Cacciatori di betoniere - Ljubo Ungherelli
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La bottega <strong>di</strong> generi alimentari nella quale i miei genitori mi compravano<br />
la merenda, la cartoleria, l’e<strong>di</strong>cola, la tabaccheria. Diversi sta<strong>di</strong> della mia vita<br />
sono rappresentati dalla frequentazione <strong>di</strong> questi negozi.<br />
Questa è la periferia. Persone con le quali ho con<strong>di</strong>viso un pezzetto <strong>di</strong><br />
strada, ma che ora sento lontanissime. La mia presenza in queste strade è alla<br />
stregua <strong>di</strong> uno straniero, benché abiti a poca <strong>di</strong>stanza.<br />
Sono immerso ed ignoto tra la gente, e questo mi permette d’attraversare<br />
la periferia e la gente stessa, uscire dal mio quartiere ed entrare in quello limitrofo<br />
senza avvertire il minimo cambiamento.<br />
L’odore ammaliante della pasticceria, che a metà pomeriggio sforna le<br />
sue specialità, il tramestio proveniente dalla lavanderia antistante, il ronzio delle<br />
raggiere delle biciclette, un martello pneumatico in lontananza, che presto affronterò<br />
in tutto il suo clangore, tentano <strong>di</strong> <strong>di</strong>stogliermi dall’osservazione <strong>di</strong><br />
queste persone da cui mi sento tanto <strong>di</strong>stante.<br />
Cammino, e lo scenario non varia granché. Le abitazioni hanno un aspetto<br />
piacevole, qua. Un amabile vecchio stile, con indosso tutto il peso <strong>di</strong> anni d’inquinamento<br />
e <strong>di</strong>stratti restauri, ma, a parte questo, un decoro impensabile, se<br />
paragonato a quanto offre l’altro lato della strada.<br />
Ed eccomi ancora dalla mia parte, mi è bastato schivare qualche proiettile<br />
a quattro ruote, imboccare una contrada, e già i massicci palazzi multicolore<br />
sono presenti all’appello.<br />
Qua le mie antenne possono rilassarsi. S’incontrano meno persone per<br />
strada, i rumori sono quasi ovattati, e solo rombi <strong>di</strong> motore e qualche voce gridata<br />
intervallano un generale silenzio.<br />
Una nuova serpentina fra le macchine e la vecchia porzione <strong>di</strong> periferia<br />
torna a mia <strong>di</strong>sposizione.<br />
Sto già camminando da <strong>di</strong>verso tempo, il sole è alto, le strade permangono<br />
poco trafficate, permettendomi <strong>di</strong> percorrerle senza dovermi spostare in continuazione<br />
su quelle striscioline soprelevate che da queste parti fanno le veci dei<br />
marciapie<strong>di</strong>. Sono in massima parte vie con un solo senso <strong>di</strong> marcia, parallele<br />
l’una all’altra, che spesso costringono gli automobilisti a compiere ampi tragitti<br />
per giungere a destinazione.<br />
La mia presenza aleggia in questi quartieri, legandosi ad essi, ma senza<br />
mai riuscire a fondervisi. Vedo passarmi accanto le persone, sento i suoni e i rumori<br />
che le loro attività producono, tocco le cose da loro create, ma non sono in<br />
grado <strong>di</strong> avvicinarmi ancora.<br />
E questo, non perché io sia migliore o peggiore <strong>di</strong> loro. La lontananza che<br />
provo non è dettata da un senso <strong>di</strong> superiorità, o <strong>di</strong> bruciante invi<strong>di</strong>a.<br />
Non mi muovo in mezzo a loro come un sovrano in incognito, bramoso <strong>di</strong><br />
rivelarsi ai suoi sud<strong>di</strong>ti, né come un evaso, timoroso d’essere riacciuffato da un<br />
istante all’altro.<br />
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