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premoderna (28), nel tes<strong>to</strong> lirico moderno l‟io che par<strong>la</strong> designa il suo contes<strong>to</strong> di locuzione e <strong>in</strong>dica<br />

ciò che lo circonda (29), come se un let<strong>to</strong>re, a presc<strong>in</strong>dere dal<strong>la</strong> presenza di un eventuale «tu»<br />

testuale, abbia familiarità con quello stesso contes<strong>to</strong> e vedesse quello che egli vede: «Il discorso<br />

svol<strong>to</strong>, <strong>in</strong>somma, è un discorso che suppone (o f<strong>in</strong>ge) <strong>la</strong> presenza fisica del dest<strong>in</strong>atario, il quale si<br />

trova <strong>in</strong>vece, secondo ogni evidenza, a distanza» (30). Rimando naturalmente al corposo studio di<br />

Bernardelli per <strong>la</strong> valutazione del<strong>la</strong> tenuta di questa tesi quando si tenti, per esempio, di chiarire <strong>la</strong><br />

differenza tra <strong>la</strong> specificità discorsiva del tes<strong>to</strong> lirico e quel<strong>la</strong> di un tes<strong>to</strong> narrativo con un narra<strong>to</strong>re<br />

au<strong>to</strong>diegetico (il tes<strong>to</strong> narrativo, a differenza di quello lirico, sarebbe «chiuso <strong>in</strong> sé», perché nel<br />

momen<strong>to</strong> del<strong>la</strong> fruizione non richiederebbe «altre determ<strong>in</strong>azioni che quelle puramente l<strong>in</strong>guistiche,<br />

che vengono offerte dal tessu<strong>to</strong> verbale <strong>in</strong>terno al tes<strong>to</strong> stesso» (31)). Restiamo <strong>in</strong>vece al<strong>la</strong> natura<br />

pragmatica del discorso aper<strong>to</strong> e <strong>in</strong> presenza del tes<strong>to</strong> lirico, e assumiamo<strong>la</strong> per buona.<br />

7. A chi si rivolge uno che scrive lirica, oggi? A qualcuno, si spera sempre. Non, verosimilmente, a<br />

un pubblico reale, oggi che il pubblico non è che una funzione del sistema, non possedendo più<br />

alcuna au<strong>to</strong>nomia reale di scelta ed essendo p<strong>la</strong>sma<strong>to</strong> da quello che Charles Wright Mills<br />

<strong>in</strong>dividuava come il terzo modello di produzione culturale, posteriore a quello liberistico: un<br />

modello capitalistico a vocazione dirigistica, cioè, che <strong>in</strong>sieme ai beni culturali produce anche il<br />

loro merca<strong>to</strong> e i loro consuma<strong>to</strong>ri. Adorno, nel<strong>la</strong> sua sociologia del<strong>la</strong> musica, aveva perfettamente<br />

col<strong>to</strong> <strong>la</strong> capacità dell‟<strong>in</strong>dustria culturale di erigere «a giudici le sue vittime» (32) e di creare il gus<strong>to</strong><br />

e le abitud<strong>in</strong>i dei consuma<strong>to</strong>ri, <strong>la</strong>sciando loro <strong>la</strong> preziosa illusione di essere liberi, unici, padroni dei<br />

loro valori, delle loro scelte, delle loro decisioni: era il fenomeno, quan<strong>to</strong> mai attivo, del<strong>la</strong><br />

«pseudo<strong>in</strong>dividualizzazione», che consisteva nell‟alimentare l‟illusione dell‟<strong>in</strong>dividualismo e<br />

dell‟<strong>in</strong>dipendenza offrendo preventivamente, come si dice, “una varietà per tutti i gusti” (33).<br />

Non si scrive dunque per ques<strong>to</strong> presente. Eppure si scrive sempre per qualcuno, forse davvero per<br />

quel «popolo che manca» di cui ha par<strong>la</strong><strong>to</strong> Deleuze (34), e che però un giorno «dovrà essere e dovrà<br />

garantire il dover essere» (35). Ma come fare, dall‟<strong>in</strong>terno del genere che <strong>in</strong>carna per an<strong>to</strong>nomasia<br />

quel<strong>la</strong> che Cris<strong>to</strong>pher Lasch ha chiama<strong>to</strong> La cultura del narcisismo (36), il cui primo<br />

comandamen<strong>to</strong> consiste nell‟esprimere se stessi, dove «esprimere se stessi non significa [...]<br />

raggiungere <strong>la</strong> piena au<strong>to</strong>nomia dalle attese altrui, ma vedersi riconosciu<strong>to</strong> un dirit<strong>to</strong> che il poeta<br />

premoderno non conosceva: il dirit<strong>to</strong> all‟<strong>in</strong>appartenenza» (37)? Com‟è possibile fare spazio a<br />

quell‟istanza sovrapersonale, a quel<strong>la</strong> «vita più che personale» di cui par<strong>la</strong> ancora Deleuze,<br />

aderendo a un genere che <strong>in</strong>vece pressuppone l‟<strong>in</strong>terruzione del<strong>la</strong> catena cronologica e di quel<strong>la</strong><br />

s<strong>to</strong>rico-sociale e che «comunica, a un primo livello, l‟idea che <strong>la</strong> società sia un <strong>in</strong>sieme di monadi<br />

separate e immerse <strong>in</strong> flusso di esperienza discont<strong>in</strong>uo» (38)?<br />

La risposta, mi pare, passa per <strong>la</strong> consapevolezza non aggirabile che questa idea, <strong>in</strong> realtà, è un<br />

c<strong>la</strong>moroso abbaglio, perché – ancora con Mazzoni – «l‟analisi del terri<strong>to</strong>rio poetico moderno ci<br />

mostra come questi <strong>in</strong>dividui iso<strong>la</strong>ti che esprimono se stessi siano <strong>in</strong> realtà preceduti, par<strong>la</strong>ti e<br />

def<strong>in</strong>iti dai sistemi di cui consapevolmente o <strong>in</strong>consapevolmente fanno parte» (39). Naturalmente i<br />

sistemi agiscono sulle «monadi» non solo all‟<strong>in</strong>terno del terriorio letterario, ma anche nel più vas<strong>to</strong><br />

campo pratico-politico, o ideologico. S<strong>la</strong>voj Ţiţek, per esempio, ci va ricordando <strong>in</strong> questi anni che<br />

<strong>la</strong> critica dell‟economia politica di Marx aveva dimostra<strong>to</strong> come il capitale generi una spettralità<br />

tutta sua, dando vita a una violenza <strong>in</strong>visibile (40) e anonima che apparentemente nessuno<br />

commette, e che <strong>la</strong>scia agli <strong>in</strong>dividui l‟illusione del<strong>la</strong> libertà, e spesso pure del dissenso:<br />

il dest<strong>in</strong>o d‟<strong>in</strong>teri strati del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione, a volte di Paesi <strong>in</strong>teri, può essere deciso dal<strong>la</strong> danza<br />

specu<strong>la</strong>tiva «solipsitica» del capitale, che <strong>in</strong>segue il suo obiettivo di profit<strong>to</strong> con beata<br />

<strong>in</strong>differenza rispet<strong>to</strong> a come ques<strong>to</strong> movimen<strong>to</strong> <strong>in</strong>ciderà sul<strong>la</strong> realtà sociale. Questa è <strong>la</strong><br />

fondamentale violenza sistemica del capitalismo, che è mol<strong>to</strong> più misteriosa del<strong>la</strong> diretta<br />

violenza socio-ideologica pre-capitalista: questa violenza non è più attribuibile a <strong>in</strong>dividui <strong>in</strong><br />

carne e ossa e alle loro «cattive» <strong>in</strong>tenzioni; è puramente «oggettiva», sistemica, anonima. (41)<br />

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