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Panorama - Edit

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ascoltava l’assordante rotolare dei motori, gli scoppi delle motociclette<br />

sulla strada, la musica a tutto volume dei vicini screanzati,<br />

teneva un libro aperto in mano e non riusciva a leggere<br />

una sola parola, sfinito rimaneva lì, a braccia e gambe spalancate<br />

come un sacco vuoto senza neanche poter connettere.<br />

Davvero tanti giorni di noia, di accidia, di completa solitudine,<br />

raramente a finestre spalancate per poter catturare - almeno<br />

quelli - i pochi fili di vento e le illusioni di frescure serali e<br />

se qualche volta nel radersi la barba si guardava allo specchio<br />

avrebbe voluto essere un altro per dimenticare quel livore che<br />

sentiva e vedeva dentro di sé.<br />

Usciva di sabato, solo di sabato mattina per la spesa. Se incontrava<br />

qualcuno sulle scale salutava, ma nessuno gli rispondeva.<br />

Allora imparò ad imboccarle e scenderle senza reggersi<br />

al corrimano, lentamente, a testa alta, pallido, fiero, teso, magari<br />

guardando in viso la gente ma mostrando con evidenza<br />

che non vedeva nessuno, che il suo sguardo era perso altrove.<br />

Nel negozio più vicino andava a comperare pane, formaggio,<br />

mortadella, salsiccia da lasciar sfrigolare per ore nel fornetto<br />

che a suo tempo la Dora aveva preteso e che era già pieno di<br />

unto e di grasso mentre la puzza si diffondeva attorno, fino giù<br />

per le scale. Dopo un lungo tempo di quelle salsicce, di quella<br />

mortadella, di quel riso scondito, di quella pasta mezzo cruda,<br />

anche di vomiti e di diarree, un medico vicino di casa, una<br />

giovane pietosa dai grandi occhi tristi, incontrandolo per caso<br />

sul portone lo aveva fermato, gli aveva detto che era diventato<br />

uno straccio, che sembrava un barbone deperito, emaciato, che<br />

sì, sicuramente non aveva malattie, ma soltanto paura, paura di<br />

uscire da quella sua prigione. Gli disse ancora che aveva bisogno<br />

di una vacanza, di una lunga vacanza. Perciò doveva uscire<br />

più spesso, muoversi da quella sua apatia, incontrare qualche<br />

amico, recarsi fuori della città, immergersi nella natura, respirare<br />

aria buona, parlare con la gente, mangiare decentemente,<br />

scherzare talvolta, anche bere qualche bicchiere di vino.<br />

Fu appunto dopo quell’incontro che una notte, dopo essersi<br />

rivoltato a lungo nel letto, finalmente decise: doveva andare<br />

nella vecchia casa dei nonni nella stanzia di Midian, il villaggetto<br />

sperduto in quell’Istria che non aveva mai dimenticato,<br />

che era continuamente nei suoi sogni, la chiave ruggine<br />

conservata come una reliquia nel borsello che il padre alla sua<br />

morte gli aveva lasciato assieme al suo vecchio orologio. Si<br />

disse: certo, sarò solo anche lì, ma libero finalmente. Se la gente<br />

del posto mi cucirà addosso una figura, non potrà essere che<br />

di straniero il quale arriva per chiedere la carità di una piccola<br />

attenzione, di un saluto, di una parola buona, ma comunque<br />

sarò un uomo tra gli uomini.<br />

Ad un tratto, mentre steso sul sedile dell’autobus se ne stava<br />

con gli occhi socchiusi, gli parve di sentire il ronzio di un<br />

calabrone, poi il cinguettio degli uccelli, il verso del cuculo, il<br />

frinire di cicale, lo sbattere del picchio, di vedere lo snodarsi<br />

del viottolo che portava alla stanzia e, una volta arrivato sotto<br />

il grande gelso che sorgeva all’inizio dell’abitato, di sentire<br />

le voci acute delle donne che dalle finestre chiamavano i figli,<br />

anche il belare delle pecore, il ragliare degli asini, i muggiti<br />

delle vacche e dei manzi. Pure le bestemmie degli uomini. E<br />

fu così che su quell’autobus che filava veloce, dopo tante notti<br />

disperatamente insonni, s’addormentò. Un sonno profondo il<br />

suo, mentre la grande città spariva pian piano alle spalle, tutti<br />

i quartieri moderni, le enormi muraglie degli insulsi dormitori<br />

come il suo sparivano, si perdevano nel magico, fantastico verde<br />

della periferia dapprima e poi della campagna.<br />

Letture<br />

Dormì a lungo. Si svegliò e si riaddormentò più volte finché,<br />

dopo parecchie ore, uno scossone lo destò definitivamente.<br />

Allora strabuzzando gli occhi pulì gli occhiali con l’orlo<br />

della camicia, se li si sistemò sul naso, con la mente ancora annebbiata<br />

seguì per qualche tempo oltre il finestrino l’alternarsi<br />

dei dossi, delle dolinette, dei boschi di querce già di colore<br />

ruggine, dei campi, dei vigneti, degli oliveti, dell’intrico verdastro<br />

della macchia e quello grigiastro delle masere, infinito<br />

labirinto di muretti a secco.<br />

Dunque era arrivato in Istria e quando ad una svolta gli parve<br />

di conoscere i posti e che fosse giunto il momento di scendere,<br />

si decise: si alzò, si pose il suo voluminoso zaino sulle<br />

spalle, agguantò con una mano il borsone, si avvicinò timoroso<br />

all’autista dell’autobus, lo pregò gentilmente e quello quasi subito,<br />

un po’ brontolando, fermò l’automezzo ormai pressoché<br />

vuoto su una piazzola che s’allargava accanto alla strada. Così<br />

egli, per la verità un po’ a fatica, poté scendere prima ancora<br />

di arrivare a Dignano, proprio a due passi dal bivio per Gajan;<br />

alzò una mano in segno di saluto - hvala, grazie sior sofer, so<br />

ben che qua no’ xe stazion, hvala lijepa dovidjenja - scrollò un<br />

po’ le spalle per aggiustarsi il pesante carico e quindi, soprappensiero<br />

ma sollevato, soddisfatto, respirando a pieni polmoni<br />

s’avviò lentamente per il viottolo che si defilava tra due grosse<br />

masere, viottolo pietroso che avrebbe dovuto portarlo, non ne<br />

era molto sicuro comunque perché gli parve un po’ troppo curato,<br />

allargato, a quella stanzia Midian dove appunto sorgeva<br />

anche la vecchia casa della sua famiglia.<br />

Quei due poderosi muri a secco che si perdevano avanti,<br />

erano quasi soffocati da ammassi di sterpi, da rovi spinosi, da<br />

fitti ginepri, da ginestre, da biancospini carichi di bacche olivastre.<br />

In alto planavano i corvi neri e sotto, tra il fogliame marcio,<br />

qualche merlo zampettava, raspava indaffarato in cerca di<br />

chissà quali delizie. Anche se non era tornato da tanto da quelle<br />

parti, come avanzava gli parve di riconoscere ogni tratto del<br />

viottolo che s’inoltrava tra i troppi vedorni, i maggesi trascurati,<br />

tra oliveti abbandonati, tra qualche vigneto con i filari di viti<br />

dai tralci coperti da foglie rossastre, tra campetti di erba spagna<br />

ormai secca, tra grumassi di pietrame con, in un canto, qualche<br />

decrepita casita col tetto mezzo sfondato.<br />

Più avanti, ne era sicuro, il viottolo doveva infilarsi nella<br />

macchia stracolma di cespugli di cornioli e di ginepri, poi<br />

svoltare ad un bivio per Peroi prima e per Valmadorso e Santa<br />

Fosca dopo, quindi allungarsi dritto per un lungo tratto fino<br />

alla vecchia chiesa mezzo diroccata di San Tomà di Gusan per<br />

raggiungere il grosso gelso col tronco da un lato rivestito di<br />

muschio e quindi le poche case tutte affacciate in fila. Finiva<br />

quel viottolo in un altro più stretto e lungo che portava verso le<br />

rovine del castelliere di Mandriol dove quand’era ragazzo, durante<br />

le lunghe vacanze dell’estate, andava con gli amici Gigi<br />

e Ninetto a scovare i ramarri ma anche gli spiriti che - a detta<br />

delle comari chiacchierone sedute di sera sugli scagni davanti<br />

l’uscio di casa a prendere il fresco - nelle giornate di bora sospiravano,<br />

gemevano disperati, poveracci, forse anche perché<br />

ormai da secoli erano ridotti senza un tetto sulla testa.<br />

Su tutto quell’indimenticabile panorama - che Marco<br />

con grande nostalgia e anche con commozione ritrovò<br />

intatto - in quella stagione sovrastava un verde succhiato<br />

da una estrema umidità, un verde già polveroso, secco,<br />

grigio come l’erba del viottolo che lentamente lo accompagnava,<br />

avanti e avanti. E lui faceva un po’ di fatica a<br />

procedere, perché era cosparso di pietre, pietre frantuma-<br />

<strong>Panorama</strong> 35

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