DIALOGO SULLA LETTERATURA - Comune di Livorno
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Giorgio, la poesia 3<br />
Si sente in qualche modo poeta ligure, nella tra<strong>di</strong>zione degli Sbarbaro, se non<br />
altro per il senso della <strong>di</strong>sperazione e della tenerezza insieme?<br />
La «linea linguistica» la inventai io, ma ha poco fondamento critico.<br />
Alludevo a certe affinità <strong>di</strong> cultura, <strong>di</strong> reazione al paesaggio, <strong>di</strong> sentire.<br />
«Che affinità <strong>di</strong> sentire», scrisse a un amico Sbarbaro, parlandogli <strong>di</strong><br />
me. Ci conoscemmo tar<strong>di</strong> (ma ci volemmo un bene immenso), quando<br />
«Millo» mi ringraziò d’un articolo <strong>di</strong>cendomi che ero l’unico ad essere<br />
entrato nel merito della sua poesia.<br />
Si può <strong>di</strong>re che mentre ne Il seme del piangere (’59) la figura <strong>di</strong> Annina,<br />
la madre, incarna il mito della giovinezza e il recupero <strong>di</strong> un mondo passato,<br />
Il passaggio d’Enea (’56), <strong>di</strong> quell’Enea che va alla ricerca <strong>di</strong> una nuova<br />
terra dove fondare la nuova città, rappresenta l’opposizione al presente, alla<br />
civiltà delle macchine, al con<strong>di</strong>zionamento generale che ci livella tutti?<br />
Nessun «mito della giovinezza», nella mia poesia, e nessun rimpianto<br />
per il passato. La ragazza Annina (non la madre) ho cercato <strong>di</strong> immaginarla<br />
nel suo tempo per renderla più viva. Il Seme è un fiore posto sulla<br />
sua tomba: un libro tutto vezzeggiativo, anche se sottilmente polemico<br />
– forse – contro la guerra ecc. Il mio Enea è quello del monumentino<br />
<strong>di</strong> Piazza Ban<strong>di</strong>era, a Genova: la piazza più bombardata. Ho visto in<br />
lui l’immagine dell’uomo d’oggi (o meglio degli anni Cinquanta) solo a<br />
dover sostenere un passato decrepito e un avvenire ancora incerto sulle<br />
proprie gambe.<br />
Oggi la sua poesia è volta a in<strong>di</strong>care qualche certezza?<br />
La mia poesia ha sempre in<strong>di</strong>cato certezza: stoica certezza. Pochi hanno<br />
saputo leggerla in questa <strong>di</strong>rezione. Afferma per negazioni. La de<strong>di</strong>zione<br />
(in senso militare <strong>di</strong> resa) sulla quale insiste il mio più recente<br />
mézigue, ha anch’essa sapore oppositivo, se non proprio aggressivo.<br />
Treno, locomotiva, stazione, viaggiare per ferrovia, che significato hanno per<br />
lei? Se si pensa ai versi del Congedo («Di questo sono certo io: / son giunto<br />
alla <strong>di</strong>sperazione / calma, senza sgomento. / Scendo. Buon proseguimento»),<br />
si può <strong>di</strong>re che in<strong>di</strong>cano il valore <strong>di</strong> transito della vita stessa, laddove Le<br />
stanze della funicolare, come ha scritto Barberi Squarotti, rappresentano<br />
«un viaggio attraverso la vita e attraverso una specie <strong>di</strong> lucido, meccanico<br />
inferno moderno»?<br />
Non saprei. Sono metafore, quelle ferroviarie, venutemi da sé. Forse il<br />
treno (che non può fermarsi né deviare quando vuole, come l’automobi-