IL CONTO APERTO una premessa - Centro Studi Ettore Luccini
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Un aspetto ricorrente, riscontrabile anche<br />
nei fatti di Codevigo, nelle modalità<br />
di esecuzione di gran parte delle uccisioni<br />
avvenute a ridosso della Liberazione, è<br />
quello del tentativo di far scomparire i<br />
cadaveri, aspetto questo in cui si sommavano<br />
fattori sia pratici che simbolici.<br />
Infatti, il metodo della sparizione dei<br />
corpi era quello adottato durante il periodo<br />
della lotta armata clandestina onde<br />
evitare le rappresaglie nazi-fasciste e, con<br />
ogni probabilità, a tale pratica si ricorse<br />
ancora nel timore di conseguenze penali<br />
magari ad opera delle autorità militari<br />
USA, notoriamente contrarie; inoltre<br />
non è da sottovalutare un elemento psicologico<br />
per cui “il nemico così viene ucciso<br />
due volte, cancellandone anche la<br />
traccia fisica e negando alla famiglia pure<br />
la possibilità di piangerne la scomparsa”<br />
22 .<br />
Sulla tematica della violenza, non<br />
sembra comunque infondata la tesi di alcuni<br />
storici che, rovesciando talune accuse<br />
revisioniste, ritengono i partigiani fattori<br />
di un relativo “contenimento”, piuttosto<br />
che di un “innalzamento” della violenza<br />
seguita alla Liberazione, facendo<br />
osservare che certe, seppur brutali, punizioni<br />
inflitte ai fascisti avessero un carattere<br />
più simbolico che cruento, quali il<br />
taglio dei capelli imposto alle collaborazioniste,<br />
il denudamento o la temporanea<br />
reclusione nei porcili di industriali o<br />
proprietari agrari iscritti al Fascio, così<br />
come è stato ricostruito da Bertolucci nel<br />
film “Novecento”; punizioni queste impensabili<br />
per i sospetti banditen caduti<br />
nelle mani dei nazisti o delle varie polizie<br />
della RSI.<br />
22 Ibidem.<br />
materiali di storia, n. 13 - pagina 13<br />
A tale riguardo Pavolini, fondatore e<br />
capo delle Brigate Nere, era stato più che<br />
esplicito commentando, in un discorso a<br />
Milano nel ‘44, l’ultimatum rivolto ai<br />
giovani renitenti e disertori:<br />
Noi fascisti non amiamo particolarmente<br />
le amnistie. In sostanza,<br />
non si è fatto che sanzionare, fissandole<br />
[sic], finalmente, un limite di<br />
otto giorni, quella distinzione praticamente<br />
già in atto tra il traviato che<br />
si presenta e viene reintegrato al lavoro<br />
e l’accozzaglia immonda dei<br />
banditi, verso cui non è possibile altra<br />
misura che il fuoco dei mitra. 23<br />
Basterebbero queste parole a spiegare<br />
molte cose accadute in seguito, secondo<br />
<strong>una</strong> sorta di contrappasso, ma la persistente<br />
opera di criminalizzazione<br />
dell’antifascismo armato, portata avanti<br />
dalle destre, è stata in qualche modo favorita<br />
da certi silenzi. Come afferma<br />
Sandro Portelli, “i partigiani e la sinistra<br />
hanno parlato a lungo, non senza giustezza<br />
e non senza retorica, del sacrificio<br />
dei partigiani che hanno dato la vita per<br />
la libertà, ma molto meno del fatto che i<br />
partigiani a loro volta hanno sparato,<br />
hanno ucciso, hanno, insomma, fatto la<br />
guerra, e che in guerra ci sono le vittime<br />
anche dall’altra parte. Non solo: ma che<br />
in guerra la morale sfuma, che errori e<br />
ambiguità ci possono essere anche dalla<br />
parte di chi ha ragione. Siccome noi abbiamo<br />
negato tutto questo, adesso a ogni<br />
ambiguità, a ogni ombra, il senso comune<br />
revisionista nega tutta la Resistenza”<br />
24 .<br />
23 Cfr. Ricciotti LAZZERO, Le Brigate Nere,<br />
Milano, 1983.<br />
24 S. PORTELLI in Guerra civile e Stato, cit..