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DIALOGO SULLA LETTERATURA - Comune di Livorno

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LUOGHI DELLA MIA VITA<br />

E NOTIzIE DELLA MIA POESIA<br />

<strong>di</strong> Giorgio Caproni, “La rassegna della letteratura italiana”,<br />

LXXXV, 3, settembre-<strong>di</strong>cembre 1981<br />

Sono targato <strong>Livorno</strong> 1912. Ho già fatto i miei bravi chilometri, dunque.<br />

Ma ho ben poco da raccontare. I fatti privati restano privati, e <strong>di</strong>rò soltanto<br />

che mi sposai nel ’38 e ho due figli: una femmina (Silvana) e un<br />

maschio (Mauro).<br />

Gli altri, sono i fatti che hanno investito intera la mia generazione, a cominciar<br />

dalla guerra, nella quale sono nato e cresciuto, e che dopo aver<br />

gravato plumbea sulla mia infanzia e prima giovinezza, ho <strong>di</strong>rettamente<br />

sofferto (e anche combattuto) dal ’39 alla Liberazione.<br />

Parlerò quin<strong>di</strong>, più che <strong>di</strong> fatti, <strong>di</strong> luoghi. Di luoghi che, secondo me,<br />

insieme con la guerra e il resto, hanno lasciato orme nel mio carattere<br />

e, qua e là, nei miei versi: e non davvero come elementi pittorici, ma<br />

anch’essi come laterizi (o metafore) <strong>di</strong> quell’umana con<strong>di</strong>zione che ho<br />

sempre cercato <strong>di</strong> esprimere.<br />

Oggi, la «mia» <strong>Livorno</strong> <strong>di</strong> allora mi appare – con la sua immensa Piazza<br />

Carlo Alberto o Voltone e i suoi larghi e rettilinei Fossi o canali, solcati<br />

da lunghi e silenziosi becolini neri – una città malata <strong>di</strong> spazio: troppo<br />

grande, cioè, per lo sperduto bambino che ero, e per il non folto numero<br />

<strong>di</strong> abitanti, pur se vivacissimi, questi, e pronti al tumulto e alle sparatorie:<br />

una <strong>Livorno</strong> ciana e scamiciata, specie dalle parti del porto, coi<br />

Quattro Mori incatenati che mi colmavano d’angoscia, o da quelle del<br />

Gigante dove il maestro Melosi, sa<strong>di</strong>camente, si <strong>di</strong>vertiva a farmi piangere<br />

sul De Amicis. Ma anche una <strong>Livorno</strong> gentile nel suo Liberty, del<br />

quale resta fra gli altri un delicato esempio, purtroppo in abbandono,<br />

l’Acqua della Salute presso la ferrovia.<br />

Di Corso Amedeo dove nacqui, accanto al Cisternone e al piccolo zoo<br />

del Parterre, ricordo soltanto gli animali chiusi in gabbia, forse perché<br />

il mistero degli animali mi ha sempre affascinato, mentre ho ben vive<br />

in mente le mattonelle bianche e nere in Via De Larderel, e la formosa<br />

«donna» <strong>di</strong> cartone nero, senza testa né braccia né gambe, che a mia<br />

madre Anna Picchi, «finissima sarta» contornata <strong>di</strong> belle e profumate<br />

signore (nonché da uno stuolo <strong>di</strong> ciarliere ragazzone: le lavoranti), serviva<br />

per le prove.<br />

Erano i tempi in cui mio padre Attilio, ragioniere, la domenica mi portava<br />

con mio fratello Pier Francesco agli Archi, in aperta campagna, o<br />

– se d’estate – ai Trotta o ai famosi Pancal<strong>di</strong>, quando ad<strong>di</strong>rittura, un po’

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