DIALOGO SULLA LETTERATURA - Comune di Livorno
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iii sezione<br />
Dio che probabilmente non esiste, ma che Caproni vorrebbe tanto che ci<br />
fosse. Commentando questa che il poeta chiama scherzosamente la sua<br />
«ateologia», Giovanni Testori è intervenuto inserendolo d’autorità nelle<br />
file dei credenti, con l’argomento seguente, con un ar<strong>di</strong>to stratagemma<br />
logico: «Mai, credo, la negazione <strong>di</strong> Dio è stata come in queste poesie,<br />
sua affermazione». Ma lui cosa ne pensa? «So solo che l’articolo <strong>di</strong> Testori<br />
mi è piaciuto. Altro non potrei <strong>di</strong>re, ci sono domande cui non sono<br />
in grado <strong>di</strong> rispondere. Sono ateo, non sono ateo? E che ne so! Certo che<br />
da giovane non mi ponevo questi problemi, anche se è vero che mio padre,<br />
il quale era povero ma amava molto la lettura, aveva tra i suoi libri<br />
Il concetto <strong>di</strong> angoscia <strong>di</strong> Kierkegaard. Io credo nell’esistenza <strong>di</strong> quello<br />
che ho chiamato “il muro della terra” (un’espressione dantesca), cioè<br />
una barriera che non possiamo superare, al <strong>di</strong> là della quale non riusciamo<br />
a vedere. È tutto qui».<br />
Come in una delle sue poesie, “L’ultimo borgo”: «un tratto / ancora /<br />
poi la frontiera / e l’altra terra: luoghi / non giuris<strong>di</strong>zionali». Cosa c’è in<br />
questi luoghi? Forse Dio?<br />
L’ultima poesia del volume, pubblicata per la prima volta, si intitola “Oh<br />
cari”. Comincia così: «Apparivano tutti / in trasparenza. Tutti / in anima.<br />
Tutti / nell’impren<strong>di</strong>bile essenza / dell’ombra. Ma vivi». Cosa sono<br />
queste apparizioni? Sono forse i morti?<br />
«Qualcuno l’ha interpretata così, ma ha sbagliato. Sono i tanti me stesso,<br />
che si sono succeduti, e che mi sembra <strong>di</strong> vedere tutti riuniti insieme,<br />
in un solo momento. “Oh cari / oh o<strong>di</strong>osi”».<br />
Arrivato, in un certo senso, alla conclusione della sua carriera, non le<br />
sembra che questo riconoscimento le sia arrivato un po’ tar<strong>di</strong>? «Prima<br />
<strong>di</strong> tutto la mia carriera non la considero conclusa e sto scrivendo un<br />
nuovo libro che si chiamerà Il conte <strong>di</strong> Kevenhüller. Per quanto riguarda<br />
i riconoscimenti mi sono sentito incompreso a lungo, ma forse ho esagerato.<br />
Dal mio secondo libro, Ballo a Fontanigorda, del 1938, in poi, non c’è<br />
n’è uno che non abbia avuto un premio. Ho avuto due volte il Viareggio,<br />
nel 1982 mi hanno dato il premio Feltrinelli. In fondo non posso davvero<br />
lamentarmi, posso essere considerato una premiata forneria».<br />
Un’ultima cosa. Parlando con lei, ripercorrendo la sua vita, ci si accorge<br />
che le sue poesie non toccano o sfiorano appena certi argomenti come<br />
la guerra, la scuola, la vita a Roma, il viaggio compiuto qualche anno fa<br />
negli Stati Uniti...<br />
«Sì, è vero. Di certe cose si scrive volentieri, <strong>di</strong> altre no. E quelle su cui<br />
non si scrive, chissà perché, spesso sono proprio le più importanti».