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AA.VV., I FORI IMPERIALI & IL COLOSSEO - Rome - The Imperial Fora

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dominante si è infatti concentrata su elementi stilistici come la prospettiva accidentale e la composizione<br />

“angolare”, imputando le prime prove newyorkesi alla fascinazione del giovane artista per<br />

la “Nuova Visione” europea. Questa lettura è in realtà contraddetta dal sostanziale disinteresse di<br />

Evans per la “Nuova Visione”, come del resto per il Costruttivismo e l’Astrattismo spesso richiamati<br />

per inquadrare i suoi primi lavori. Al contrario, in varie occasioni espresse ammirazione per fotografi<br />

come Mathew Brady, Paul Strand, Eugène Atget, August Sander, Ben Shahn, ma anche per aspetti<br />

dell’opera di Alfred Stieglitz, Ralph Steiner, Henri Cartier-Bresson ed Erich Salomon.<br />

In questo panorama variegato e frammentario si può cogliere la tipica tendenza di Evans a dissimulare<br />

i propri debiti nei confronti di altri artisti visuali, indicando piuttosto tra i propri ascendenti scrittori<br />

come Flaubert e Baudelaire. Per una conoscenza più circostanziata della sua formazione visiva e del suo<br />

interesse per la metropoli, la ricerca deve dunque prendere le mosse dalle opere effettivamente realizzate,<br />

considerando non solo le stampe fotografiche più note, ma anche la grande quantità di negativi<br />

conservati nell’archivio, spesso non accompagnati da positivi. Se le fotografie sono solitamente “tracce”<br />

del mondo e immagini di qualcosa, il compito primario dello storico è quello di restituire i modi con<br />

i quali l’esperienza della realtà è stata trasformata dal fotografo in una rappresentazione bidimensionale<br />

attraverso una serie di scelte tecniche ed estetiche, che corrispondono a interpretazioni culturali non<br />

sempre riconducibili a princípi condivisi o a manifesti artistici.<br />

Un primo, importante esempio in questa direzione è fornito da nove negativi conservati al<br />

Metropolitan che mostrano il profilo di Manhattan ripreso dal ponte di Brooklyn. Su questo topos newyorkese<br />

Evans operò alcune torsioni visive che consentono già di individuare l’elaborazione di un’idea di città.<br />

Eliminando il campo medio con la superficie dell’East River, queste vedute negano l’immagine pittoresca<br />

di Manhattan come penisola naturale protesa sulle acque del fiume. A contraltare, le icone della razionalità<br />

ingegneristica – il ponte ottocentesco e i nuovi grattacieli – vengono presentate come frammenti di un<br />

collage disumanizzato, dal quale sono assenti gli spazi pubblici e la vita sociale.<br />

Nel suo complesso, la serie rivela inoltre un ambizioso programma concettuale. Tutte le fotografie<br />

risultano infatti incentrate sulla costruzione del 111 John Street Building, un grattacielo di 26 piani<br />

da 3,5 milioni di dollari nel distretto finanziario di Manhattan. La cronaca immobiliare del «New<br />

York Times» consente di datare i negativi all’autunno 1928, ma un’analisi comparativa rivela anche<br />

che tutte le immagini, pur con alcune varianti compositive, sono state realizzate nel corso di alcuni<br />

mesi da due specifici punti di ripresa. Il carattere sistematico di questa sequenza segnala perciò che le<br />

primissime prove dell’artista a noi pervenute, sebbene a un primo sguardo stereotipate e frammentarie,<br />

rientrano in un progetto più ampio sull’immagine di New York, avviato nel pieno di un ciclo<br />

edilizio che cambiò il volto della metropoli.<br />

In sintonia con queste premesse, la ricerca ha teso anzitutto ad individuare i soggetti urbani di tutte le<br />

fotografie realizzate in questo periodo iniziale – sino ad oggi rubricate come «studi formali», «composizioni»<br />

o «astrazioni» – nel tentativo di comprendere i criteri di trattamento messi in atto da Evans. L’analisi<br />

comparativa delle fonti iconografiche – fotografie, vedute aeree, mappe, libri illustrati, materiali pubblicitari<br />

– incrociata con le cronache architettoniche – presenti soprattutto nella sezione immobiliare del «New<br />

York Times» e nelle riviste di settore – ha consentito non solo di precisare i dati catalografici di moltissime<br />

opere conservate al Metropolitan e al Getty e di individuare le modalità operative dell’artista, ma anche di<br />

ricostruire la geografia simbolica sottesa al suo lavoro newyorkese.<br />

Dalle maglie dell’archivio emerge dunque una mappa visiva di New York in un periodo cruciale<br />

della sua crescita e del suo declino, a ridosso della drammatica crisi del 1929. Insistendo sui luoghi di<br />

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