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Cacciatori di betoniere - Ljubo Ungherelli

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Una frequenza ra<strong>di</strong>ofonica <strong>di</strong>sturbata, una melo<strong>di</strong>a musicale sotto la quale<br />

gracchiano le parole provenienti da un altro ripetitore. Le due emissioni, a tratti,<br />

coesistono, ma l’ascolto è precario, e bisogna sintonizzare meglio l’apparecchio,<br />

affinché la stazione preferita prenda il sopravvento e l’altra cessi d’infiltrarsi<br />

molestamente.<br />

Così potrei riassumere il mio rapporto con questa gente, con la gente.<br />

È un’agenzia assicurativa a fornirmi un’immagine per esemplificare ciò<br />

che sono.<br />

Un’ampia vetrina comprende l’intero locale. Non ci sono clienti. La ragazza<br />

responsabile delle relazioni col pubblico finge d’ignorare la mia presenza,<br />

a pochi passi da lei. Giocherella con le carte che ha sulla scrivania, attendendo<br />

che mi decida ad entrare, o che prosegua nel mio cammino.<br />

Non può sapere, lei, che non ho intenzione <strong>di</strong> richiedere i servigi della sua<br />

compagnia <strong>di</strong> assicurazioni. Né mi sono fermato folgorato dal suo fascino.<br />

Ho visto altro.<br />

Il sole è ancora forte, e proietta la mia figura sulla vetrata fumé dell’agenzia.<br />

È solo in occasioni come queste che riesco a vedere il vero me stesso. Il vetro,<br />

quantunque smerigliato e agevolato dai raggi solari, mostra un’immagine<br />

dai contorni in<strong>di</strong>stinti. Sono ovviamente io, ma trasfigurato in un modo che uno<br />

specchio o una macchina fotografica non potrebbero rendere appieno. Anzi, fornirebbero<br />

<strong>di</strong> me una versione ufficiale, utile per i passaporti, o per radersi senza<br />

ferirsi il viso.<br />

L’immagine riflessa nella vetrina dell’agenzia assicurativa, in spregio ai<br />

documenti personali e alla scollatura dell’impiegata, ha catturato la totalità dei<br />

miei pensieri.<br />

Un’apparizione, certo concreta, tangibile e fisica, ma allo stesso tempo<br />

evanescente, avulsa dai meccanismi regolari della vita <strong>di</strong> tutti i giorni. Un anomalo<br />

viaggiatore, che scandaglia anfratti sempre nuovi della mente laddove i<br />

percorsi periferici raramente variano in modo consistente.<br />

Cercare <strong>di</strong> estendere il proprio perimetro senza sconfinare platealmente, è<br />

quanto tento <strong>di</strong> fare durante queste mie passeggiate. Sarà infruttuoso, vacuo,<br />

forse persino delirante, ma la mia periferia esistenziale prescinde dall’assuefazione<br />

alla periferia vera e propria, quella fatta <strong>di</strong> cemento e desolazione. È mia<br />

ferma convinzione che la prima periferia da affrontare sia quella interiore. Una<br />

volta rapportatomi nel giusto verso con essa, il suburbio sarà un luogo come un<br />

altro, e non ci sarà bisogno <strong>di</strong> consacrargli interi pomeriggi.<br />

Così ripeto a me stesso, anche adesso, che il sole si abbassa ed ho ripreso<br />

la via <strong>di</strong> casa, avendo cura <strong>di</strong> non battere sempre gli stessi itinerari. E <strong>di</strong> non<br />

soffermarmi presso altre vetrine, in cerca <strong>di</strong> quello che sono.<br />

Sulla strada del ritorno, mentre i lampioni si accendono sulla mia testa, mi<br />

de<strong>di</strong>co al fronte orientale. Costeggio i caseggiati, ma, come spesso mi accade<br />

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