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DIALOGO SULLA LETTERATURA - Comune di Livorno

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Geografia dell’anima 73<br />

creduto nell’impossibilità del tradurre. (Aggiungerò, tra parentesi, che<br />

con Roma non sono mai riuscito a entrare in <strong>di</strong>mestichezza: non son mai<br />

riuscito a sentirla, neppure in parte, mia. Forse perché è una scarpa troppo<br />

grande – o «gran<strong>di</strong>osa» – per il mio piede. Ma è a Roma che ho fatto i<br />

miei incontri più proficui, e ho stretto le amicizie più tenaci, e questo mi<br />

ripaga a sufficienza <strong>di</strong> tutto il resto).<br />

Mi riesce estremamente <strong>di</strong>fficile, anzi impossibile, parlare della mia<br />

poesia. Il che equivarrebbe in definitiva a parlare del concetto che io ho<br />

<strong>di</strong> poesia: cioè della poesia stessa.<br />

Non ho un laboratorio mentale abbastanza attrezzato allo scopo.<br />

Forse, non sono che un modesto artigiano.<br />

Non credo che l’antico vasaio si preoccupasse troppo <strong>di</strong> <strong>di</strong>scettare con<br />

teoretica esattezza intorno alla natura e all’essenza <strong>di</strong> un vaso. Si<br />

preoccupava piuttosto <strong>di</strong> modellar vasi che fossero quanto più possibile<br />

«vasi», nel senso della bellezza oltre che in quello dell’utilità: in senso<br />

estetico e funzionale, si <strong>di</strong>rebbe oggi.<br />

Definire che cos’è la poesia non è mai stato nelle mie aspirazioni, anche<br />

se talvolta m’è capitato <strong>di</strong> dover precisare in che consista, secondo me,<br />

la <strong>di</strong>fferenza (e la relazione) tra linguaggio <strong>di</strong> normale comunicazione e<br />

linguaggio poetico. (Si veda, ad esempio, quanto <strong>di</strong>co al proposito nel II<br />

vol. dell’Antologia popolare <strong>di</strong> poeti del Novecento a cura <strong>di</strong> Vittorio Maselli<br />

e G. A. Cibotto, e<strong>di</strong>ta da Vallecchi nel 1964).<br />

La mia ambizione, o vocazione, è sempre stata un’altra: riuscire, attraverso<br />

la poesia, a scoprire, cercando la mia, la verità degli altri: la verità<br />

<strong>di</strong> tutti. O, a voler essere più modesti, e più precisi, una verità (una delle<br />

tante verità possibili) che possa valere non soltanto per me, ma anche<br />

per tutti quegli altri «mézigues» (o «me stessi») che formano il mio<br />

prossimo, del quale io non sono che una delle tante cellule viventi.<br />

Il poeta è un minatore, certo. È poeta colui che riesce a calarsi più a<br />

fondo in quelle che il grande Machado definiva las secretas galerías del<br />

alma, lì attingere quei no<strong>di</strong> <strong>di</strong> luce che, sotto gli strati superficiali, <strong>di</strong>versissimi<br />

tra in<strong>di</strong>viduo e in<strong>di</strong>viduo, sono comuni a tutti, anche se pochi<br />

ne hanno coscienza.<br />

L’esercizio della poesia rimane puro narcisismo finché il poeta si ferma ai<br />

singoli fatti esterni della propria persona o biografia. Ma ogni narcisismo<br />

cessa non appena il poeta riesce a chiudersi e inabissarsi talmente in se<br />

stesso da scoprirvi, ripeto, e portare al giorno, quei no<strong>di</strong> <strong>di</strong> luce che sono

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