IL LAVORO SUBORDINATO di Carlo Russo - Shop WKI
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28<br />
Sezione prima - La costituzione del rapporto <strong>di</strong> lavoro<br />
ai fini della qualificazione del rapporto <strong>di</strong> lavoro si ritengono applicabili le<br />
norme generali sull’interpretazione del contratto e, quin<strong>di</strong>, anche la norma<br />
<strong>di</strong> cui all’art. 1362 c.c., che postula l’indagine sulla comune intenzione delle<br />
parti attraverso la valutazione del loro comportamento complessivo<br />
anche posteriore alla conclusione del contratto.<br />
Come è agevole intuire all’operatore del <strong>di</strong>ritto, tale indagine si rende,<br />
normalmente, necessaria nel momento in cui si rilevino delle incongruenze<br />
<strong>di</strong> fatto tra il nomen iuris attribuito dalle parti al contratto <strong>di</strong> lavoro tra le<br />
stesse instaurato e le concrete modalità <strong>di</strong> svolgimento del rapporto medesimo:<br />
in tali casi, la qualificazione del rapporto passa attraverso la ricerca<br />
della volontà reale ed effettiva delle parti, non rilevando la definizione formale<br />
che le parti hanno dato al rapporto (Cass. civ., sez. lav., 6.2.2001, n.<br />
1666).<br />
Ciò, evidentemente, in quanto tale volontà effettiva si è manifestata all’esterno<br />
attraverso una serie <strong>di</strong> elementi che consentono al giu<strong>di</strong>cante <strong>di</strong><br />
ritenere prevalente il reale contenuto del rapporto rispetto alla qualificazione<br />
operata dalle parti (Cass. civ., sez. lav., 5.3.2001, n. 3200; Cass. civ.,<br />
sez. lav., 18.4.2001, n. 5665; Cass. civ., sez. lav., 27.10.2003, n. 16119).<br />
Nel senso appena esposto si è pronunciata la Suprema Corte con una<br />
sentenza molto recente, nella quale è stato affermato il principio secondo<br />
il quale ‘‘il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto’’<br />
costituisce ‘‘elemento necessario non solo ai fini della sua interpretazione,<br />
ma anche ai fini dell’accertamento <strong>di</strong> una nuova e <strong>di</strong>versa volontà<br />
eventualmente intervenuta nel corso dell’attuazione del rapporto e <strong>di</strong>retta a<br />
mo<strong>di</strong>ficare (...) ad<strong>di</strong>rittura la stessa natura del rapporto lavorativo inizialmente<br />
previsto’’ (Cass. civ., sez. lav., 13.3.2007, n. 5826).<br />
2. I criteri <strong>di</strong>stintivi del lavoro subor<strong>di</strong>nato rispetto al lavoro autonomo<br />
ed al lavoro gratuito<br />
Come già esposto, secondo l’art. 2222 c.c. è lavoratore autonomo colui<br />
che si obbliga a compiere verso corrispettivo un’opera o un servizio con<br />
lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo <strong>di</strong> subor<strong>di</strong>nazione.<br />
Benché la <strong>di</strong>stinzione tra lavoro autonomo e lavoro subor<strong>di</strong>nato sia meno<br />
agevole <strong>di</strong> quanto si possa pensare, è comunque indubbio che il principale<br />
elemento che caratterizza il primo tipo <strong>di</strong> rapporto è il concetto <strong>di</strong><br />
‘‘autonomia’’ definibile, in negativo, come l’assenza della subor<strong>di</strong>nazione<br />
nella accezione <strong>di</strong> cui al precedente punto 1).<br />
Ed infatti, un rapporto <strong>di</strong> lavoro si può qualificare come autonomo<br />
quando un soggetto si assume l’obbligo <strong>di</strong> effettuare una certa prestazione<br />
in favore <strong>di</strong> un altro soggetto, ma senza il vincolo della subor<strong>di</strong>nazione e