DIALOGO SULLA LETTERATURA - Comune di Livorno
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Giorgio, la poesia 37<br />
plaquettes. Poi andai soldato, da Genova a San Remo. Fi<strong>di</strong>a Gambetti,<br />
G.B. Vicari e Giorgio Bassani, mentre ero ancora in servizio <strong>di</strong> leva, mi<br />
pubblicarono qualche verso, o prosa. Ricordo anche Fer<strong>di</strong>nando Garibal<strong>di</strong>,<br />
che un giorno venne a trovarmi a San Martino per chiedermi <strong>di</strong> collaborare<br />
ad Espero, una rivista nel cui comitato <strong>di</strong> redazione figuravano<br />
Ungaretti, Valéry-Larbaud ecc. ecc. Bevemmo insieme un lampone accanto<br />
alla stufa a petrolio, in «sala da pranzo». Mi <strong>di</strong>sse (e ne rimasi un<br />
po’ scosso) che «la poesia è un’esplosione riflessa». A Libero Bigiaretti<br />
e al compianto De Luca devo, dopo il mio primo trasferimento a Roma,<br />
la pubblicazione <strong>di</strong> Finzioni e delle Stanze della funicolare. Vicari intanto<br />
mi aveva stampato una poesia su Lettere d’oggi, che indusse De Robertis<br />
(lo conoscevo soltanto <strong>di</strong> nome) a scrivermi per chiedermi, «d’urgenza»,<br />
«tutte le mie opere». Tremai <strong>di</strong> gioia e <strong>di</strong> sgomento. Scrisse una recensione<br />
bellissima, ripresa poi nel successivo saggio. Nel ’43 Carlo Bo recensì<br />
Cronistoria su La Nazione. Ma ero già «in contatto» coi fiorentini.<br />
Di Luzi fui io a scriverne per primo nel ’35. Ero già adulto. La mia teoria<br />
che le poesie devono camminare con le proprie gambe, senza chieder le<br />
dande, aveva funzionato.<br />
Era più facile allora per un giovane poeta essere ascoltato e riconosciuto?<br />
Penso che ciò sia dovuto al fatto che l’e<strong>di</strong>toria era ancora ai suoi inizi industriali,<br />
o sono altre le ragioni del maggiore (o più attento) ascolto?<br />
Il campo <strong>di</strong> attenzione e d’ascolto era più ristretto ma più qualificato. Il<br />
pubblico ha sfottuto Ungaretti per interi decenni. Ma in compenso c’era<br />
un e<strong>di</strong>tore come Attilio Vallecchi, e soprattutto c’erano critici come<br />
Gargiulo, Pancrazi, Cecchi, De Robertis, Bo e via <strong>di</strong>cendo. Ho avuto la<br />
ventura <strong>di</strong> crescere in un’epoca <strong>di</strong> nascita della poesia nuova. Ai riconoscimenti<br />
ufficiali nessuno ambiva. Il massimo premio era la recensione<br />
<strong>di</strong> uno <strong>di</strong> quei critici. Di «successo», nessuno ne parlava. L’america era<br />
ancora in America.<br />
Sappiamo che lei non ha mai sollecitato la pubblicazione delle sue opere, tanto<br />
è vero che la seconda raccolta, Il passaggio d’Enea, compare nel ’56, alla<br />
<strong>di</strong>stanza cioè <strong>di</strong> vent’anni da Come un’allegoria. È per questa ragione che<br />
lei ci fa aspettare il nuovo libro o esistono riserve, esitazioni e insod<strong>di</strong>sfazione<br />
da parte sua?<br />
La mia seconda «opera» non è Il passaggio <strong>di</strong> Enea ma Ballo a Fontanigorda<br />
(1938), seguito da Finzioni (’41), Cronistoria (’43), Stanze della<br />
funicolare (’52), per non contare la prosa <strong>di</strong> Giorni aperti (’42) e de Il