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DIALOGO SULLA LETTERATURA - Comune di Livorno

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Giorgio, la poesia 2<br />

appunto, appiedato. Il che, naturalmente, mi irrita. Forse soltanto una<br />

terza persona coraggiosa potrebbe metter le mani in quel mio mucchio<br />

<strong>di</strong> raccontini, e farne una scelta. Ma non ho mai pensato seriamente a<br />

tale possibilità. Le parole son tra<strong>di</strong>tore, e cerco sempre <strong>di</strong> pubblicarne<br />

(te ne accorgi dalle mie smilze raccolte) il meno possibile.<br />

Da alcuni anni fai il critico militante <strong>di</strong> un grande quoti<strong>di</strong>ano. Sei molto<br />

bravo e stimato, perché ti <strong>di</strong>stingui per una sorta <strong>di</strong> cor<strong>di</strong>ale chiarezza, che ti<br />

permette <strong>di</strong> mettere talora il <strong>di</strong>to nella piaga non <strong>di</strong>menticando mai l’uomo.<br />

Ma se parli <strong>di</strong> questa tua attività non sai celare un senso <strong>di</strong> <strong>di</strong>sappunto, <strong>di</strong><br />

stanchezza, quasi in fondo al cuore ti rimordesse qualcosa. È segno <strong>di</strong> scontentezza<br />

sul piano critico oppure significa che il compito non ti è gra<strong>di</strong>to ed<br />

ameresti scrivere altro?<br />

Hai colto nel segno: significa, appunto, che «il compito non mi è gra<strong>di</strong>to».<br />

La figura del giu<strong>di</strong>ce è una figura certamente necessaria e benemerita,<br />

ma... ma non fa per me. Spesso la critica, magari involontariamente,<br />

<strong>di</strong>venta una cattiva azione, specie se esercitata sui vivi. Non bisogna<br />

mai <strong>di</strong>menticare che quando si tocca un libro si tocca un uomo, spesso<br />

un bravo uomo anche se il libro è cattivo, o se tale ci sembra. Ora, a parte<br />

certi casi clamorosamente evidenti, sui quali del resto basta stendere<br />

il velo <strong>di</strong>screto del silenzio, si è proprio sicuri che la nostra opinione<br />

sia tanto giusta da... giustificare il cruccio che si procura a un uomo,<br />

censurando? La critica, checché se ne <strong>di</strong>ca, non è o non è ancora una<br />

scienza esatta: si fonda su un’opinione. Montaigne forse esagera quando<br />

<strong>di</strong>ce, a <strong>di</strong>sfavore della critica, che mai due uomini giu<strong>di</strong>cano allo stesso<br />

modo la stessa cosa, e che non solo è impossibile trovare due opinioni<br />

esattamente eguali in uomini <strong>di</strong>versi, ma ad<strong>di</strong>rittura due opinioni eguali<br />

in uno stesso uomo in ore <strong>di</strong>verse; Montaigne forse esagera ma certamente<br />

ha ragione quando aggiunge che «si lavora più a interpretare le<br />

interpretazioni che a interpretare le cose», e che «mentre sovrabbondano<br />

i commentatori, <strong>di</strong> autori c’è invece carestia». Perché allora insisto<br />

nello scrivere recensioni, e per giunta con crescente malumore? Me lo<br />

domando anch’io, senza trovare una risposta plausibile. Per il semplice<br />

gusto <strong>di</strong> ficcare il naso nelle cose altrui? Per puro dovere professionale?<br />

Per non venir meno agli impegni presi? L’interrogativo rimane aperto.<br />

(Forse perché un uomo veramente vivo non può esimersi del tutto dal<br />

giu<strong>di</strong>care, anche se il compito è sgra<strong>di</strong>to? La vogliamo metter così?).

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