Scuola e Cultura - Ottobre 2007 - scuola e cultura - rivista
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<strong>Ottobre</strong> - Novembre - Dicembre <strong>2007</strong> 16<br />
grave di fonte - nelle notti<br />
di polvere e calura<br />
ventosa, quando non ha più voce<br />
il canale riverso, smania<br />
la fiamma del fanale<br />
nel carcere di vetro e l'apertura<br />
sconnessa - la plumelia bianca<br />
e avorio, il fiore<br />
serbato a gusci d'uovo su lo stecco,<br />
lascia che lo prenda<br />
furia sitibonda<br />
di raffica cui manca<br />
dono di pioggia,<br />
pure il rovo ebbe le sue piegature<br />
di dolcezza, anche il pruno il suo candore.<br />
(Plumelia)<br />
Sia in Rilke che in Piccolo ricorre il motivo della "bellezza"<br />
minacciata che, seppur per breve tempo, riesce a resistere<br />
alla distruzione. Ritmicamente mi sembra significativo che<br />
Plumelia nella sua diversificazione tra i vari versi (si va da<br />
un quinario ad un verso di dodici sillabe) si apra e si chiuda<br />
con un endecasillabo. L'oscillare tra la regolarità metrica e<br />
la libertà ritmica è tipica di entrambi i poeti.<br />
Su una linea simile si colloca la lirica Alla luna:<br />
Quando così ti sbianchi<br />
quasi disfatta incerte<br />
parvenze hai d'antichissimi<br />
sfocati volti.<br />
Forse sgomenti spettri<br />
sorpresi all'alba in fuga.<br />
Quando t'arrossi torbida<br />
sanguigne voglie fermenti<br />
e forse hai mari in collera<br />
furia di venti cinerini<br />
nei cieli gonfi.<br />
Fra bianchi abeti senti d'ululato<br />
fai specchio il lago<br />
e sgombri nebbia azzurra nel silenzio<br />
destandoci fantasmi di memorie<br />
e infiniti abbandoni<br />
lontanissima luna.<br />
Oltre ad alcune corrispondenze lessicali, è il colloquiare<br />
(molto leopardiano) con la cosa (la luna) a scandire le “fasi”<br />
della poesia. Al contrario di Leopardi però non sono<br />
domande assillanti che l’io poetante rivolge alla luna, bensì,<br />
come in Rilke, semplici ipotesi scandite dal “forse”, dettate<br />
dai diversi modi di percepirla e di riceverla in sé pur nella<br />
sua lontananza.<br />
Ciò ci introduce in una ulteriore "affinità" tra i due poeti: il<br />
loro particolare modo di sentire lo spazio in cui si trovano a<br />
vivere. Questo costituisce la frontiera, nel senso di<br />
qualcosa che separa ed unisce, qualcosa di determinante<br />
nel loro esser poeti. Lo spazio viene sentito come<br />
determinante nel loro incedere verso le cose. Das<br />
Stundenbuch ha le sue valenze spaziali – Firenze la Russia<br />
Parigi – che determinano e scandiscono le tre parti della<br />
raccolta. L’io poetante diventa cosa-spazio nello spazio, si<br />
fa lui stesso spazio interiorizzando le cose, e si rinnova<br />
rinnovandolo. Sia in Rilke che in Piccolo (con le dovute<br />
proporzioni quantitative, ma certo non qualitative che i<br />
meccanismi discorsivi primari rimangono affini) costanti<br />
risultano il confronto con l’altro da sé e la riformulazione.<br />
Passando alle peculiarità formali, oltre all’allitterazione a cui<br />
si è già accennato, è l'iterazione (tipica comunque di quasi<br />
tutti i poeti del Novecento) a costituire uno degli elementi<br />
costitutivi più marcati. Vi è inoltre il ricorso frequente a frasi<br />
Mauro Cappotto, Lucio Piccolo (olio su tela 2002)<br />
interrogative, con lo scopo dominante di conferire forza ad<br />
una idea o "luce ad un'immagine". Giustamente Natale<br />
Tedesco per questo stilema chiama in causa Machado e<br />
Guillén 44 , ma certo non estranei debbono esser stati alcuni<br />
testi di Leopardi come il Canto notturno di un pastore<br />
errante dell'Asia, tra gli altri, e di Rilke. In tutti e tre gli<br />
scrittori le interrogative sono per lo più generate da una<br />
forte ansia metafisica e dalla coscienza del "tormento del<br />
vivere", ma in Rilke ed in Piccolo sono in un certo senso<br />
più discrete, formulate quasi sottovoce, come nella terzina<br />
del Gesang der Frauen an den Dichter, già citato. Per il<br />
dolore esistenziale si possono rileggere le Duineser<br />
Elegien di Rilke e di Piccolo i versi iniziali di Sebbene tu<br />
cerchi da Canti barocchi:<br />
Sebbene tu cerchi che la tua stessa<br />
fugacità sia l'arpa, il flauto, il ruscello,<br />
sai che su la fronte è il segno<br />
di una malinconia senza fine;<br />
e se l'aria della notte che avanza<br />
scioglie la maggiorana, i mirti, il chiaro<br />
calice della natura<br />
in fumo umido di fraganza,<br />
sai che la favola sboccia,<br />
poco dura, s'allontana,<br />
e l'amaro è l'ultima goccia.<br />
Figure effimere, insignificanti, vuote dell’esistere hanno un<br />
loro posto nella poesia sia di Rilke che di Piccolo, accanto<br />
a miti classici, a forme e motivi della <strong>cultura</strong> alta,<br />
aristocraticamente chiusa in sé. Ciò che ne rende possibile<br />
e ne giustifica la presenza è il processo di significazione<br />
attivato e regolato dall’io poetante. Una volta che il fico<br />
(Lied vom Meer) o un viale di ippocastani (Begegnung in<br />
der Kastanien-Allee) o la giostra (Das Karusell) o una<br />
pantera allo Zoo (Der Panther) o un ubriaco (Das Lied des<br />
Trinkers) o un libro (Il libro) o la bussola (La bussola) o un<br />
fiore (Plumelia) ecc. vengono versati nel “vaso” del poeta,<br />
subiscono un atto di “chiarificazione” (quello che Amoroso<br />
chiama “rimodellamento” dell’oggetto 45 ) e si “caricano” di<br />
“luminosità” e di messaggi inaspettati, quasi a compenso<br />
dello svuotamento di senso che ha investito il vivere<br />
moderno. Sono il “fuggire delle pareti”, il “gioco a<br />
nascondere”, le fughe verso l’alto e le cadute verso il<br />
basso, lo specchio (“[…] noi siamo figure / di specchio che