DIALOGO SULLA LETTERATURA - Comune di Livorno
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ii sezione<br />
gomentare, si sviluppa il “<strong>di</strong>scorso teologico” dell’ultimo Caproni, condotto<br />
con la levità anti-sapienziale (Mengaldo) <strong>di</strong> chi, se prega, prega<br />
“perché Dio esista”. La can<strong>di</strong>da astuzia <strong>di</strong> questa ricerca ha inventato<br />
la propria musica, che in Il franco cacciatore (1982) e Il Conte <strong>di</strong> Kevenhüller<br />
(1986) plasma l’or<strong>di</strong>ne stesso delle parole in cui è scritta. La celebre<br />
opera <strong>di</strong> Carl Maria von Weber, per la prima raccolta, e la scansione della<br />
seconda in sezioni intitolate “Libretto”, “Musica”, “Altre cadenze”, ecc.<br />
non fanno che popolare <strong>di</strong> personaggi, fondali e luci colorate il proscenio<br />
dove si svolge un monologo non rappresentabile.<br />
«Da tempo sento un forte desiderio <strong>di</strong> teatralità. Del resto i segni <strong>di</strong><br />
una simulazione teatrale ci sono tutti: dall’Io che parla, che non sono io<br />
ma un personaggio, alla forma del libro. Ma al teatro vero non arriverò<br />
mai». Perché? «Nelle mie poesie manca un vero <strong>di</strong>alogo». Perché? «Perché<br />
gli interrogativi che pongo non chiedono una replica. La risposta è<br />
lì, nella domanda».<br />
È questa l’ultima trincea del verso? «Il mio ideale sarebbe scrivere poesie<br />
<strong>di</strong> una parola sola, andare oltre la parola. Scrivere come su un pentagramma».