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2009 - Gustolocale

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“soluzione” liquida, sono considerate minestre anche quelle che in gastronomia sono definite “maritate”,<br />

quelle senza pasta o riso e “asciutte”, quelle che comprendono risotti o spaghetti, oppure<br />

anche quelle dove le verdure sono semplici profumi e non componenti, come la minestra di trippe.<br />

Di più: esiste anche il minestrone che è una preparazione più ricca con un maggior numero di ingredienti<br />

vegetali addensanti quali, ad esempio, legumi freschi e secchi, patata e zucca. Il minestrone,<br />

a differenza delle altre preparazioni similari, può essere gustato sia caldo che tiepido, ma anche<br />

freddo. Alcune preparazioni risultano migliori se riscaldate il giorno seguente (pensate alla toscana<br />

ribollita). Ci sono poi le zuppe: qui non si usa il riso o la pasta ma, obbligatorio perché sia chiamata<br />

zuppa, è una fetta di pane che si inzuppa. La parola zuppa trae la sua origine dal termine<br />

gotico suppa che, in ogni lingua europea, ha la stessa radice: soupe in Francia, suppe in Germania,<br />

soup in Inghilterra.<br />

Vi è poi la vellutata e la crema (che si usa chiamare così solo per l’alta gastronomia) che sono una<br />

preparazione a base di verdure, carne o pesce preparate con un roux (cioè con un insieme di farina<br />

e burro), con besciamella, arricchite a piacere con panna o latte.<br />

C’è, insomma, un mondo di minestre di tutti i tipi e in tutto il mondo, dal gazpacho spagnolo ai canederli<br />

austriaci fino al bortsch russo o allo squisito claim chowder americano.<br />

Ma, per restare in casa nostra e parlare delle nostre minestre, quasi sempre le ricette sono il risultato<br />

di una personalissima interpretazione ed è raro trovare eguaglianza fra di loro perché cambiano le<br />

componenti fondamentali dei piatti: le quantità, i tempi di cottura, la qualità delle materie da utilizzare,<br />

la “sorveglianza” al piatto, l’esperienza e, non ultima, la fame di chi mangia! Ed è il bello della<br />

cucina casalinga, quella che Enzo Biagi chiamava la cucina dell’amore. Quella della mamma che<br />

con pazienza e passione stava davanti al fornello che, pian piano, diffondeva per la casa un profumo<br />

antico che nessun cuoco di questa attuale “tecnocucina” saprà mai eguagliare!<br />

Alfredo Pelle

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