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i nostri recapiti utili - Campo de'fiori

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24<strong>Campo</strong> de’ fioriCome eravamoMennea la freccia del Sude i velocisti… di paesedi AlessandroSoliEra il mio idolo,sostituiva nelmio cuore unaltro grandedell’atletica, quelLivio Berruti che avevovisto da tredicenne, vincerei 200 metri all’Olimpiadedi Roma, e che miaveva fatto innamoraredefinitivamente di quella specialità che sichiama 100 e 200 mt piani. Sicuramente neavrò già parlato, ricordando i miei trascorsida velocista di “paese”, ma colgo l’occasionedella sua scomparsa, per rinverdire e perchéno rivivere quei momenti, così lontanida miei attuali 92 kg. Non avevamo mezzi,non avevamo materiali, non avevamo piste,insomma fare atletica qui a Civita era impossibile.Fortunatamente c’era il Madami,lo storico campo di calcio, dove il buon StradonicoRomani (quello che mi ripeteva chenon ero tagliato per il calcio, perché troppomagro e veloce, ma privo dei fondamentali)custode dell’impianto, riusciva a strapparele erbacce e renderlo adatto al gioco più popolaredi quegli anni. Poi, grazie all’impegnodel rag. Dino Scarpetta, fu fondata una societàdi Atletica Leggera la “Renato Togni”,così arrivarono le tute, gli attrezzi, e arrivòanche un allenatore: Remo Berluti, finanzieredi belle speranze, che raccolse intornoa sé questi pionieri spinti da quella passionecosì diversa ma affascinante e mise a disposizionetutto il suo tempo libero per insegnaresegreti e tecniche relative ad ogni<strong>Campo</strong> Madami - Civita Castellana. 1963.Sandro Soli taglia per primo il traguardo.specialità. Ricordo ancora le sue parole, rivolteai velocisti, quindi a me in particolare:“Quando esci dai blocchi,tieni il busto inclinatoil più possibile, devi quasi cadere inavanti, sbilanciandoti per i primi venti trentametri, poi pian piano ti riporti in posizioneeretta e sfrutti al massimo la tua velocità,trattieni il respiro, perché nei 100 non hai iltempo per respirare, poi gli ultimi metri ancorain avanti col busto a tagliare il traguardo”.Parole sante, parole vere,specialmente quelle di trattenere il respiro,io veramente eccellevo più sui 200 metri, infattidicevo a Berluti, che quando arrivavoai cento, mi sentivo ancora di dare tutto mestesso, insomma non ero stanco. Nonavendo una vera pista a disposizione, ci arrangiavamo,facevamo curve approssimativesu quel rettangolo dove ciuffi digramigna ostacolavano il ritmo della corsa.I blocchi erano in legno e venivano piantatisul terreno battendo con forza il martellosull’asse che li regolava, quelli caricati amolla sarebbero arrivati dopo, mentre lescarpe chiodate, (che noi velocisti avevamocon i chiodi più lunghi adatti alla pista interra rossa) erano già in nostra dotazione.Conservo ancora come una reliquia le mie“Puma” dai chiodi spropositati che mi hannovisto gareggiare lontano dal gibboso Madamisu piste in terra rossa, come lo Stadiodei Marmi a Roma, o al Santa Giuliana diPerugia, dove veramente ti sentivi volare. Aproposito di chiodi, ricordo appunto unastaffetta 4x100 a Roma, quando il sottoscrittouscendo dalla terza frazione, quella50 anni dopo ancora con le mitiche Puma...ma ormai appese al collo.dell’ultima curva (a me riservata in quantoduecentometrista), al momento del passaggiodel testimone, mi trovo il compagnoquasi fermo, infatti non era partito, rischiandol’impatto, riuscii a fare il cambio,ma i suoi chiodi sfiorarono la mia tibia; piccolaferita, tanto dolore, ma terzo posto,dietro al CUS ROMA e alla LIBERTAS SANSABA. Già quella piccola società di provincia,riusciva a farsi onore, chissà se avessimoavuto gli impianti e i mezzi, forsequalcuno di noi, sarebbe “esploso”. Mi sonoriproposto di non fare nomi in questo pezzo,ma gioco forza, debbo menzionare l’amicoAlberto Sacchi, che allora, come oggi, fadella corsa la sua ragione di vita. Lui chemilitare nell’Aeronautica, continuò il progetto,e attuò il sogno di fare atletica agrandi livelli, ma lui è sempre stato un mezzofondistae fondista, e non me ne vorrà seriprendo a parlare di sprinter. E riprendo daPietro Mennea, raccontandovi un episodio,che forse nessuno sa, o ricorda. Fine anni‘70 primi ‘80, non ricordo con esattezza, miosuocero Carlo Conti, soffriva a causa del suomestiere di barista di infiammazione alnervo sciatico. Ci dissero che a Fonte Colombo,c’era un frate francescano, che incidevala vena all’altezza del malleolo,spurgandola ed isolandola dal nervo sciaticoche riprendeva la sua funzione naturale liberandoil paziente dal dolore. Ero presenteanch’io a Fonte Colombo; piede di Carlonella bacinella contenente acqua, incisionecol bisturi, come detto sopra, rigagnolo disangue, e come per miracolo, mio suocerodi nuovo in forma. Ma che c’entra Mennea?C’entra c’entra, infatti quel frate ci confidòche qualche giorno prima, anche il grandePietro Mennea, (che allora correva perl’Atletica Rieti) non riusciva più ad allenarsie a correre perché affetto da sciatalgia, eravenuto da lui con il buon Vittori suo allenatore,edaveva subito lo stesso trattamento.Lessi poi la notizia sui giornali, perché Mennearecuperò pienamente e continuò a vincere.

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