Scuola e Cultura - Ottobre 2007 - scuola e cultura - rivista
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<strong>Ottobre</strong> - Novembre - Dicembre <strong>2007</strong> 28<br />
Queste parole sono di<br />
Marx, parole che<br />
spaventarono anche<br />
Bauer, suo amico.<br />
Il postmoderno<br />
annullerebbe, dunque, la<br />
filosofia del pensatore<br />
tedesco? A sentire Eco,<br />
si direbbe di no: “Ogni<br />
epoca – dice – ha il<br />
proprio postmoderno” e<br />
la risposta che dà “al<br />
moderno consiste nel<br />
riconoscere che il passato, visto che non può essere<br />
distrutto, perché la sua distruzione porta al silenzio,<br />
deve essere rivisitato con ironia, in modo non<br />
innocente” 4 , non sconfessandolo, cioè,<br />
completamente, ma neanche considerandolo come<br />
sorgente da cui attingere acqua.<br />
Può essere però che venga intuito, nell’analisi che si<br />
fa del passato, un elemento risanatore della<br />
sfaldatura posta in essere dalle nuove generazioni. In<br />
ogni caso “è necessario – sostiene Adorno – fare una<br />
storia del pensiero e una storia delle storie e delle<br />
interpretazioni” per renderci “conto dei linguaggi<br />
usati, dei significati dei termini, della storia degli etimi,<br />
di molti modi con cui si parla da sempre, per cui è<br />
fondamentalmente un non senso dire che ormai è<br />
inutile parlare del passato” 5 .<br />
Si aprirebbe così la strada a una revisione<br />
programmata di dati acquisiti negli anni per dare<br />
concreta stabilità al costante dialogo costruttivo<br />
avvenuto, quale risultanza di lavoro particolarmente<br />
utile per l’ammodernamento dei vigenti sistemi<br />
economico– produttivi dettati dalla politica dei nostri<br />
tempi.<br />
Ciò farebbe di sicuro la storia maestra di vita. Perché<br />
avremmo a che fare con un nuovo moderno in<br />
continuo divenire in grado di cambiare in positivo le<br />
sorti dei popoli. Una storia, del resto, continuamente<br />
guidata dalla razionalità moraleggiante del suo<br />
essere pensante determinerebbe emancipazione e<br />
progresso, non degrado e inarrestabile regresso.<br />
Posta in tale direzione, la politica americana degli<br />
anni in cui Andrew Jackson primeggiò come despota,<br />
non avrebbe assaporato l’assalto di una libertà di<br />
stampa agguerrita. Per il giornale “Vincenne’s<br />
Gazette”, il presidente Jackson governava infatti nella<br />
“corruzione” per cui “le sue manovre colpevoli” gli<br />
sarebbero presto tornate addosso “a sua confusione<br />
e onta”. In casi del genere la censura sarebbe il<br />
guaio peggiore per l’umanità sofferente. Se perciò “la<br />
domanda radicale weberiana era stata cos’è il<br />
potere?” e quella degli studiosi delle élite e delle folle<br />
“chi detiene il potere?, la questione che Lippman<br />
pone sul tappeto riguarda come funziona il potere” 6 .<br />
D’altronde, chi meglio di lui poteva parlarne? 7 Max Weber<br />
“Il<br />
mondo con cui dobbiamo avere a che fare<br />
politicamente – ebbe a dire – è fuori dalla nostra<br />
portata, deve essere esplorato”. È da considerare<br />
l’asserzione come visuale per le cose naturalmente<br />
chiuse ai nostri occhi. Non è paradossale<br />
l’affermazione, poggiandosi su pilastri storici ben<br />
consolidati da risposte che non possono non<br />
confortare Lippman. Ciò posso dire avendo pur io<br />
avuto (anche se in parte) conoscenza delle cose<br />
della politica negli anni giovanili nei quali lavoravo<br />
attivamente per un partito. Agli occhi della gente<br />
venivano infatti nascoste, allora, molte verità.<br />
Lippman parla di “censure artificiose”, di “limitazioni<br />
dei contatti sociali”, da esaminare con accortezza per<br />
conferire all’indagine una risposta adeguata e<br />
risolutiva delle cose impossibili dal momento che “la<br />
propaganda modifica l’immagine che è in ciascuno di<br />
noi”, vedi il cinema che continuamente costruisce<br />
“immagini” per cui – conclude Lippman – “l’idea<br />
nebulosa diventa vivida”.<br />
Già cominciavano i media a influenzare la gente sul<br />
progresso che stava per nascere senza tener conto<br />
dei rapporti sociali. L’industria americana era<br />
all’avanguardia, ma la mente dell’individuo rimaneva<br />
ancora isolata, non inserita nel meccanismo di<br />
riordino dei valori umani quale garanzia di vita<br />
razionalmente legata all’emancipazione progressiva<br />
dei popoli. Questo significa che chi legifera non deve<br />
tener conto – come dice Lippman – dei “pochi iniziati”<br />
se vuol “cogliere le urgenze di un genere di vita<br />
collettiva” 8 . Ma per far questo è necessaria la<br />
partecipazione alla vita democratica della<br />
popolazione non certo, come oggi avviene, con l’uso<br />
spesso errato del computer. Una società<br />
computerizzata deve essere preparata allo studio dei<br />
nuovi media con scrupolosità e saggezza e non nella<br />
superficialità sofisticata dell’incompetenza anche<br />
dialettica.<br />
Ricordo ciò che avvenne negli anni Sessanta in Italia:<br />
nelle scuole l’insegnamento della lingua inglese era<br />
affidata agli avvocati. Negli anni Settanta si volle poi<br />
inserire nei programmi l’insegnamento della musica<br />
senza ancora la presenza nel campo di un corpo<br />
docente preparato in materia. Questo non c’entra con<br />
la nuova era computerizzata, ma fa intendere quante<br />
incognite da non sottovalutare possano derivare da<br />
un’emancipazione progressiva della vita pubblica di<br />
scarso livello. Si volle affidare, infatti, il computer<br />
all’incompetenza collettiva, nell’uso dei programmi,<br />
con i risultati che noi oggi conosciamo in massima<br />
parte negativi, spesso mancando nel metodo