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Cacciatori di betoniere - Ljubo Ungherelli

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Il ragazzino, un quattor<strong>di</strong>cenne ancora poco sviluppato, ma dall’aria sveglia,<br />

si presentò alla cattedra con in mano il quaderno del suo compagno <strong>di</strong> banco.<br />

Il maestro sospirò, ma finse <strong>di</strong> non essersi avveduto dello stratagemma e<br />

prese ad interrogarlo.<br />

“Ieri abbiamo parlato degli avvenimenti che portarono alla Prima guerra<br />

mon<strong>di</strong>ale. Dovevate preparare un brano <strong>di</strong> poche righe, partendo dalla traccia<br />

che vi avevo assegnato: ‘Il ventotto giugno 1914, a Sarajevo…’”<br />

Mirko declamò con sicurezza la composizione del suo amico, provocando,<br />

in una decina <strong>di</strong> righe, la morte dell’arciduca asburgico Francesco Fer<strong>di</strong>nando<br />

e della moglie per mano <strong>di</strong> Gavrilo Princip, le conseguenti <strong>di</strong>chiarazioni <strong>di</strong><br />

guerra incrociate <strong>di</strong> Intesa e Imperi Centrali, Russia, Turchia e Giappone e l’inevitabile<br />

scoppio delle ostilità.<br />

“Bene, Mirko, ci hai fornito un quadro abbastanza chiaro delle cause scatenanti,<br />

cosicché ci sarà più semplice, stamani, seguire lo svolgimento della<br />

guerra. Torna pure al tuo posto.”<br />

Prima <strong>di</strong> procedere con la spiegazione, esitò un momento. Avrebbe voluto<br />

interrogare anche Andrej, il magnanimo autore del brano letto da Mirko, così,<br />

giusto per concedersi un piccolo successo e non dar l’impressione d’essersi lasciato<br />

buggerare con tanta semplicità, ma alla fine desisté dal suo proposito.<br />

“Neka, neka”, gli sarebbe quasi venuto da <strong>di</strong>re, adeguandosi al taciturno<br />

<strong>di</strong>stacco della moglie. Mancava poco alla fine delle lezioni, l’esame avrebbe <strong>di</strong>plomato<br />

Mirko, Andrej e gli altri loro coetanei e magari, incontrandolo per la<br />

strada, o nella čaršija, non lo avrebbero più chiamato Učiteljević.<br />

Conclusa la lezione con la quarta classe, Branko Učiteljević si spostò nell’aula<br />

attigua, dove già lo attendevano i bambini <strong>di</strong> un<strong>di</strong>ci e do<strong>di</strong>ci anni.<br />

A <strong>di</strong>fferenza degli scolari più gran<strong>di</strong>, in questo biennio vi era una prevalenza<br />

<strong>di</strong> bambine.<br />

Non che fosse un evento stupefacente né determinante per la conduzione<br />

della classe. A quell’età, Branko non riscontrava enormi <strong>di</strong>fferenze caratteriali<br />

tra i sessi, perciò la composizione delle classi per lui non era che un trascurabile<br />

dettaglio statistico. Aveva bambini vivaci e bambine tranquille, e viceversa.<br />

L’ora <strong>di</strong> pranzo giunse abbastanza in fretta. Branko camminò blandamente,<br />

tenendo sospesa la borsa coi libri a pochi centimetri da terra, salutando i vari<br />

bambini che si staccavano dal piccolo corteo per raggiungere le loro abitazioni.<br />

“Arrivederci, Učiteljević.”<br />

“Buona giornata, Učiteljević.”<br />

“A domani, Učiteljević.”<br />

Lui ricambiava, biascicando un saluto, oppure con un cenno della mano, e<br />

proseguiva la sua strada assieme agli altri. Quand’era lui ad essere arrivato, vedeva<br />

i bambini, non più vincolati dalla sua andatura fiacca, accelerare il passo,<br />

mentre lui imboccava il sentiero che, attraverso l’orticello, conduceva a casa.<br />

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