-24) Il fallimento, sempre a Pozzuoli, delle prove generali, negliultimi anni ‘80, di quello che sarebbe poi stato <strong>il</strong> <strong>complotto</strong>contro i miei pignoramenti di massa.Sul golfo di Pozzuoli, da Nisida a Capo Miseno, un’area distraordinaria importanza paesaggistica ed archeologica, covavada decenni un progetto che richiedeva l’assenza di controllogiudiziario.Progetto che – come avrei scritto in uno dei tanti documentiche pubblicai per farlo fallire, peraltro riuscendoci (almenofinora) – avrebbero tentato di realizzare con ogni mezzo,con la copertura del s<strong>il</strong>enzio dei media, attraverso i voti dellamaggioranza del Consiglio Comunale di Pozzuoli, ai cuicomponenti furono promessi ingenti vantaggi.Ingenti ma credo inferiori a quelli promessi, per tacere, alParlamento: unica istituzione che avrebbe mai potuto e dovutodecidere una cosa importante come quella.Parlamento che, resistendo alla marea di volantini di cui loinondavo sistematicamente, era <strong>il</strong> 1989, fu capace di fingeredi non accorgersi della lotta micidiale che portai avanti permesi nella piazza principale e nelle strade della fatiscentissimaPozzuoli post bradisismica con l’aus<strong>il</strong>io di mia moglie Loredanae di alcuni altri amici.Si trattava del progetto del quale, avevo scritto in un volantino:«.. Quando la disperazione fosse stata portata al puntoche qualunque proposta sarebbe andata bene, sarebbe arrivatoGiovanni Agnelli con <strong>il</strong> suo paradiso prefabbricato e calatodall’alto, e avrebbe trasformato <strong>il</strong> golfo incantato – i cui abitatorierano stati tanto civ<strong>il</strong>i da dedicare un mercato a Serapide,una divinità diversa dalle loro, solo per solidarietà verso gliospiti egiziani, che in quelle acque ammainavano le vele delleloro mercanzie – in una nuova versione della costa adriatica,dove noi saremmo stati camerieri e avremmo preso le mance,e le ragazze sarebbero cresciute col sogno di accalappiare, conl’ardore dei loro occhi neri, un principe azzurro che le portassea vivere in un condominio torinese».112
Controllo giudiziario così sgradito che qualche bravo magistrato,come <strong>il</strong> giovane Giorgio Pica o, tempo prima, l’amicoGennaro Del Tufo – in verità impegnato anche come pittore,oltre che come giudice, ma a suo modo ben più presente eumano rispetto alle cose di giustizia di altri suoi colleghi – furonoisolati al punto da indurli alla fine ad andar via.In tutto ciò, una volta, credo verso la fine degli anni ‘80, proprioa Pozzuoli, si accumularono alcuni miei pignoramentipresso terzi.Pignoramenti tutti positivi che lungo i mesi divennero moltecentinaia, e di cui non riuscivo a farmi fissare l’udienza di assegnazione,finché, di fronte al fatto che cominciavo a vederedoppio dall’ira, <strong>il</strong> giudice dell’esecuzione pensò finalmentebene di provvedere.Un giudice anche del quale voglio tacere <strong>il</strong> nome perché luipure ho già troppo citato.Provvedette, dicevo, dislocando le udienze in varie date laprima delle quali a partire da dopo forse un anno, un anno emezzo; non ricordo più.Sempre più adirato mi recai allora a chiedere una soluzioneal cortese e disponib<strong>il</strong>e dottor Raffaele di Fiore, all’epoca Presidentedel Tribunale di Napoli, che mi ascoltò molto seriamentee, sospirando, mi assicurò che, quantomeno, avrebbefatto <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e.Non so cosa, ma qualcosa dovette accadere, poiché pochigiorni dopo ebbi la piacevolissima sorpresa di apprendereda Lello Masullo e Antonio Petr<strong>il</strong>lo, i cari amici miei addettialla cancelleria, che, con un provvedimento addirittura dellostesso di Fiore, i pignoramenti erano stati scardinati e assegnatiad altro giudice: <strong>il</strong> giovane avvocato Roberto Buonanno,all’epoca vice pretore onorario.Mi recai allora a conferire con Roberto, gli spiegai la cosa, glievidenziai che c’erano le somme del debitore bloccate senzache i creditori le potessero riscuotere, e gli chiesi pertanto lafissazione di un’udienza a breve.113
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