26 marzo - aprile - maggio <strong>2012</strong>
di Mauro Sozzi Vogliamo esaminare un po’ più da vicino il “caso Lucchini”. Riesaminarlo, proprio in considerazione del tira e molla che si sta facendo, prima di giungere, almeno si spera, a una sua decente risoluzione. Si dice che si sta cercando un compratore, si dice che si stia provando ad interessare al massimo il governo: insomma si dice, si dice… però il tempo sta passando e “Betta non si marita”. Per contro, a questa crisi che tocca, in crescendo, il mondo, l’Europa e l’Italia si sta verificando, nel contesto dell’acciaio, un forte aumento della produzione che supera la quantità che il relativo mercato richiede. Secondo noi, è molto significativo rilevare le quantità prodotte dai paesi sviluppati, tra i principali produttori di acciaio al mondo, e le quantità invece prodotte dai paesi in via di sviluppo o, come si dice, emergenti, nei due differenti periodi degli anni 1995 e 2010. Paesi sviluppati: (Usa, Germania, Francia, Inghilterra, Italia), anno 1995, tonnellate 200 milioni; anno <strong>2012</strong>, tonnellate 209 milioni. Paesi emergenti: (Cina, India, Brasile, Corea del Sud), anno 1995, tonnellate 208 milioni; anno <strong>2012</strong>, tonnellate 757 milioni. Si rileva così, che i paesi sviluppati hanno avuto un incremento del 4,5%, mentre in quelli in via di sviluppo l’incremento è stato del 263,9%. Questi paesi emergenti, così come tanti altri di minore importanza, faranno salire ancora la produzione con l’aggravio, tra l’altro, per noi, che potranno offrire al mercato anche prezzi più convenienti. Ciò in conseguenza del costo inferiore della loro manodopera, dell’adozione, in parte di cicli operativi più evoluti: quali quelli da forno elettrico che permettono anche Lucchini: la grave crisi dell’acciaio Quel tira e molla sulla pelle di tutti una riduzione notevole del personale. Questa situazione favorevole gli permette, di avere una forte penetrazione nel mercato per la maggiore facilità di piazzare i loro prodotti (prezzi inferiori). Infatti, nel nostro Paese si è registrato un forte aumento delle importazioni di prodotti siderurgici, provenienti da paesi extracomunitari che dal 12% del 1994 sono salite al 30% e più nel 2010. Se poi teniamo conto che, da noi, la richiesta di prodotti in acciaio non è affatto aumentata, va da se, che quella quantità entrata, ha creato più di un problema ai nostri produttori. C’è pure lo sviluppo tecnologico, che può essere definito rampante e gioca un ruolo importante. Ne è chiara dimostrazione l’andamento delle modalità di fabbricazione dell’acciaio, modalità che nel 1990 interessavano, nel mondo, per l’80% il ciclo integrale e per il 20% il forno elettrico. Oggi, invece, si utilizza già per il 60% l’elettrico e per il 40% l’integrale. Si sta sviluppando, in maniera considerevole anche il trattamento di riduzione diretta del minerale, dando luogo ad una utilizzazione immediata dello stesso forno elettrico. Comunque, il ciclo da forno elettrico consente, già ora, ri- spetto all’integrale, anche un risparmio energetico del 40% circa. Persino in Italia, il ciclo elettrico ha un notevole vantaggio quantitativo sul ciclo integrale. I circa 30 milioni/anno di tonnellate che si producono, sono, per oltre i due terzi, da forno elettrico. Sono distribuite in almeno venticinque acciaierie, le cui dimensioni e, appunto, il relativo ciclo permettono una dimestichezza operativa che uno stabilimento a ciclo integrale non può avere; ricavandone un conseguente vantaggio per il loro facile adeguamento all’andamento del mercato. In Italia sono rimasti, dopo la chiusura delle acciaierie di Bagnoli e Cornigliano, solo due stabilimenti a ciclo integrale: quello Lucchini di Piombino, e quello Riva di Taranto. La loro capacità produttiva è, rispettivamente, di circa 2 e 11 milioni di tonnellate/anno. I morsi, della forte crisi attuale, si sono fatti e si stanno facendo sentire: anche Taranto, infatti, marcia con solo tre dei cinque altoforno di cui dispone. Contiene un po’ la crisi poiché opera nel settore dei grossi tubi, dove è veramente all’avanguardia e non risente molto dell’attuale situazione negativa. Non è così, purtroppo per Piombino, la cui produzione, sia dimensionale che qualitativa, è in concorrenza, per buona parte, con quella dei produttori da forno elettrico. L’esposizione di cui sopra, ci è parsa interessante per fare emergere buona parte delle varie cause che, secondo noi, creano allo stabilimento Lucchini grosse difficoltà, ponendolo in una situazione preoccupante. Queste difficoltà, a nostro avviso, rendono il “caso” una questione di 27 “lana caprina”. Sia chiaro che l’obiettivo a cui si deve mirare è quello di mantenere lo stabilimento in vita, al fine di far sì che non venga a mancare il lavoro per le relative circa duemila maestranze. Dobbiamo anche guardare in faccia la realtà: è difficile trovare chi rilevi lo stabilimento. E ciò non è affatto incomprensibile dato che i debiti accumulati non possono far pensare che sia un buon investimento, anche in conseguenza di come sta andando il relativo mondo dell’acciaio. Però, alla difficoltà di trovare un privato, ci pare anche difficile intravedere un valido interessamento da parte dello Stato. Un interessamento, come sarebbe logico aspettarsi in una situazione del genere dove una notevole quantità di persone rischia di perdere il lavoro. Chissà… potrebbe anche essere, e Dio non voglia, che questo accada proprio per la difficoltà che il “caso” presenta e sia proprio per questo che assistiamo ad una latitanza di chi, invece, dovrebbe trovarsi in “prima linea”, per sbrogliare, in un modo o nell’altro, la “matassa”. È necessario che la risoluzione avvenga quanto prima, perché c’è in gioco una notevole parte dell’economia del territorio. Si devono avere le idee chiare, oggi, per poter fare le scelte giuste per il domani. La situazione della fabbrica si aggrava sempre più. Idee chiare per le scelte del domani