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20 <strong>Panorama</strong><br />

Cinema e dintorni<br />

The hurt locker, di Kathryn Bigelow, si è guadagnato due Oscar sbaragliando A<br />

Guerra, aborrita ma anche tanto<br />

di Gianfranco Sodomaco<br />

È<br />

uscito in questi giorni, per Mondadori,<br />

l’ultimo libro dell’economista-sociologofuturologo<br />

americano Jeremy Rifkin: “La civiltà<br />

dell’empatia”. Seguiamo e conosciamo<br />

da tempo le sue idee sul mondo<br />

globale, sulla “biosfera” come la chiama<br />

lui. Con l’esplosione della “società<br />

informatica” ha incominciato ad immaginare<br />

“La fine del lavoro” (2005),<br />

con il diffondersi delle energie alternative<br />

la nascita di una “Economia<br />

all’idrogeno” (2003) e via di questo<br />

passo. Insomma il Nostro, in soldoni,<br />

pensa che se fossimo un po’ più furbi<br />

e utilizzassimo tutte le potenzialità che<br />

la scienza e la tecnologia oggi ci offrono<br />

potremmo costruire la famosa “società<br />

migliore”. Siccome non è affatto<br />

uno stupido e sa bene che poi, in definitiva,<br />

tutto dipende dalla volontà degli<br />

individui, dei gruppi sociali, degli<br />

Stati, ecc., ecco che ti viene fuori con<br />

questa “civiltà dell’empatia”, cioè con<br />

l’affermazione, detto sempre alla buona,<br />

che l’uomo è sostanzialmente un<br />

“animale sociale” (Aristotele), che è<br />

l’unico animale che muore se non è accudito<br />

e curato, ecc. ecc., e che dunque,<br />

nell’epoca di Internet che sta mettendo<br />

in comunicazione ormai tutto il mondo,<br />

ci sono le condizioni per costruire<br />

una Terza Rivoluzione Industriale, una<br />

società generale fondata sulla condivisione<br />

e sulla cooperazione. E aggiunge<br />

(perché non è un ottimista ingenuo):<br />

“O sarà così oppure, viste le crescenti<br />

crisi energetiche, agricole, politiche,<br />

ambientali, ecc., andremo incontro ad<br />

Il titolo in italiano significa “La cassetta del dolore“, ed è un contentitore nel quale<br />

vengono raccolti gli effetti personali dei soldati americani morti in guerra<br />

una implosione/entropia del globo terracqueo”.<br />

Interessante ma... ma la domanda<br />

è: a cosa son dovute le varie<br />

crisi che caratterizzano il nostro tempo<br />

e che lo mantengono così instabile<br />

e pericoloso? Non sarà, per caso, che<br />

l’uomo non è poi così empatico (socievole)<br />

come il nostro Jeremy crede?<br />

Ovviamente sì!, e con l’aiuto dei<br />

nostri maestri, il giornalista Eugenio<br />

Scalfari e lo psicanalista/filosofo Umberto<br />

Galimberti che sul tema hanno<br />

discusso a distanza sulle pagine de<br />

‘L’espresso’ (4 e 11 marzo), entreremo<br />

nel dettaglio: dopodiché andremo<br />

a vedere The hurt locker, il film che<br />

c’entra e come con questo discorso,<br />

ha vinto l’Oscar in tutti i sensi (miglior<br />

film e miglior regia) e ha sbaragliato<br />

il favoritissimo “Avatar” (ma<br />

noi, se il lettore ce lo concede, indirettamente<br />

l’avevamo previsto...). Scalfari,<br />

4 marzo, è convinto che “la socialità<br />

dell’uomo è una pulsione primaria,<br />

cioè tende ad esaltare la pulsione<br />

‘amorosa’ primaria inconscia<br />

(che convive con quella ‘distruttiva’)<br />

verso gli altri, l’Es di cui aveva par-<br />

lato Freud”; non solo, contrariamente<br />

a Freud, ritiene che essa sia anche<br />

una propensione razionale del nostro<br />

Io, cioè della nostra personalità morale<br />

conscia. Galimberti, 11 marzo, risponde,<br />

proprio commentando il libro<br />

di Rifkin, che sì, che “la socievolezza<br />

umana appartiene alla sua natura biologica<br />

ma che l’empatia funziona, si<br />

radica, solo se c’è fiducia” e aggiunge<br />

che “oggi, nell’epoca della tecnica, la<br />

società non ci chiede, sinteticamente,<br />

una moralità sociale quanto, invece,<br />

una ‘efficienza’ di tipo individualistico,<br />

dunque in definitiva una efficienza<br />

competitiva e conflittuale”.<br />

Non solo, ecco il punto, che il<br />

Freud maturo si spostò, drammaticamente,<br />

sul dualismo fondamentale<br />

Eros-Thanatos, pulsione di vita-pulsione<br />

di morte (pulsione di morte contro<br />

noi stessi e, per evitarla, spostata<br />

contro gli altri). Da qui, aggiungo io,<br />

completamente d’accordo con il “vecchio”<br />

Freud, situazione sociale e personale<br />

sempre instabile, problematica,<br />

difficile, pensando alla perennità delle<br />

guerre, delle infinite e multiformi vio-

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