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Cacciatori di betoniere - Ljubo Ungherelli

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uttato giù dalla finestra, adesso non saremmo al punto <strong>di</strong> doverci vergognare<br />

<strong>di</strong> te con tutti quelli che ci conoscono. Bella figura <strong>di</strong> merda ci hai fatto fare con<br />

la storia del militare. E poi, ancora non capisco come, tutti sanno ogni cosa<br />

come si è svolta. Tutte le volte che mi capita <strong>di</strong> andare dal mesticatore, ecco che<br />

quell’imbecille s’appoggia col gomito sul bancone e, all’improvviso, me lo<br />

vedo che fa finta <strong>di</strong> stramazzare come se avesse un colpo apoplettico, se solo<br />

accadesse. Farmi prendere per il culo da uno stronzo <strong>di</strong> mesticatore, per colpa<br />

della tua pazzia furiosa.”<br />

Le sue argomentazioni erano <strong>di</strong> questo tenore, un minuzioso elenco delle<br />

nefandezze compiute da Corrado dall’infanzia fino a pochi minuti ad<strong>di</strong>etro.<br />

“Maledetto!”, lo apostrofava in continuazione il signor Casini, “un giorno<br />

pagherai per tutto quello che ci fai passare.”<br />

“Bene”, approvava il figlio, “adesso potresti pagare tu. Avrei bisogno <strong>di</strong><br />

qualche spicciolo.”<br />

“No! Mai! Basta!”, perdeva le staffe il signor Casini, mentre contemporaneamente<br />

sfilava alcune banconote dal portafoglio, gettandole in <strong>di</strong>rezione del<br />

giovane, non prima d’averci sputato sopra ed averle appallottolate con rabbia.<br />

Era questo un rito quasi catartico, per mezzo del quale il signor Casini me<strong>di</strong>ava<br />

il <strong>di</strong>sprezzo nei confronti del figlio con quello che provava verso se stesso nel<br />

mantenere sotto il suo stesso tetto quell’in<strong>di</strong>viduo ignobile.<br />

Ad<strong>di</strong>rittura, il signor Casini era giunto ad elaborare un contorto teorema<br />

riguardo al comportamento del figlio. Aveva infatti cominciato a sospettare che<br />

Corrado fosse rinsavito, ma, appurata la debolezza del genitore, persistesse in<br />

quel <strong>di</strong>segno per garantirsi un’esistenza agiata senza dover faticare per guadagnarsi<br />

da vivere. Tali pensieri contribuivano a montare nell’uomo una ferocia e<br />

un <strong>di</strong>sgusto sempre crescenti, che scaricava addosso al figlio con venefici torrenti<br />

verbali ogni volta che questi gli fornisse un pretesto anche minimo.<br />

Si poteva dunque sostenere che l’artefice maggiore dei <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong> familiari<br />

fosse in realtà il padre, al quale l’interminabile trafila <strong>di</strong> insulti, minacce e recriminazioni<br />

arrecava un notevole benessere psicologico.<br />

Tutto ciò fino a quando, quella sera, il signor Casini non aveva decretato<br />

che la misura fosse colma e si dovesse tracciare un solco dal quale non fosse<br />

possibile sconfinare.<br />

C’era stato un preambolo a inizio giornata. Corrado Casini era rincasato<br />

che i genitori facevano colazione. Sarebbe <strong>di</strong> certo andato <strong>di</strong> filato a letto, se il<br />

padre non gli avesse bloccato l’accesso alla camera, parandoglisi davanti. S’era<br />

alzato da circa un quarto d’ora, e cosa c’era <strong>di</strong> meglio per darsi la carica in vista<br />

del lavoro <strong>di</strong> una bella strigliata mattutina al figlio?<br />

“Dove cre<strong>di</strong> d’andare, puzzone? Fermo lì”, gli intimò. Corrado, infatti,<br />

stava già <strong>di</strong>rigendosi verso il <strong>di</strong>vano <strong>di</strong> sala per stendervisi e dormire.<br />

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