro di riuscire a ritrovare il tempo perduto. Poi s’accorse<br />
che, poco lontano, oltre un rombo, cioè una masera in
parte franata, c’era un tale con un berretto nero in testa che<br />
trafficava tra i cavi di un vigneto, potava le viti, levava i pali,<br />
di tanto in tanto li scaraventava in un mucchio scatarrando. Lo<br />
osservò meglio. Ma sì, doveva proprio essere Luigi, meglio<br />
Gigi, quello che non s’era mai mosso da Midian, o forse s’era<br />
allontanato solo per un breve periodo in Bosnia a fare il militare<br />
al tempo della socijalistička Jugoslavia come era toccato a<br />
lui del resto, che era finito in quel di Jajce. Dunque quel Gigi,<br />
con il quale aveva fatto le corse con i cerchi arrugginiti delle<br />
vecchie botti spingendoli con un uncino di fil di ferro, poi le<br />
gare di chi pisciava più lontano, anche le pugnete s’erano fatti<br />
assieme quando ben nascosti nei campi tra le piante alte del<br />
granturco parlavano di tette e di culi di donne o quando scappavano<br />
giù fino al mare per andare a fare il bagno nudi inseguiti<br />
dai cani. Lo capì da quei suoi baffoni grigi che gli pendevano<br />
sopra la bocca larga, spalancata e ansimante. E fu proprio Gigi<br />
che gridò, spalancando le braccia come se ad un tratto, miracolo!,<br />
avesse scorto un angelo del paradiso, meglio addirittura<br />
il padreterno:<br />
- Madona benedetta! Marcheto, ti son propio ti!<br />
- Sì, son propro mi!<br />
- Jesus Maria!<br />
Piantò viti e pali il baffone, con i suoi scarponacci infangati<br />
quasi di corsa s’avviò al porter e anche Marco, raccolti zaino e<br />
borsone, trafelato s’affrettò ad andargli incontro:<br />
- Sei proprio tu!<br />
- Eh, sì. Finalmente mi sono deciso a tornare da queste parti.<br />
- Mi fai restare con la bocca aperta!<br />
- Ma sì, starò qui almeno per qualche tempo, vedrò, magari<br />
per sempre.<br />
- Come farai? Solo in questo deserto! Sei matto?<br />
- Nella vecchia casa dei nonni…<br />
- Sempre ben chiusa, eh, sempre! Perché ci penso io a fare<br />
la guardia.<br />
- Grazie Gigi, grazie.<br />
- Non si sa mai con certa gente che va in giro in cerca di<br />
avventure. Intendo a cercar case vuote da pagar poco. Già, ma<br />
tanto, se soltanto la tua fosse vuota! Credimi stanzia Midian è<br />
ormai deserta da tanto. In quanti siamo rimasti?<br />
- Pochi?<br />
- Sei, e soltanto quattro case aperte. Piene de veci squasi<br />
tuti imbambinidi. Le altre spalancano le finestre qualche volta<br />
di domenica se i benedeti fioi si disturbano di venire ad aprirle!<br />
Capirai che fatica per loro, arrivare da Pola o da Rovigno, magari<br />
da Trieste fino qui in auto adesso che hanno pulito, allargato<br />
il limido, te ne sarai accorto anche tu come l’hanno messo<br />
bene, tuti lustri lustri ‘sti turisti!, le done anca coi tacheti<br />
a spilo e le tete fora, e magari brontolano solo perché devono<br />
aggiustare un qualche copo fatto volare di traverso dai refoli<br />
della bora!<br />
Si abbracciarono commossi.<br />
- Gigi, te vedo ben!…<br />
- Anche ti, sempre compagno, Marcheto!<br />
- Eh, compagno, preciso! Anca mi co’ la muffa ormai, da<br />
tanto…Troppa muffa, in testa soprattutto. Che non so, non riesco<br />
a togliermi.<br />
- Dunque ti sei deciso di lasciare le tante comodità del tuo<br />
casermone…<br />
- Nella metropoli. Già, adesso Zagabria la chiamano metropoli<br />
questi cuchi, e mi fanno ridere! Mah, vedremo. Per il momento<br />
ho deciso così…<br />
Letture<br />
- Mi fa piacere. Per poter fare qualche chiacchiera assieme,<br />
riempire qualche lunga serata d’inverno sentai sul fogoler,<br />
quando soffierà la bora e non si potrà mettere fuori neanche<br />
il naso.<br />
- Abbiamo tante cose da ricordare!<br />
- Quante estati passate insieme, eh, ti ricordi? Però tornare<br />
in ‘sta nostra stanzia, sistemarti, abituarti, non ti sarà mica facile.<br />
Davvero. Solo e alla tua età per giunta. Meglio alla nostra<br />
età perché anche noi, mia moglie ed io voglio dire, a malapena<br />
tiriamo avanti, proprio, pensando ad un domani sempre più incerto,<br />
anzi davvero pessimo!<br />
- Spero di farcela…<br />
- Qui, e non par vero, ormai siamo troppo lontani dal mondo.<br />
Manca tutto. Abbiamo ancora le lampade a petrolio e qualche<br />
volta d’estate manca l’acqua perché le cisterne si asciugano.<br />
Per andare a fare la spesa sono chilometri! Da fare a piedi.<br />
O magari in bicicletta se hai soldi per comperartela. Dammi la<br />
borsa che ti aiuto…<br />
- Ma e il tuo lavoro in vigna?<br />
- Sta arrivando l’inverno. Ho già raccolto le olive e le ho<br />
portate nel torchio, ho seminato un paio di vanese di frumento,<br />
ho tutto l’inverno per mettere a posto le vigne così che ora di<br />
tempo ne ho da buttar via. Andiamo va…<br />
- Andiamo…<br />
- Solo non ti capisco. Ecco, lasciare una bella città per venire<br />
qua tra queste quattro masere! Mah… no parlo più! Afari<br />
tui…<br />
S’incamminarono uno di fianco all’altro. Poi Marco cominciò<br />
ad ansimare, ad inghiottire la saliva a fatica come se<br />
volesse parlare e non trovasse le parole. Si fermò. A stento disse:<br />
- Devi capirmi Gigi. Erano mesi che mi preparavo, che<br />
dentro mi rodeva l’ansia. Praticamente da quando sono in pensione<br />
e le mie giornate sono vuote, fatte di niente! Amici non<br />
ne ho. Dove vivo non sono mai riuscito a farmene. Di sinceri,<br />
voglio dire. Per questo mi sono preparato a questo ritorno. In<br />
città, in quella Zagabria che non ho mai digerito, troppo lontana<br />
dal mio essere, dal mio pensare, non ci potevo più stare. La<br />
mia è stata una vita sprecata, davvero tutta sprecata… Dora se<br />
n’è andata, dopo un’ultima lite anni fa mi ha piantato, pare abbia<br />
trovato un altro, sai, di quelli in alto, co’i schei come la voleva,<br />
come pretendeva, e di figli, per fortuna, non ne abbiamo<br />
avuti. Anzi, voluti… Vivevo solo da troppi anni. Nella noia e<br />
nella disperazione.<br />
Gigi lo guardò e poi mormorò:<br />
- Non è che qui sarà molto diverso… Sarai solo anche qui.<br />
Marco parve non sentirlo. Disse afflitto:<br />
- Ogni giorno, anzi meglio ogni notte, durante la mia inguaribile<br />
insonnia, gli occhi aperti nel buio, ho ripassato tutto,<br />
ma tutto di questa terra e di quei periodi in cui qui sono vissuto,<br />
anzi in cui qui sono cresciuto. In quelle interminabili notti<br />
vedevo i parenti, la gente, poi le seraie, i campi, gli oliveti,<br />
le vigne, i vedorni, le verdure negli orti, le rovine su a Mandriol<br />
e le poche case tutte in fila con le persiane spalancate al<br />
sole…<br />
- Te l’ho già detto, molte case sono chiuse da parecchio,<br />
qualche tetto sta per crollare e c’è gente che capita ogni tanto,<br />
gente che vorrebbe comperare, con le auto che ci sono adesso è<br />
facile arrivare fin qui, intendo per serti novi siori, venire con le<br />
loro ganghe in campagna, avere qui una seconda casa, è diventato<br />
di moda… (1 - con tinua)<br />
<strong>Panorama</strong> 37
Fin dal primo periodo trascorso a Pirano (1941-<br />
1953), e poi specie negli anni successivi, a Trieste,<br />
ho constatato che sapevamo e si sapeva ben poco<br />
sull’origine dei cognomi piranesi e istriani. Bisognava<br />
quindi approfondire la questione, e mentre stavo raccogliendo<br />
i materiali necessari per lo studio iniziando<br />
da quelli di Pirano mi capitò fra le mani il Dizionario<br />
dei cognomi italiani, pubblicato a Milano nel 1978 da<br />
Emidio De Felice, ove mi accorsi per prima cosa che<br />
l’autore nel suo pur documentato libro ignorava del<br />
tutto l’Istria, classificando come triestini ad esempio<br />
Apollònio, Muiesàn e Parenzàn che sono invece tipicamente<br />
istriani.<br />
40 <strong>Panorama</strong><br />
Ricerche<br />
Ho intrapreso così uno studio sistematico sui cognomi<br />
di queste terre, allargando man mano le ricerche<br />
fino a comprendere tutti quelli presenti fra Trieste,<br />
l’Istria, il Quarnero, Fiume e la Dalmazia. Il loro studio<br />
- va sottolineato - in quanto coinvolge diverse altre<br />
discipline (storia, geografia, araldica, lingue, dialetti,<br />
ecc.), ci permette di avere una maggiore conoscenza<br />
del nostro passato e delle nostre origini per esprimere<br />
in modo abbastanza esauriente la consapevolezza che<br />
siamo parte integrante di un’unica storia universale,<br />
intercollegati tramite i nostri avi da un intreccio di legami<br />
di sangue che ci affratella e ci unisce.<br />
L’Autore<br />
Che cosa ci dicono i cognomi usati in Istria, Quarnero, Dalmazia e Trieste<br />
I Descovich, otto famiglie morlacche<br />
di Marino Bonifacio<br />
Descovich, Desković, Dešković<br />
Cognome giunto a metà del ‘500 dalla Dalmazia meridionale<br />
in Istria, ove è attestato dal 20/12/1556 a San<br />
Lorenzo del Pasenatico con un ser Paulum Descovich<br />
(AMSI 9°, p. 316 e p. 322), avvertendo nel contempo che<br />
i Descovich sono una delle otto famiglie morlacche che<br />
nel 1558 fondarono Villanova di Parenzo (ACRSR 21°,<br />
1991, p. 201, nota 39).<br />
Un ramo del casato si è inoltre stabilito più a Nord nella<br />
zona di Grisignana, dove il 22/2/1580 era pievano di<br />
Villa Castagna presbiter Georgius Descovich de Bollara<br />
Grisignane (AMSI 94°, 1994, p. 222), cioè prete Giorgio<br />
Descovich di Bollara di Grisignana. La famiglia fondò<br />
appunto vicino a Grisignana la Villa Descovich, come anche<br />
comprovato dal fatto che nel 1720 viveva a Cittanova<br />
uno Jure fattor di Villa Descovich (ACRSR 19, 1988-89,<br />
p.116), ove si trattava di tale Jure (Giorgio) fattore della<br />
detta villa (= villaggio) ossia amministratore, dirigente.<br />
Tale villa evidentemente poi è scomparsa, presumibilmente<br />
nel corso dell’800, e non viene segnalata né dal Cadastre<br />
né da Perselli 1993. Il toponimo Descovici compare<br />
tuttavia in Alberi 1997 nella carta a p. 640.<br />
La succitata località di Bollara / Bolara è invece continuata<br />
fino a noi (nel 1945 era abitata da 22 famiglie pari<br />
a 99 persone), e nel 1775-76 gli eredi Descovich possedevano<br />
una costieretta in contrada di Bolara, nella quale<br />
c’era pure una costieretta bassa di Ive Descovich e altresì<br />
un coronal (campagna a gradoni) vicino alle case dei Descovich<br />
(Catastico 1775-76, pp. 112-13).<br />
Secondo il Cadastre nel 1945 vivevano 40 famiglie<br />
Descovich nell’Istria croata scritte (eccetto 1) Dešković,<br />
alcune delle quali diventate Desco, più 3 famiglie Deško<br />
divenute Desco nell’Istria slovena di cui 2 a Ospo (allora<br />
nel comune di Dolina cioè di San Dorligo della Valle, oggi<br />
sotto Capodistria in Slovenia) e 1 a Villa Decani. Così, in<br />
realtà vi erano soltanto 6 famiglie Dešković nel comune<br />
di Grisignana (5 a Bolara, 1 a Mengotti di Castagna), e le<br />
Spalato<br />
rimanenti nell’Istria orientale e nel Quarnero, ossia 20 famiglie<br />
Dešković nel comune di Moschiena (solo 1 a Moschiena-centro,<br />
8 a Valle di Moschiena, 3 a S. Antonio), 3<br />
nel comune di Laurana, 3 ad Abbazia (2 Dešković e 1 Descovich),<br />
8 nel comune di Cherso (di cui 3 a Caisole e 3 a<br />
Dragosetti), cui va aggiunta 1 famiglia Descovich di due<br />
persone a Pola in Brat-Šim 1985, I, p. 260.<br />
Oggi il cognome prosegue soltanto come Dešković in<br />
Istria (a Grisignana, Cittanova, ecc.), a Fiume, Zara e altrove<br />
(a Lubiana però anche come Desković), e a Trieste<br />
quale Desco, Descovich, Deskovic. Alcuni Desco / Descovich<br />
istriani ovviamente continuano pure fuori Trieste.<br />
La base del cognome Desković - come visto scritto<br />
Descovich in Istria fin dal 1556 a San Lorenzo del Pasenatico<br />
(Orsera) - è il nome croato Desko / Deško (le<br />
predette 3 famiglie Deško dell’Istria slovena erano sottinteso<br />
di origine croata), documentato ad Almissa (croato<br />
Omiš), località dalmata costiera poco a sud di Spalato,<br />
il 17/3/1235, giorno in cui Desco fu uno dei 79 cittadini<br />
della città (incluso il conte Colomanus, primo cittadino)<br />
che firmarono un atto di pace con Ragusa (Ljubić 1868,<br />
p. 52). Inoltre, egli rifece lo stesso giuramento di pace il
5/3/1245 a nome di tutto il comune di Almissa assieme al<br />
conte Nicolò figlio di Codimiro (cit., p. 68).<br />
Citiamo anche uno Zongelo de Desco il 10/11/1378 ad<br />
Arbe (Ljubić 1874, p. 115) e un Descus filius Cressie di<br />
Scutari l’11/10/1407 (Ljubić 1875, p. 103).<br />
Scala, Skala<br />
Cognome presente in Istria a Cittanova nel 1635 con<br />
un Francesco Scala (ACRSR 19°, 1988-89, p. 122), il<br />
quale però era di Rozzo. A conferma di quanto detto, uno<br />
Spiridione Spanić nato nel 1858 nell’orfanotrofio di Spalato,<br />
figlio di genitori ignoti, guardia di finanza, ha sposato<br />
l’8/2/1890 a Pirano una Giuseppa Scala nata nel 1862<br />
a Rozzo e abitante a Pirano, figlia di Francesco Scala e<br />
di Maria Krulčic, dinanzi ai testi Mario Scala calzolaio di<br />
Francesco e Pietro Scala fabbro.<br />
Il Cadastre segnala nel 1945 in Istria 1 famiglia Scala<br />
a Poglie di Rozzo, 2 famiglie Scala nel comune di Pinguente<br />
(1 a Pinguente e 1 a Lanischie), 1 famiglia Scala<br />
a Rovigno, 1 a Isola e 1 a Capodistria, la quale era impersonata<br />
da Mario Scala, titolare di un negozio di calzature,<br />
originario da Rozzo.<br />
Tra gli Scala pinguentini, Giovanni Scala fu uno dei 5<br />
componenti del Comitato che nel 1896 istituì a Pinguente<br />
la Società dei Cacciatori del Pinguentino, mentre Egidio<br />
Scala organizzò una sezione del Corpo Esploratori Italiani.<br />
Liberato Scala di Lanischie è invece perito nell’ultimo<br />
conflitto. Inoltre, nel 1945 vi erano delle famiglie Scala<br />
pure a Pola e a Fiume (si veda il sacerdote fiumano don<br />
Severino Scala, parroco degli italiani di Brooklyn, rien-<br />
Almissa-Omiš (Johan Hogmuller, 1839)<br />
ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE<br />
ACRSR: Atti del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, Trieste-Rovigno<br />
dal 1970.<br />
Alberi 1997: Dario Alberi, Istria: storia, arte, cultura, Trieste<br />
1997.<br />
AMSI: Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e<br />
Storia Patria, Parenzo-Pola-Venezia-Trieste dal 1885.<br />
Brat-Šim 1985, I: Josip Bratulić i Petar Šimunović, Prezimena i<br />
naselja u Istri: narodnosna statistika u godini oslobođenja (Cognomi<br />
e località dell’Istria: statistica per nazionalità nell’anno<br />
della liberazione), libro I, Pola-Fiume1985.<br />
Cadastre: Cadastre national de l’Istrie d’après le Recensement<br />
du 1er Octobre 1945, a cura di Josip Roglić, Sušak 1946.<br />
Catastico 1775-76: Vincenzo Morosini IV, Catastico generale dei<br />
boschi della provincia dell’Istria (1775-1776), a cura di Vjekoslav<br />
Bratulić, Collana di ACRSR n. 4, Trieste-Rovigno 1980.<br />
Grisignana<br />
Ricerche<br />
trato in Italia e morto a Roma), oggi proseguenti a Pola<br />
come Skala, cui vanno aggiunte 1 famiglia Skala a Promontore<br />
di Pola e 1 a Cittanova, diversamente da Fiume<br />
ove è rimasta la grafia italiana Scala.<br />
Gli Scala dell’Istria e di Fiume possono essere di origine<br />
veneta oppure dalmata, ramo degli Scala di Zara, ove<br />
ancor oggi vi sono delle famiglie Scala scritte Skala. Al<br />
momento non abbiamo però alcuna attestazione sugli Scala<br />
di Zara, di cui ignoriamo quindi se siano locali o di provenienza<br />
veneta, ad esempio veronese. Il cognome Scala è<br />
tuttora fiorente a Verona e provincia (specie a Caprino, Cerro,<br />
Costermano e Grezzana), e pare risalire a un Balduino<br />
Scala console di Verona nel 1147, da cui discese la signoria<br />
Scaligera cioè gli Scala / della Scala signori della città dal<br />
1259 al 1387 (Verona 2001, pp. 93, 100, 105, 113). Secondo<br />
Rapelli 2007, pp. 623-624, il cognome Scala di Cerro<br />
deriva dalla contrada Scala a nord di Bosco Chiesanuova,<br />
traente il nome da un Nicolò de la Scala, morto prima del<br />
1306, pertinente a un ramo secondario dei signori Scala /<br />
Della Scala, il cui capostipite era costruttore di scale.<br />
Scala è pure antico cognome di Milano, ivi ancor oggi<br />
ben presente (si veda la nota attrice, ballerina e cantante<br />
milanese Delia Scala), documentato dal 7/1/1337 (CDI)<br />
con un Franzolo de Lascala de Mediolano. Gli Scala di<br />
Trieste sono sottinteso di origine istriana, fiumana e zaratina,<br />
ricordando che alcune famiglie Scala di Fiume vivono<br />
anche in altre regioni italiane e 1 famiglia in Germania<br />
a Rodgau. (6 - continua)<br />
Le puntate precedenti sono state pubblicate nei numeri<br />
16, 17, 19 e 22 del 2009 e nel n. 1 di quest’anno<br />
CDI: Codice Diplomatico Istriano (in 5 volumi), di Pietro Kandler,<br />
Trieste 1847-1849.<br />
Ljubić 1868: Šime Ljubić, Monumenta spectantia historiam<br />
Slavorum meridionalium, vol. I, Zagabria 1868.<br />
Ljubić 1874: Šime Ljubić, Monumenta spectantia historiam<br />
Slavorum meridionalium, vol. IV, Zagabria 1874.<br />
Ljubić 1875: Šime Ljubić, Monumenta spectantia historiam<br />
Slavorum meridionalium, vol. V, Zagabria 1875.<br />
Perselli 1993: Guerrino Perselli, I censimenti della popolazione<br />
dell’Istria, con Fiume e Trieste, e di alcune città della Dalmazia<br />
tra il 1850 e il 1936, Trieste-Rovigno 1993.<br />
Rapelli 2007: Giovanni Rapelli, I cognomi del territorio veronese,<br />
Caselle di Sommacampagna (Verona) 2007.<br />
Verona 2001: Storia di Verona: caratteri, aspetti, momenti, di<br />
vari autori, Vicenza 2001<br />
<strong>Panorama</strong> 41
Bambini violenti che maltrattano<br />
i compagni sin dalle elementare<br />
inferiori, adolescenti che umiliano<br />
altri adolescenti (con i compagni che<br />
filmano tutto con il telefonino) già dalle<br />
elementari superiori, branchi di bulletti<br />
che si “calano” in centro per rubare nei<br />
supermercati alle medie, ragazzine e ragazzini<br />
di 15 anni che usano i gabinetti<br />
delle scuole per far quelle cose (magari<br />
facendosi “pagare” con una ricarica<br />
del cellulare) che i loro genitori (se lo<br />
fanno ancora) sono usi a praticare nella<br />
stanza da letto, giovinette di 17 anni che<br />
si mettono davanti alla telecamera del<br />
computer e vendono la loro nudità via<br />
internet, teen-agers che risolvono i problemi<br />
con coltelli e persino pistole, brutalità<br />
inaudite e addirittura omicidi tra<br />
minorenni. E poi la droga. La tremenda<br />
guida veloce, spesso in stato etilico.<br />
E quello smisurato desiderio di protagonismo<br />
che a quell’età troppo spesso fa<br />
rima con arroganza.<br />
Sono troppi i fenomeni di devianza<br />
comportamentale tra i giovani e i giovanissimi.<br />
Forse oggi se ne scrive più di<br />
venti o trent’anni fa, ma anche a tatto si<br />
avverte l’impressione che i sentieri solcati<br />
dai giovani di oggi sono marchiati<br />
da sangue, ingiurie ed offese molto più<br />
che in passato. Le pagine dei giornali ne<br />
sono traboccanti quotidianamente, con<br />
cronache di vandalismo e sadismo che a<br />
volte è difficile persino immaginare. E i<br />
genitori che hanno figli di quell’età devono<br />
convivere con la consapevolezza<br />
che magari un’uscita al cinema, in discoteca<br />
o in pizzeria troppo spesso può sfociare<br />
in una scazzottata, quando non in<br />
una pugnalata o in uno stupro. E quando<br />
ti rubano il telefonino e 10 euro (o 100<br />
kune) vuol dire che ti è andata bene.<br />
È di questo gravissimo fenomeno<br />
che si è occupata Giuliana Vitassovich,<br />
nata a Pola ma residente a Vicenza, nel<br />
suo saggio “Forme di trasgressione adolescenziali<br />
attuali: cause e rimedi” pubblicato<br />
sul sito Internet www.crimine.<br />
net. Giuliana studia a Padova Scienze<br />
criminologiche ed investigative e collabora<br />
con un istituto investigativo: in tv<br />
guarda i reality show “a livello sociologico,<br />
a parer mio hanno il loro perché.<br />
Sono rappresentazioni catastrofiche<br />
della società odierna”. Ed ha ragione.<br />
Il suo intervento sulla trasgressione<br />
adolescenziale parte dalla constatazione<br />
58 <strong>Panorama</strong><br />
JKL Il canto del disincanto<br />
Vitelloni violenti<br />
che nell’l’adolescenza “la trasformazione<br />
mentale avviene intorno ai 12 anni<br />
quando cambiano i rapporti fra pensiero<br />
ed emozioni attraverso una serie di adattamenti<br />
graduali nel tempo. È un momento<br />
di stravolgimento psichico che è<br />
indispensabile per raggiungere un nuovo<br />
equilibrio. Sarà la crisi che precede<br />
il progresso”. Ma con il progresso, iniziano<br />
i problemi, cioè la “crisi” nel suo<br />
signifcato di “cambiamento”. “A questo<br />
punto il bambino” scrive Giuliana Vitassovich,<br />
“vorrà sperimentare e realizzare<br />
le proprie fantasie. Le barriere, le imposizioni<br />
che prima accettava ora diventano<br />
ostacoli da superare perché già fantastica<br />
su ciò che vi può essere al di là. A<br />
volte l’adolescente crea un mondo tutto<br />
suo, elaborato dal suo pensiero, un mondo<br />
egocentrico che egli vuole imporre<br />
agli altri”. Il fatto è che “il crearsi un’illusione<br />
di un mondo corrispondente alle<br />
proprie idee può provocare una perdita<br />
di un corretto giudizio di realtà. Spesso<br />
l’adolescente non si adegua alla realtà<br />
ma al contrario prova a cambiarla. Spesso<br />
si convince di essere già al pari degli<br />
adulti o superiore ad essi e cerca in tutti<br />
i modi di dimostrare questa sua unicità<br />
attraverso il fervente perseguimento di<br />
ideali di qualsiasi tipo: politici, mistici,<br />
musicali ma anche criminali. Coloro che<br />
incappano nell’insuccesso in questo tentativo<br />
di imporsi, spesso sono vittime di<br />
depressioni e disagi”.<br />
Quali sono le cause del disagio?<br />
L’autrice le individua in fattori socioambientali<br />
(la precarietà economica, la<br />
disoccupazione, le condizioni abitative<br />
suburbane, spazi fatiscenti, luoghi di aggregazione<br />
spogli determinano un contesto<br />
socio-familiare carico d’ansia e di<br />
preoccupazione con frequenti dinamiche<br />
aggressive), in fattori psicologici e<br />
relazionali (il passaggio dall’infanzia<br />
all’età adulta esprime sempre una sofferenza<br />
psichica come risultato di una lotta<br />
tra il desiderio di andare avanti e quello<br />
di restare bambino) e in fattori educativo-affettivi<br />
(la solitudine, la frequente<br />
conflittualità generazionale). “Da questi<br />
fattori”, scrive la Vitassovich, “spesso in<br />
relazione fra loro, si determinano comportamenti<br />
a rischio” e individua ben 15<br />
forme di trasgressione, alcune delle quali<br />
sfociano in patologie vere e proprie: si<br />
va dal disadattamento generico al teppismo,<br />
al furto e al vandalismo, dalla violenza<br />
(qui, con il bullismo, entra prepotentemente<br />
in gioco il linguaggio del<br />
corpo) al tentato suicidio, dall’asociali-<br />
di Silvio Forza<br />
tà e depressione al linguaggio scurrile,<br />
dall’anoressia e bulimia alla droga (alcolismo<br />
e altre dipendenze), dalla propensione<br />
al rischio alla fobia della scuola.<br />
E poi ancora la fuga da casa, l’ansia<br />
e il delirio (crisi di rifiuto della realtà).<br />
Dunque siamo davanti ad un cattivo rapporto<br />
con se stessi, con i coetanei, con<br />
gli insegnanti, con i genitori e in genere<br />
con gli altri. E siccome “gli adolescenti<br />
non sono in grado di prevedere le conseguenze<br />
dei propri atti e di capire gli effetti<br />
emotivi e psicologici delle proprie gesta<br />
sulle altre persone” ecco allora che il<br />
disadattamento può sfociare in deliquenza<br />
e crimine.<br />
Quali i rimedi? “Le strategie preventive”<br />
, scrive Giuliana, “possono essere<br />
attuate nei contesti inerenti la realtà<br />
fattuale in cui l’individuo vive, tipo<br />
la scuola, in cui si dovrebbero portare<br />
avanti dei progetti in cui si devono addestrare<br />
i giovani a resistere alle pressioni<br />
del gruppo dei pari, immunizzarli contro<br />
i messaggi dei mass media, informare le<br />
famiglie sul fenomeno (...), rafforzare<br />
l’immagine del ragazzo e dare maggiori<br />
informazioni sugli effetti dannosi delle<br />
sostanze stupefacienti”, per giungere<br />
a ciò che il criminologo americano Travis<br />
Hirschi ha chiamato “controllo sociale”.<br />
Nella sua Teoria Hirschi ha osservato<br />
che “più che chiederci quali siano<br />
i fattori che determinano il passaggio<br />
all’atto criminale, dovremmo interrogarci<br />
su quali siano i motivi che impediscono<br />
la commissione di atti criminali”.<br />
Giuliana Vitassovich conclude che<br />
il controllo sociale informale si esercita<br />
tramite “l’attaccamento alla famiglia ed<br />
alle figure genitoriali, l’impegno in attività<br />
convenzionali, il coinvolgimento<br />
in attività ricreative e culturali, la convinzione<br />
della naturalità delle istituzioni<br />
del controllo”. Fatto salvo il fatto che la<br />
prevenzione, ma anche “la salvezza per<br />
qualsiasi devianza deve giungere dalla<br />
famiglia”. E, ovviamente, dalla scuola:<br />
il compito degli educatori deve essere<br />
quello di aiutare i ragazzi “a congiungere<br />
l’illusione e la ragione (il cuore e<br />
la mente) perché si possano formare la<br />
personalità, la dignità e la vitalità” e perché<br />
essi possano “adattare i loro valori<br />
astratti alle esigenze della società in<br />
cui vivono sviluppando l’attitudine alla<br />
cooperazione e alla solidarietà. In questo<br />
modo essi entrano in possesso di una<br />
propria personalità, cioè di un adeguato<br />
inserimento nella collettività umana”.<br />
C’è da pensarci su. E parecchio.●
Duino: storia, suggestione, arte<br />
Un magico intreccio di storia, arte e<br />
mondanità è a disposizione dei visitatori<br />
con un’impareggiabile visione<br />
sul Golfo di Trieste. Parliamo del Castello<br />
di Duino, il cui percorso turistico<br />
comprende la visita alla splendida dimora<br />
storica dei Principi della Torre e Tasso<br />
(Thurn und Taxis), il grande parco a<br />
picco sul mare e il bunker della seconda<br />
guerra mondiale trasformato in un piccolo<br />
museo scavato nella roccia. La riapertura<br />
giornaliera del Castello (tranne<br />
il martedì, giorno di riposo) dopo la pausa<br />
invernale, ha coinciso con l’inaugurazione<br />
di una prestigiosa mostra di strumenti<br />
musicali antichi ed è caratterizzata<br />
da una importante novità: per la prima<br />
volta i turisti possono raggiungere e<br />
visitare anche i ruderi del Castello Vecchio,<br />
che si ergono sugli scogli a livello<br />
del mare (sorto nel primo secolo del<br />
primo millennio sui resti di un tempio<br />
druidico dedicato al Dio Sole è legato<br />
ad un breve soggiorno di Dante Alighieri<br />
e alla leggenda della “Dama Bianca”).<br />
Al castello è tornata, dopo cinque anni,<br />
la Mostra di strumenti musicali storici<br />
al servizio di una tradizione vivente<br />
della prestigiosa collezione Orpheon di<br />
strumenti musicali antichi del professor<br />
José Vázquez dell’Università di Musica<br />
di Vienna. L’accesso avviene per gruppi,<br />
su prenotazione e in orari prestabiliti:<br />
il biglietto d’ingresso intero costa 7<br />
euro ma sono previsti sconti per i gruppi,<br />
bambini e over 65.<br />
<strong>Panorama</strong> 59