Il Salvagente n° 36 - Modenacinquestelle.it

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12 Lo stabilimento serbo, inaugurato lo scorso aprile dalla Fiat a Kragujevac che ha accolto l’intera produzione della nuova Cinquecento e su cui il Lingotto ha investito circa un miliardo, è l’emblema della delocalizzazione. Eppure quella di Marchionne è solo una fra le tantissime imprese che hanno deciso di spostare la produzione fuori dal confine. Se l’estate è stata calda, quello che si annuncia è un caldissimo autunno, caratterizzato dalla peggiore crisi industriale dell’ultimo ventennio. Sono 500mila i lavoratori che, a oggi usufruiscono della cassa integrazione e che, in media, hanno visto diminuire il proprio reddito di circa 4mila euro. Se la zona del Sulcis è gravata da due situazioni delicatissime, l’Alcoa di Portovesme e la vicina Euroalluminia, le crisi non risparmiano nessuna regione, Tornano a lavorare in questi giorni le lavoratrici ex Golden Lady, assorbite dalla Silda Invest, dopo esser state 3 anni ferme in seguito alla scelta della Omsa di delocalizzare la produzione in Serbia. Ma per una situazione critica che si risolve (relativamente) altre se ne creano. Sono 150 i tavoli aperti presso il ministero dello sviluppo economico e vedono coinvolti 180mila lavoratori: 30mila gli esuberi previsti. Cifre che fanno tremare. Si va da colossi come Fincantieri, 1.300 esuberi su 9mila dipendenti, all’acciaieria Lucchini di Piombino con 1.943 lavoratori in contratto di solidarietà. Anche nella Saeco, storica azienda di Gaggio Montano che produce macchinette per il caffè, dal 2009 in mano alla multinazionale Philips, si respira voglia di fuga all’estero con un rischio esubero per 200 operai. Costi di lavoro più bassi, meno tasse, minori tutele sindacali: sono gli elementi che fanno dell’Est l’eldorado dell’industria in crisi. Insomma, il lavoro si è internazionalizzato, ma non esattamente nel senso che intendeva Marx. Consumi A u t u n n o n e r o Il Salvagente 13-20 settembre 2012 DELOCALIZZAZI I furbetti della Prendi i soldi e scappa. C’è anche questo nelle tante storie di delocalizzazione. Come nel caso della multinazionale Videocon di Anagni, che produceva ed esportava televisori in tutto il mondo. L’azienda, controllata da un gruppo industriale indiano era stata travolta dalla crisi ed è fallitadopo 7 anni di cassa integrazione lasciando senza lavoro 1.300 perso- Livia Parisi ne nonostante la politica di incentivi messa in campo dalla Regione Campania per l’innovazione e lo sviluppo tecnologico. Non molto diversa, se non per il fatto che forse i conti non giustificano l’esodo, la situazione della Manuli, multinazionale italiana che produce tubi d’acciaio ricoperti in gomma che servono per il trasporto di olio idraulico. Dopo un flori-
Il Salvagente 13-20 settembre 2012 ONI col trucco crisi do periodo, reso ancor più florido dai fondi della Cassa del Mezzogiornodi cui ha beneficiato dopo essersi trasferita da Milano ad Ascoli Piceno, intorno al 2003 l’azienda ha iniziato a intraprendere il cammino della delocalizzazione. Parte della produzione è migrata dapprima in Repubblica Ceca e Polonia poi, dal 2005, ancora più a est, in Cina. Ora, il personale è ridotto all’osso, dai 1.000 addetti degli inizi del 2000 si è arrivati a 80 persone, ma la bat- ConsumiAutunno nero Chiudono, spesso dopo aver utilizzato soldi pubblici, e vanno all’estero. Lasciando migliaia di disoccupati in Italia. taglia continua perché l’a zienda ha annunciato l’intenzione di portare quel che resta della produzione italiana in Polonia. Lo stabilimen- to che a regime impiegherà oltre 150 persone, sorgerà a Radomsko, nel distretto di Lodz, anche grazie - udite udite! - a incentivi europei. E non certo per motivi di crisi, come ha denunciato l’Usb alla guardia di finanza. “La Manuli, che gestisce anche le terme di Saturnia, negli ultimi anni si è dedicata più a speculazioni finanziarie che alla politica industriale”, spiega il segretario Marche dell’Usb e Rsu aziendale, Andrea Quaglietti. ▲ 13
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