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Visualizza la rivista - Padri Dehoniani

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Francesco Petrarca, che par<strong>la</strong>va<br />

per ver dire<br />

non per odio d’altrui né per disprezzo,<br />

si rivolgeva ai Signori che erano<br />

in lotta tra loro, invitandoli a<br />

non far idolo un nome<br />

vano senza soggetto,<br />

a mirare<br />

come il tempo vo<strong>la</strong>,<br />

e sí come <strong>la</strong> vita<br />

fugge, e <strong>la</strong> morte n’è sovra le spalle,<br />

a respingere l’odio e lo sdegno<br />

che sono contrari al<strong>la</strong> vita serena,<br />

a spendere il proprio tempo in<br />

qualche atto più degno<br />

di mano o d’ingegno<br />

in qualche bel<strong>la</strong> lode,<br />

in qualche onesto studio.<br />

Nel<strong>la</strong> conclusione si rivolge al<strong>la</strong> stessa<br />

canzone, e l’invita a par<strong>la</strong>r cortesemente,<br />

sapendo che andrà fra gente altera,<br />

le cui brame sono piene dell’antica e<br />

pessima usanza, che è nemica del vero, e<br />

che sarà ascoltata da pochi magnanimi.<br />

Quel che Francesco Petrarca diceva<br />

per i Signori del suo tempo, ben può essere<br />

rivolto agli Italiani del nostro, i quali,<br />

in mezzo secolo, hanno disintegrato <strong>la</strong><br />

più bel<strong>la</strong> parte del mondo, e si apprestano<br />

a distruggere quel che resta, seguendo<br />

idoli vani, e tra<strong>la</strong>sciando l’essenziale.<br />

LE CONDIZIONI DELL’ITALIA NEL PRIMO<br />

OTTOCENTO<br />

Lamento ed angoscia per le condizioni<br />

dell’Italia, Giacomo Leopardi espresse<br />

nel<strong>la</strong> canzone All’italia, composta<br />

nel settembre del 1818, così come<br />

nel<strong>la</strong> contemporanea canzone Sopra il<br />

Monumento di Dante ed in quel<strong>la</strong> dedicata<br />

ad Angelo Mai.<br />

L’Italia è in una misera condizione. È<br />

trascurata da tutti e da se stessa, è disperata<br />

di tutto e di tutti.<br />

Non è più luogo di scontri armati,<br />

come nel tempo di Petrarca, ma i suoi figli<br />

sono lontani e combattono per una<br />

terra che non è <strong>la</strong> loro. Da una grandissima<br />

altezza l’Italia è ora caduta in basso<br />

loco. Ma di lei nessuno ora si cura, così<br />

come nessuno si ricorda e imita coloro<br />

che <strong>la</strong> fecero grande.<br />

Ciò che Giacomo Leopardi dice nelle<br />

sue tre canzoni lo si ritrova in parte nel<br />

lunghissimo Discorso intorno al<strong>la</strong> poesia<br />

romantica, scritto nel 1818, ma pubblicato<br />

so<strong>la</strong>mente nel 1906. Ed in partico<strong>la</strong>re<br />

nel<strong>la</strong> conclusione, nel<strong>la</strong> quale si rivolge<br />

ai giovani italiani.<br />

Giacomo Leopardi ha ancora <strong>la</strong> convinzione<br />

che l’Italia, perdute altre signorie,<br />

conservi l’impero delle lettere e arti belle,<br />

per le quali come fu grande nel<strong>la</strong> prosperità,<br />

non altrimenti è grande e regina<br />

nel<strong>la</strong> miseria. E ritiene che non sia ancor<br />

cambiata quel<strong>la</strong> sua indole madre di cose<br />

altissime, ardente e giudiziosa, prontissima<br />

e vivacissima, e tuttavia riposata e assennata<br />

e soda robusta e delicata, eccelsa<br />

e modesta, dolce e tenera e sensitiva oltre<br />

modo, e tuttavia grave e disinvolta, nemica<br />

mortalissima di qualsivoglia affettazione,<br />

conoscitrice e vaga sopra ogni cosa del<strong>la</strong><br />

naturalezza, senza cui non c’è né fu né<br />

sarà mai beltà né grazia, amante spasimata<br />

e finissima discernitrice del bello e del sublime<br />

e del vero, e finalmente savissima<br />

temperatrice del<strong>la</strong> natura e del<strong>la</strong> ragione.<br />

L’ANALISI E L’ESORTAZIONE<br />

DI VINCENZO GIOBERTI<br />

Quel che sull’Italia aveva detto Giacomo<br />

Leopardi fu tenuto ben presente<br />

da Vincenzo Gioberti, quando scrisse<br />

Del primato morale e civile degli italiani,<br />

pubblicato a Bruxelles nel 1842, mentre<br />

l’Italia era ancora un paese prevalentemente<br />

agricolo ed artigiano.<br />

Nel<strong>la</strong> parte finale Vincenzo Gioberti<br />

dice che <strong>la</strong> miseria intellettuale, nel<strong>la</strong><br />

quale era caduta l’Italia, era maggiore di<br />

quanto si credesse. Riguardava non solo<br />

gli studi ma tutte le altre parti del<strong>la</strong> vita<br />

civile. Non derivava tanto dal<strong>la</strong> politica o<br />

dal<strong>la</strong> religione o da cause esteriori ed oggettive<br />

(quantunque queste contribuissero<br />

ad accrescer<strong>la</strong>), ma dalle disposizioni<br />

interiori degli Italiani, ed in partico<strong>la</strong>re<br />

Dossier<br />

dal<strong>la</strong> loro “decadenza morale. Questa<br />

non era opera del fato o del<strong>la</strong> natura, ma<br />

del<strong>la</strong> spontanea, volontaria e libera scelta<br />

di coloro che vi soggiacevano.<br />

Notava poi che l’esperienza universale<br />

e <strong>la</strong> storia insegnano che non sono<br />

gli statuti politici o i codici legis<strong>la</strong>tivi a<br />

far fiorire o decadere gli stati, ma i costumi<br />

e l’educazione, ovvero <strong>la</strong> cultura,<br />

<strong>la</strong> quale si acquista e si accresce non<br />

chiacchierando e sognando, ma “con<br />

forti studi”, “meditazioni profonde ed operosa<br />

solitudine”.<br />

Purtroppo l’Italia aveva abbandonato<br />

il suo genio nazionale, indebolito lo spirito,<br />

e si era data all’eccessivo amore dei<br />

guadagni e dei piaceri, al<strong>la</strong> frivolezza dei<br />

costumi, al<strong>la</strong> servitù degli intelletti, all’imitazione<br />

delle cose forestiere, ai “cattivi<br />

ordini degli studi, del<strong>la</strong> pubblica e privata<br />

disciplina”. Perfino nei divertimenti seguiva<br />

solo quelli che dilettavano i sensi, e<br />

profanavano “<strong>la</strong> divinità del<strong>la</strong> musica, regina<br />

delle arti, e fonte di nobili idee e d’ispirazioni<br />

magnanime, volgendo<strong>la</strong> a<br />

strumento di servitù e di mollezza”.<br />

Ricordava anche che “meravigliosa è<br />

l’efficacia delle bellezze naturali per innalzare<br />

l’ingegno, quando esse siano<br />

avvalorate dall’abito meditativo e dal<strong>la</strong><br />

solitudine”. E che se nel<strong>la</strong> maggior parte<br />

degli uomini <strong>la</strong> poesia era spenta ed il<br />

pensiero rasentava <strong>la</strong> terra, ciò avveniva<br />

perché <strong>la</strong> vita urbana prevaleva su quel<strong>la</strong><br />

agreste, e si trasportavano nei paesi e<br />

nei viaggi gli usi, le frivolezze ed il frastuono<br />

delle città. Questo diminuiva o<br />

annul<strong>la</strong>va le impressioni più sublimi,<br />

che sono quelle che vengono “dal<strong>la</strong> ve-<br />

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