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DIALOGO SULLA LETTERATURA - Comune di Livorno

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Geografia dell’anima<br />

a casa, mentre Enea la sua patria non ce l’ha più, ne deve fondare un’altra,<br />

ma non sa dove...».). E poi, <strong>di</strong> colpo, nel 1959, con Il seme del piangere,<br />

il suo stile cambia completamente, le sue poesie <strong>di</strong>ventano sempre più<br />

chiare, sempre più brevi. «A un certo punto mi sono stancato <strong>di</strong> esercizi<br />

<strong>di</strong> stile troppo complicati. Mi dava fasti<strong>di</strong>o proprio il rumore delle parole.<br />

Ora le mie poesie sono state definite “canzonette” e questo termine<br />

mi dà un certo fasti<strong>di</strong>o; perché in realtà non sono così semplici come<br />

appaiono. Comunque oggi il mio ideale è <strong>di</strong> scrivere poesie composte <strong>di</strong><br />

tre o quattro parole, non <strong>di</strong> più».<br />

Questo cambiamento nello stile accompagna un mutamento nella sua<br />

vita: una grave malattia, un’ulcera a metà degli anni Sessanta: «Stavo<br />

male, mi sentivo sempre più debole, non capivo perché, bevevo per farmi<br />

forza... È stato allora che ho scritto il Congedo <strong>di</strong> un viaggiatore cerimonioso,<br />

il lungo monologo <strong>di</strong> un uomo che deve scendere dal treno, cioè<br />

dalla vita, e che comincia col <strong>di</strong>re: «Amici, credo che sia / meglio per me<br />

cominciare / a tirar giù la valigia...».<br />

«Poi è passata anche questa. Ora sto meglio, ma sono debole, non posso<br />

più bere vino, faccio una vita molto tranquilla, in questo quartiere che<br />

si è imbarbarito sempre <strong>di</strong> più. Un tempo ero entusiasta <strong>di</strong> Roma. Poi mi<br />

è piaciuta sempre meno, mi è sembrata sempre più estranea. Oggi non<br />

vedo quasi più nessuno e ogni tanto uno che incontro mi <strong>di</strong>ce: “ma come,<br />

sei qui? Pensavo tu vivessi a Genova...”».<br />

In realtà Caproni va a Genova, <strong>di</strong> tanto in tanto, ma torna molto più<br />

spesso in Val Trebbia: «Lì sto bene, perché almeno mi sento libero dall’ossessione<br />

letteraria. I giovani se ne sono andati, sono rimasti i vecchi<br />

paesani della mia età che ormai mi considerano uno dei loro. Il negozio<br />

più vicino è <strong>di</strong>stante molti chilometri, i campi non sono più coltivati, il<br />

bosco sta invadendo tutto. Io che sono stato definito “poeta delle città”<br />

mi sto trasformando in un poeta forestale».<br />

Proprio questa poesia «forestale» (ambientata in un paesaggio che ricorda<br />

quello della Val Trebbia, una campagna piena <strong>di</strong> villaggi abbandonati)<br />

che si impone nel libro Il franco cacciatore del 1982 ha avuto un<br />

grande successo <strong>di</strong> critica. Finalmente si è parlato <strong>di</strong> Caproni come <strong>di</strong><br />

uno dei maggiori poeti italiani. Così Giovanni Raboni ha detto: «La pronuncia<br />

caproniana ci appare come una delle più originali e inconfon<strong>di</strong>bili<br />

nella poesia italiana <strong>di</strong> questo secolo». E Geno Pampaloni aggiunge<br />

a sua volta che il mondo poetico <strong>di</strong> Caproni «viene riconosciuto tra i più<br />

intensi e significativi della poesie europea».<br />

In queste ultime poesie però c’è anche un personaggio nuovo: Dio. Un

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