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DIALOGO SULLA LETTERATURA - Comune di Livorno

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SENzA TITOLO<br />

<strong>di</strong> Fr. Pal. [Francesco Palmieri],<br />

“l’Avanti!”, 18 novembre 1965<br />

Già nelle poesie <strong>di</strong> Il seme del piangere apparivano quei “segni del reale”<br />

che più espliciti e chiari si ritrovano nel “Congedo”. Si ricava, da essi, che il<br />

percorso dell’esistenza in<strong>di</strong>viduale muta nel tempo, ma la storia non può sottrarlo<br />

ad un suo destino, implicito nella stessa con<strong>di</strong>zione umana. È possibile<br />

per te, poeta, tentare una <strong>di</strong>mensione dell’uomo al vaglio della storia?<br />

Se con “segni del reale” vuoi alludere alla presenza o evidenza, nella<br />

scrittura d’un poeta, degli oggetti fisici che lo circondano e lo completano<br />

oltre che dei fatti, dei problemi e dei conflitti dell’hic et nunc in cui<br />

il poeta è immerso, mi sembra che in effetti tal “segni” già si possono<br />

scorgere nei miei primissimi versi <strong>di</strong> Come un’allegoria (1932-35), anche<br />

se lì si tratta d’un “reale” ancor più pertinente alla natura che alla società.<br />

“Segni” cui, già a quei tempi, in quel mio macchiaiolismo, più che<br />

impressionismo, già tentato dalle sirene dell’espressionismo, davo un<br />

valore <strong>di</strong> quasi un’allegoria: un significato sempre volto ad esprimere<br />

un qualcosa d’altro (una mia e altri inquietu<strong>di</strong>ne) al <strong>di</strong> là del puro significato<br />

letterale o figurativo della parola. Il peso d’una storia generale,<br />

opprimente l’esile storia privata che <strong>di</strong> quella s’imbeve, comincia a farsi<br />

più esplicito, mi pare, negli Anni tedeschi e nel gruppo delle Stanze. E,<br />

sempre se afferro al giusto il senso della tua domanda, credo <strong>di</strong> poter<br />

<strong>di</strong>re al proposito che il “tentativo” <strong>di</strong> “una <strong>di</strong>mensione dell’uomo al vaglio<br />

della storia” già avevo cominciato a compierlo in quelle mie cose. Il<br />

mèzigue degli Anni tedeschi e delle Biciclette, i “piccoli uomini” umiliati<br />

e offesi <strong>di</strong> All alone (non All’Alone né Al alone, come qualche critico poco<br />

attento ha tradotto per proprio conto), l’Enea del Passaggio e, per tutti,<br />

l’“utente” delle Stanze della funicolare, possono forse essere in<strong>di</strong>cativi<br />

in questo senso. Senza gonfiar troppo le penne per questo, potrei anche<br />

<strong>di</strong>re d’essere stato il primo a cercar <strong>di</strong> rappresentare una ventina d’anni<br />

fa col mio “utente” (definizione antieroica e antiumana rafforzata,<br />

nelle Stanze della funicolare, per contrasto, dall’aulico pronome “ei”; definizione<br />

che poi ha trovato, ahimé, conferma e fortuna in questa nostra<br />

era d’industrializzazione e <strong>di</strong> alienazione) la con<strong>di</strong>zione e la <strong>di</strong>mensione<br />

dell’uomo d’oggi ridotto, dallo sconcerto e dai crimini della guerraccia<br />

prima, dalla cosiddetta civiltà <strong>di</strong> massa e del “miracolo” poi (un “miracolo”<br />

fondato sul relativo raggiungimento d’un benessere meramente<br />

elettrodomestico, estrutto magari su bisogni artificiosamente creati<br />

per il solo reale benessere dei cosiddetti produttori od operatori economici,<br />

ma senza uno spiraglio <strong>di</strong> luce) ad anonimo e amorfo souffre-dou-

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