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Panorama - Edit

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Lo scorso maggio sono stati attribuiti i Premi della<br />

XLIV edizione del concorso Istria Nobilissima,<br />

che hanno dato una nuova conferma dei potenziali<br />

creativi del gruppo nazionale italiano nei campi<br />

dell’arte e della cultura. Ritenendo che di tali potenziali<br />

debba fruire il maggior numero di lettori, nelle<br />

pagine riservate alle letture “<strong>Panorama</strong>” propone le<br />

opere a cui siano stati attribuiti premi o menzioni.<br />

Nella categoria “Letteratura - Premio Osvaldo Ramous”<br />

alla sezione “Prosa in lingua italiana” la giuria<br />

ha assegnato il secondo premio a ROSSANA BU-<br />

BOLA di Buie per i due racconti dal titolo “Due fiumi<br />

e due Lune” di cui pubblichiamo la seconda parte.<br />

Questa la motivazione: “Due racconti che si accodano<br />

con il titolo, scorrevoli, linguisticamente corretti<br />

che si avvalgono di un buon rapporto tra parte narrativa<br />

e dialogica, belle atmosfere, a tratti surreali. Nel<br />

34 <strong>Panorama</strong><br />

Letture<br />

«Due fiumi e due Lune»<br />

Non mi sono accorta che ha smesso di piangere e si è alzato.<br />

“Scusami” gli dico e lo guardo dal basso, inerme come<br />

una bambina. Mi tende la mano e mi tira, il mio corpo salta<br />

sulle gambe come un grillo. “Non sono figlio di Ida” mi dice<br />

con un filo di voce. I suoi occhi non sono gonfi, sembra non<br />

abbia versato una lacrima, è ancora bellissimo. “Parlami di<br />

Giovanni.” mi dice con voce triste. Forse è un amico di mio<br />

cugino. Continuo a fare ipotesi che non hanno senso. Alla<br />

fine rispondo per cortesia, senza pormi troppe domande.<br />

“Giovanni è il mio cugino preferito. Io sono la più piccola<br />

della famiglia, lui il più vecchio dei figli di mia zia, abbiamo<br />

10 anni di differenza. Giovanni mi ha sempre coccolato,<br />

e mi vizia ancora di tanto in tanto. Da bambina mi portava<br />

in giro in carriola e mi scaricava sul prato come un sacco di<br />

patate e io ridevo tantissimo. Ora siamo cresciuti, lui ha quarant’anni.”<br />

“Cosa fa nella vita?”<br />

“Fa il meccanico, ha un’officina in un paese vicino. Ha<br />

un figlio piccolo e una moglie molto simpatica. Non ci vediamo<br />

più tanto spesso, io non vivo qui e negli ultimi tempi<br />

ci vengo veramente di rado. Sai, il lavoro, gli amici, non<br />

ho tempo.”<br />

“E suo padre com’è?”<br />

Non so perché mi chiede di mio zio, è un argomento che<br />

non amo molto. La mia voce si fa dura:“Mio zio è morto<br />

molti anni fa. Niente di triste, era un alcolizzato, credo sia<br />

stato un sollievo per tutti, soprattutto per mia zia.”<br />

Faccio una pausa:“Ricordo quel bastardo tirare un calcio<br />

al gatto solo perché voleva saltargli in grembo o rispondere<br />

male a mia zia solo perché, secondo lui, la minestra quel<br />

giorno faceva schifo. Ho molti ricordi brutti di quell’uomo,<br />

mai un sorriso, mai un grazie, un “per favore”. Al suo funerale<br />

nessuno era triste e mentre gli uomini ricoprivano la<br />

cassa di terra, mia zia lasciò il cimitero. Quando la raggiungemmo<br />

a casa, nell’orto, c’era un falò. Non stava bruciando<br />

solo i vestiti dello zio, ma anche il suo ricordo, la sua anima<br />

era finalmente arsa al rogo. Da quel giorno mia zia tornò a<br />

secondo racconto in particolare emerge il tratteggio di<br />

un mondo arcaico considerato dall’ottica di una giovane<br />

che desidera altro dalla vita, il raggiungimento<br />

di un sogno...”.<br />

sorridere.” Non so perché ho raccontato questo a Gianni,<br />

mi è venuto spontaneo. Sembrerò crudele a parlare così, ma<br />

credo che certa gente renda felici gli altri solo dopo morta.<br />

Mi viene in mente che da piccola ho visto lo zio strattonare<br />

zia Ida perché aveva raccolto dei fiori da portare al cimitero,<br />

quell’uomo non aveva il senso della compassione e della<br />

carità. Nella mia mente si apre una finestra di luce biancastra.<br />

Tornano immagini lontane, parole smozzate sussurrate<br />

tra mia madre e mia zia dietro la casa o sulle scale, per<br />

non farsi sentire. Rivedo lividi e lacrime, poi c’è il vuoto, il<br />

buio, c’è un periodo senza ricordi, poi, d’un tratto, risplende<br />

il sole. Gianni mi guarda. Ha l’espressione di chi non<br />

può cambiare le cose, ma non si è ancora rassegnato del tutto.<br />

Ora lo vedo davvero, riconosco quell’espressione, è la<br />

stessa di Giovanni quando era stato costretto a uccidere la<br />

prima gallina perché suo padre voleva fare di lui un uomo.<br />

Non si era rifiutato, ma poi aveva pianto, vomitato e insieme,<br />

di nascosto, avevamo seppellito la povera bestiola dietro<br />

la casa, tra il noce e la cisterna.<br />

“Siamo arrivati. Quello è l’agriturismo. Che fai, entri?”<br />

Gianni è insicuro. Tentenna. Ha gli occhi di nuovo<br />

sull’orlo del pianto. Non ho capito nulla, ma ho capito<br />

troppe cose. Sento il suo odore, sa di violetta. “C’è qualcosa<br />

di specifico che devo dirle?”<br />

Gianni pensa. “Dille che l’ho sempre vista. E ho sempre<br />

cercato di parlarle e ho sempre tenuto stretti i suoi fiori e mi<br />

sono riscaldato con i suoi lumini. Dille che le anime non<br />

vogliono stare per la strada, preferiscono rimanere coi propri<br />

cari, a casa. E falle gli auguri di buon compleanno.”<br />

“Non mi crederà.”<br />

“Probabile.”<br />

Mi rendo conto di essere davanti a un fantasma, non<br />

ho paura. Mia madre dice che non bisogna aver paura dei<br />

morti, ma dei vivi. Penso al rottame di motocicletta nascosto<br />

da sempre nel granaio e il cerchio comincia a prendere<br />

forma. “Come sei morto?” gli chiedo.

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