IL CONTO APERTO una premessa - Centro Studi Ettore Luccini
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la Resistenza, quali quelle contrastanti<br />
di guerra sociale o di guerra civile, fu<br />
puntualmente negata o minimizzata e<br />
tutta l’articolata e diversificata esperienza<br />
della lotta armata partigiana fu<br />
ammantata dal tricolore e amputata<br />
delle sue radici storiche che affondavano<br />
nell’antifascismo proletario e<br />
sovversivo del Biennio Rosso, degli<br />
Arditi del Popolo e della guerra di<br />
Spagna 4 .<br />
Anche i primi G.A.P. (Gruppi d’Azione<br />
Partigiana), nati nella clandestinità<br />
per colpire i nazi-fascisti e sabotare le<br />
strutture belliche, furono ben presto ribattezzati<br />
come Gruppi d’Azione Patriottica.<br />
In sintonia con tale raffigurazione, la<br />
guerra partigiana è stata quindi “purificata”<br />
di tutti quegli aspetti contraddittori<br />
e conflittuali che potevano in qualche<br />
modo appannare la sua imma-<br />
gine unitaria e patriottica, oppure svelarne<br />
le caratteristiche meno rassicu-<br />
ranti di movimento rivoluzionario e<br />
anticapitalistico rivendicate da quelle<br />
componenti “estremiste” che parlava-<br />
no già di Resistenza tradita.<br />
Questo costante lavoro di manipolazione<br />
e svuotamento, svolto nei confronti<br />
di quel dirompente fenomeno politico e<br />
sociale che era stato la guerra partigiana,<br />
non solo permise ai vari governi democratici<br />
succedutisi nel dopoguerra di riabilitare<br />
e reinserire nelle istituzioni considerevoli<br />
settori fascisti già pesantemente<br />
compromessi con il regime del Ven-<br />
4 Si vedano: Renzo DEL CARRIA, Proletari<br />
senza rivoluzione, Milano, 1976; Cesare<br />
BERMANI, Il nemico interno. Guerra civile e<br />
lotte di classe in Italia (1943-1976), Roma, 1997;<br />
Marco ROSSI, Arditi, non gendarmi!<br />
Dall’arditismo di guerra agli arditi del popolo<br />
(1917-1922), Pisa, 1997.<br />
materiali di storia, n. 13 - pagina 7<br />
tennio e la Repubblica Sociale Italiana,<br />
ma disarmò la storiografia nei confronti<br />
di quanti, da destra, avevano iniziato <strong>una</strong><br />
lunghissima e sistematica opera di denigrazione<br />
della Resistenza andando a<br />
“pescare nel torbido” di fatti di sangue ed<br />
episodi di violenza rimossi e nascosti dagli<br />
stessi protagonisti della lotta partigiana,<br />
criminalizzati sul piano giudiziario e<br />
indotti al senso di colpa 5 .<br />
“Anche se ancora non indagate a sufficienza<br />
– ha scritto Francesco Germinario<br />
– per cinquant’anni <strong>una</strong> ricca<br />
memorialistica di reduci della RSI e<br />
<strong>una</strong> consistente pubblicistica neofascista<br />
hanno letto dal loro punto di vista il<br />
fenomeno della Resistenza rielaborando<br />
il lutto della sconfitta del 1945.<br />
Schematizzando molto, si può osservare<br />
che in questa pubblicistica la Resistenza è<br />
presentata come <strong>una</strong> scelta imposta dai<br />
comunisti a danno degli interessi della<br />
nazione. Non sono rari, in queste ricostruzioni,<br />
fenomeni di despecificazione<br />
o, il che può essere peggio, di secca criminalizzazione<br />
del nemico, con i partigiani<br />
– gappisti in primo luogo – presentati<br />
come criminali. Questa è l’immagine<br />
della Resistenza che per mezzo secolo è<br />
stata fornita dalla cultura politica del neofascismo,<br />
da Enzo Erra e Pisanò a Rauti<br />
e Romualdi [...] Quanto alla RSI, il<br />
neofascismo l’ha immediatamente depoliticizzata,<br />
presentandola come <strong>una</strong> scelta<br />
5 Significativa, contro tale senso di colpa, la<br />
ribellione di Nuto REVELLI, Fucilavamo i<br />
fascisti e non me ne pento, (intervista di A. Gnoli<br />
su “La Repubblica”, 16 novembre 1991), persona<br />
che ha dimostrato come sia possibile storicizzare<br />
l’odio senza dover pentirsi del proprio<br />
passato di partigiano, scrivendo un libro<br />
di grande umanità come Il disperso di Marburg,<br />
Torino, 1994.