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consumatori<br />
è uguale per tutti<br />
pporto <strong>Coop</strong> su consumi e distribuzione<br />
Gli italiani si sentono meno<br />
tutelati e più poveri. Aumentano<br />
le difficoltà economiche delle<br />
famiglie: un italiano su cinque<br />
si sente escluso. Ovvero quando<br />
la ripresa economica produce<br />
anche diseguaglianze<br />
il potere d’acquisto delle famiglie, è stata praticamente nulla.<br />
Anzi, se consideriamo che la pressione fiscale sulle retribuzioni<br />
lorde in Italia è sensibilmente aumentata rispetto ai<br />
primi anni Novanta, possiamo tranquillamente affermare che<br />
il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito. Nemmeno<br />
l’aumento del tasso di occupazione ha invertito questa tendenza<br />
all’impoverimento perché la diffusione dei contratti di<br />
lavoro temporaneo e l’assenza di un sistema efficace di ammortizzatori<br />
sociali ha fatto emergere con forza quel senso di<br />
precarietà che fa dire ai tre quarti delle famiglie italiane di<br />
sentirsi in difficoltà. Ma l’Italia delle sofferenze economiche e<br />
sociali non si ferma a questi numeri. Abbiamo anche un altro<br />
primato: vantiamo uno dei più alti tassi di diseguaglianza sociale.<br />
Da noi il 20 per cento della popolazione con il reddito<br />
ottobre 2007<br />
in primo piano<br />
13<br />
la vignetta di ellekappa<br />
più elevato (cioè i più ricchi) guadagna quasi sei volte di più<br />
rispetto al 20 per cento della popolazione che ha il reddito più<br />
basso (superando così il Regno Unito con 5,5, la Spagna con<br />
5,4, la Francia con 4,0 e la Germania con 4,1). Da notare che<br />
nel 2000 lo stesso indicatore per l’Italia era pari al 4,8.<br />
L’arte di arrangiarsi<br />
Quindi, la ripresa economica, il famoso Pil, non è di per sé<br />
garanzia di maggior benessere per tutti. Di conseguenza i<br />
consumatori si arrangiano come possono. Innanzitutto<br />
cambiano i comportamenti di spesa: acquistano di più beni<br />
durevoli (auto, mobili, elettrodomestici), si lasciano sedurre<br />
dall’innovazione (vedi il boom dell’elettronica di consumo)<br />
ricorrono sempre più al credito al consumo (i cui tassi di<br />
incremento erano prossimi al 30 per cento all’inizio del 2003<br />
e si sono assestati attorno al 15 per cento negli ultimi anni).<br />
Infine riducono nel loro paniere la quota della spesa per alimentari<br />
e per vestiario e calzature. In sostanza, negli anni si<br />
è assistito a uno spostamento marcato di spesa dai beni ai<br />
servizi. Tanto più che spesso i servizi sono consumi obbligati<br />
per le famiglie e in certi casi molto più costosi in Italia piuttosto<br />
che in Europa. Ad esempio, il gap tra il prezzo pagato<br />
dai consumatori italiani e quello corrisposto da quelli europei<br />
per l’acquisto di prodotti energetici persiste e anzi in alcuni<br />
casi tende a ampliarsi. Ad eccezione del gas che si colloca<br />
continua a pagina 17 >