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liriche, ma non ci si può arrestare ad una constatazione semplicemente “negativa”. Constatazione<br />

che <strong>in</strong>vece Agamben sembra far sua, quando scrive che:<br />

“le <strong>la</strong>bili epifanie al<strong>la</strong> cui evocazione il poeta moderno affida il proprio mestiere e <strong>la</strong> propria<br />

salvezza, sono così (…) scongiurazione di un Inafferrabile (…) che si dissolve nell‟istante<br />

stesso <strong>in</strong> cui si mostra, nel<strong>la</strong> disperata coscienza che l‟epifania poetica non ha <strong>in</strong> ultimo altro<br />

contenu<strong>to</strong> all‟<strong>in</strong>fuori di se stessa e del proprio <strong>in</strong>evitabile naufragio.” (21)<br />

Per Agamben, <strong>qui</strong>ndi, <strong>la</strong> poesia moderna si riduce ad una sorta di esperienza mistica amputata del<strong>la</strong><br />

sua corre<strong>la</strong>tiva e fondamentale teologia positiva. Di cer<strong>to</strong>, per lungo tempo, l‟ombra di questa<br />

teologia assente ha gioca<strong>to</strong> un ruolo importante, <strong>in</strong> negativo, nell‟organizzazione del paradigma<br />

lirico. In quest‟ottica, <strong>la</strong> scrittura poetica consiste nel<strong>la</strong> raccolta delle tracce del div<strong>in</strong>o, ossia di tut<strong>to</strong><br />

quan<strong>to</strong>, nell‟esperienza profana, si presta a suggerire un altrove di senso, di verità, di essere, che<br />

non è mai def<strong>in</strong>itivamente avvic<strong>in</strong>abile per via dottr<strong>in</strong>aria e religiosa. (La paro<strong>la</strong> poetica<br />

sopraggiunge dopo, quando i riti collettivi sono est<strong>in</strong>ti, e così il coro e <strong>la</strong> preghiera sprofondano nel<br />

silenzio. Essa è dest<strong>in</strong>ata <strong>qui</strong>ndi, almeno <strong>in</strong> un primo momen<strong>to</strong>, a constatare l‟assenza degli dei, ma<br />

rimanendo rivolta ad essi e att<strong>in</strong>gendo <strong>la</strong> propria consistenza sonora dal loro silenzio. L‟epifania<br />

lirica è dunque una teofania <strong>in</strong>ficiata da un effet<strong>to</strong> di def<strong>in</strong>itivo e irrimediabile ritardo.)<br />

Eppure <strong>la</strong> posizione di un Ponge mostra <strong>la</strong> possibilità di una configurazione <strong>in</strong>edita di ques<strong>to</strong><br />

medesimo paradigma. Piut<strong>to</strong>s<strong>to</strong> che “ripercorre a ritroso” il processo di dis<strong>in</strong>cantamen<strong>to</strong> del mondo,<br />

costituendo una sfera privilegiata – <strong>la</strong> poesia „lirica‟ – attraverso il recupero “estetico” di elementi<br />

sempre più avulsi e frammentari che provengono da un‟ormai remota esperienza del sacro, <strong>la</strong> poesia<br />

può riconoscere, <strong>in</strong> assenza di teologie di riferimen<strong>to</strong>, e <strong>qui</strong>ndi <strong>in</strong> assenza di fedi e credenze<br />

religiose, una forma <strong>in</strong>elim<strong>in</strong>abile di sacro. E lo può fare <strong>in</strong> una prospettiva pienamente atea e<br />

materialista. Sacro, <strong>in</strong> ques<strong>to</strong> senso, è semplicemente l‟esistente, tut<strong>to</strong> ciò che esiste, presentandosi<br />

nell‟evidenza di cui par<strong>la</strong> Ponge. Ma è l‟esistente vis<strong>to</strong> sot<strong>to</strong> il profilo del<strong>la</strong> sua anteriorità non solo<br />

al<strong>la</strong> coscienza <strong>in</strong>dividuale, ma al<strong>la</strong> mente umana e al<strong>la</strong> sua rete di significati s<strong>to</strong>rici. Non è più<br />

necessario al poeta ricondurre questa esperienza ad un sistema mitico-rituale di carattere religioso,<br />

come accadeva nelle civiltà pre-moderne. Neppure deve egli eternamente vivere nel<strong>la</strong> nostalgia di<br />

tali sistemi. Che egli sia credente o meno, l‟esperienza dell‟anteriorità del mondo è cer<strong>to</strong><br />

imparentata con le antiche esperienze del sacro. Solo che a differenza di queste, essa non è<br />

riconducibile a forme di codificazione religiosa. (Neppure può essere riassorbita, però, dalle<br />

codificazioni di tipo scientifico, che implicano mediazioni ben più complesse di quelle offerte dal<strong>la</strong><br />

dottr<strong>in</strong>e teologiche.) E ciò non è il semplice s<strong>in</strong><strong>to</strong>mo di un‟assenza del div<strong>in</strong>o, ma semmai una<br />

forma <strong>in</strong>tegralmente atea di percepire <strong>la</strong> sacralità del mondo. Qui il term<strong>in</strong>e “sacro” dovrebbe<br />

cessare di identificare l‟ambi<strong>to</strong> di manifestazione di una qualche entità sovrannaturale, più o meno<br />

antropomorfa, per def<strong>in</strong>ire tut<strong>to</strong> ciò che è percepibile come <strong>in</strong>assimi<strong>la</strong>bile al<strong>la</strong> conoscenza umana,<br />

gratui<strong>to</strong>, <strong>in</strong>fonda<strong>to</strong>, al di fuori dei giochi di significazione, tremendamente estraneo, mirabilmente<br />

evidente. Ques<strong>to</strong> “sacro”, però, per come è percepi<strong>to</strong> dal poeta, non può sfuggire alle forme di<br />

codificazione religiosa solo per essere riassorbi<strong>to</strong> poi <strong>in</strong> forme di codificazione filosofica.<br />

L‟evidenza di un filo d‟erba se non si presta più ad essere ricondotta ad un regime di senso lega<strong>to</strong> al<br />

mondo creaturale, del<strong>la</strong> creazione div<strong>in</strong>a, ecc., neppure diventa l‟anticamera dell‟essere, o di<br />

qualche differenza on<strong>to</strong>logica di marca heideggeriana. Il filo d‟erba, percepi<strong>to</strong> nel<strong>la</strong> prospettiva del<br />

sacro puramente poetico (non teologico né metafisico), f<strong>in</strong>isce con il corrispondere al<strong>la</strong> sua<br />

<strong>in</strong>giustificabile tau<strong>to</strong>logia l<strong>in</strong>guistica: “il filo d‟erba è il filo d‟erba”. La tau<strong>to</strong>logia, si ricordi <strong>la</strong><br />

lezione del Tractatus di Wittgenste<strong>in</strong>, non è un‟immag<strong>in</strong>e del<strong>la</strong> realtà, ossia «non sta <strong>in</strong> alcuna<br />

re<strong>la</strong>zione di rappresentazione con <strong>la</strong> realtà». Essendo una proposizione priva di senso, <strong>la</strong> tau<strong>to</strong>logia<br />

costituisce l‟e<strong>qui</strong>valente l<strong>in</strong>guistico di un‟esperienza dell‟estraneità radicale dell‟ogget<strong>to</strong>. In tali<br />

circostanze, <strong>in</strong>fatti, l‟ogget<strong>to</strong> non r<strong>in</strong>via né assomiglia a nul<strong>la</strong>, avendo perso di senso e di funzione.<br />

A partire da questa esperienza limite, il poeta può <strong>la</strong>vorare per fornire una sua codificazione fragile<br />

e aperta di tale anteriorità del mondo al<strong>la</strong> mente umana.<br />

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