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La Toscana nuova Luglio-Agosto 2022

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Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Nicoletta Cantore

Lo sguardo lento di una fotografia poetica

di Daniela Pronestì / foto Nicoletta Cantore

Il segreto di una “buona” fotografia non risiede nella qualità

dello strumento utilizzato e ancor meno nel soggetto immortalato.

Può sembrare un paradosso ma tutto ciò che

di buono c’è in uno scatto va cercato all’esterno dell’immagine,

nell’occhio del fotografo, nel modo in cui ha saputo filtrare la realtà

facendosi guidare dalla propria sensibilità. In quest’ottica,

la fotografia non è affatto un freddo documento della realtà ma

un’interpretazione che, pur non potendo intervenire sulla verità

del dato oggettivo – ad eccezione ovviamente di modifiche apportate

con tecniche di fotoritocco –, riesce però ad attribuire

alle cose un nuovo significato. Questa premessa serve ad introdurre

il lavoro di Nicoletta Cantore, pittrice per necessità, fotografa

per scelta. Infatti, mentre alla pittura si è avvicinata quando era

ancora adolescente, spinta dal bisogno di assecondare una naturale

quanto precoce inclinazione, alla fotografia è arrivata più

avanti, con la maturità di un’artista che, volendo condurre la propria

ricerca verso nuove mete, ha scelto di trasferire in fotografia

l’esperienza maturata dipingendo. Non è stato quindi soltanto un

passaggio da un linguaggio ad un altro, ma un ben più complesso

travaso di valori estetici e criteri compositivi dalla tela dipinta

all’immagine fotografica. Questo non significa che la Cantore

non abbia fin da subito riconosciuto e valorizzato le specificità

espressive della fotografia, a partire ad esempio dalla possibilità

di servirsene per cimentarsi in nuovi soggetti. È altrettanto vero

però che l’essere anche pittrice ha influito non poco sia sul suo

modo di osservare la realtà che di raccontarla attraverso le im-

magini, tanto da porre in atto una vera e propria sintesi tra questi

due diversi sistemi di rappresentazione. Un esempio in tal senso

è dato dalle foto scattate lungo le strade cittadine, nelle quali

si ha l’impressione che lo sguardo dell’autrice si muova con lentezza

rispetto al procedere frenetico del contesto urbano. Mentre

tutto il resto intorno si sposta con velocità, il suo sguardo si

concede il tempo di osservare le cose con attenzione: si posa su

palazzi, monumenti e persone, si allunga nelle prospettive strette

dei vicoli, s’interroga su cosa far rientrare nel campo visivo e

cosa invece escludere. Solo dopo aver considerato tutti questi

aspetti – in un processo tutt’altro che lento ma condensato nei

tempi brevi di un occhio sensibile e ormai esperto –, può finalmente

scattare la foto, consapevole del fatto che, malgrado tanta

attenzione, andrà incontro quasi certamente a degli imprevisti:

un dettaglio in più o uno in meno, una luce sfocata o uno sfondo

poco nitido, tanto per fare degli esempi. Del resto, si sa: la realtà

è sempre in vantaggio sul fotografo che tenta di catturarla. Ma

né la forza comunicativa di una fotografia né il suo valore poetico

dipendono dalla precisione di tutti questi particolari. Quello che

conta, negli scatti di Nicoletta Cantore, è che alla fine l’immagine

parli a chi l’osserva con voce piena di emozione; la stessa emozione

che sovrintende e guida il suo sguardo attraverso l’obiettivo,

attribuendo alla tecnica un ruolo mai predominante, se non

addirittura secondario. Quanto basta a definire queste fotografie

“riuscite” nella misura in cui rifuggono dall’esattezza dello scatto

tecnicamente perfetto per concentrarsi invece sulla capacità

Atene

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