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Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Nicoletta Cantore
Lo sguardo lento di una fotografia poetica
di Daniela Pronestì / foto Nicoletta Cantore
Il segreto di una “buona” fotografia non risiede nella qualità
dello strumento utilizzato e ancor meno nel soggetto immortalato.
Può sembrare un paradosso ma tutto ciò che
di buono c’è in uno scatto va cercato all’esterno dell’immagine,
nell’occhio del fotografo, nel modo in cui ha saputo filtrare la realtà
facendosi guidare dalla propria sensibilità. In quest’ottica,
la fotografia non è affatto un freddo documento della realtà ma
un’interpretazione che, pur non potendo intervenire sulla verità
del dato oggettivo – ad eccezione ovviamente di modifiche apportate
con tecniche di fotoritocco –, riesce però ad attribuire
alle cose un nuovo significato. Questa premessa serve ad introdurre
il lavoro di Nicoletta Cantore, pittrice per necessità, fotografa
per scelta. Infatti, mentre alla pittura si è avvicinata quando era
ancora adolescente, spinta dal bisogno di assecondare una naturale
quanto precoce inclinazione, alla fotografia è arrivata più
avanti, con la maturità di un’artista che, volendo condurre la propria
ricerca verso nuove mete, ha scelto di trasferire in fotografia
l’esperienza maturata dipingendo. Non è stato quindi soltanto un
passaggio da un linguaggio ad un altro, ma un ben più complesso
travaso di valori estetici e criteri compositivi dalla tela dipinta
all’immagine fotografica. Questo non significa che la Cantore
non abbia fin da subito riconosciuto e valorizzato le specificità
espressive della fotografia, a partire ad esempio dalla possibilità
di servirsene per cimentarsi in nuovi soggetti. È altrettanto vero
però che l’essere anche pittrice ha influito non poco sia sul suo
modo di osservare la realtà che di raccontarla attraverso le im-
magini, tanto da porre in atto una vera e propria sintesi tra questi
due diversi sistemi di rappresentazione. Un esempio in tal senso
è dato dalle foto scattate lungo le strade cittadine, nelle quali
si ha l’impressione che lo sguardo dell’autrice si muova con lentezza
rispetto al procedere frenetico del contesto urbano. Mentre
tutto il resto intorno si sposta con velocità, il suo sguardo si
concede il tempo di osservare le cose con attenzione: si posa su
palazzi, monumenti e persone, si allunga nelle prospettive strette
dei vicoli, s’interroga su cosa far rientrare nel campo visivo e
cosa invece escludere. Solo dopo aver considerato tutti questi
aspetti – in un processo tutt’altro che lento ma condensato nei
tempi brevi di un occhio sensibile e ormai esperto –, può finalmente
scattare la foto, consapevole del fatto che, malgrado tanta
attenzione, andrà incontro quasi certamente a degli imprevisti:
un dettaglio in più o uno in meno, una luce sfocata o uno sfondo
poco nitido, tanto per fare degli esempi. Del resto, si sa: la realtà
è sempre in vantaggio sul fotografo che tenta di catturarla. Ma
né la forza comunicativa di una fotografia né il suo valore poetico
dipendono dalla precisione di tutti questi particolari. Quello che
conta, negli scatti di Nicoletta Cantore, è che alla fine l’immagine
parli a chi l’osserva con voce piena di emozione; la stessa emozione
che sovrintende e guida il suo sguardo attraverso l’obiettivo,
attribuendo alla tecnica un ruolo mai predominante, se non
addirittura secondario. Quanto basta a definire queste fotografie
“riuscite” nella misura in cui rifuggono dall’esattezza dello scatto
tecnicamente perfetto per concentrarsi invece sulla capacità
Atene