SPAZIO APERTO 10 La fine di un’epoca La Cina è al collasso. Il boom della richiesta, sia esterna che interna, unita a nuove misure governative per incentivare l’agricoltura, non consente più di soddisfare indiscriminatamente gli ordini. E le conseguenze cominciano già a vedersi sul retail Al rientro dal Capodanno cinese in Cina è rientrato in fabbrica il 30% in meno di operai rispetto a quelli previsti. Ciò è avvenuto per vari fattori: in primo luogo il governo cinese sta incentivando l’agricoltura locale attraverso ingenti contributi alle aziende agricole del territorio, inoltre per via del sostegno alla nascita di imprese situate nell’entroterra, al fine di promuovere uno sviluppo generale del Paese. Così facendo, però, moltissime aziende si sono trovate in grandi difficoltà e non sono riuscite a portare a termine gli ordini già previsti e, non riuscendo a soddisfare tutte le richieste nei tempi previsti, si sono addirittura verificati casi di annullamento degli ordini. Questo ha portato a un consistente aumento dei prezzi da un lato, e a notevoli ritardi nelle consegne, dall’altro. Siamo quindi di fronte a una sorta di crisi di produttività e a una forte contrazione dell’offerta, che si sta ripercuotendo gravemente sulle aziende che lavorano con la Cina, cioè – in pratica – la maggior parte dell’industria mondiale sportiva. Come il passato insegna, c’era da aspettarselo. Da sempre, il mondo produttivo si sposta a seconda di dove si trovano le offerte migliori in termini di prezzo. La Cina per anni è riuscita ad assorbire le enormi esigenze di tutti i Paesi occidentali, ma alla fine è arrivata anch’essa alla saturazione. Inoltre, la crescita della domanda interna e la maggiore disponibilità di reddito hanno cominciato a spostare il baricentro delle aziende cinesi, che vedono ora una concreta possibilità di trarre maggiore profitto rispetto alle commesse ‘d’esportazione’, basate su una logica di prezzo bassissimo. Un po’ tutti gli imprenditori della vecchia Europa e dell’America sono quindi alla ricerca di nuovi Paesi produttori dove ottenere grandi ancora quantità a cifre iper contenute. Gli stessi produttori cinesi stanno delocalizzando nel Sudest Asiatico, in Africa e in altri Paesi in cui possano trovare margini interessanti, non disdegnando soluzioni produttive alternative (come quella penitenziaria). A ciò si aggiunge il problema delle materie prime, difficili da reperire, con oscillazioni di prezzo talmente forti da non consentire più una previsione controllata dei prezzi. Basti pensare che il prezzo del cotone è praticamente raddoppiato, mentre il poliestere è lievitato del 50%. Siamo così passati dall’essere quelli che gestivano la situazione all’essere quelli che devono subirla, con una Cina che regge saldamente le redini produttive mondiali, anche quando delocalizza, ormai forte di un know-how (di macchinari ma soprattutto di risorse umane) che l’Occidente ha perso. Oggi la Cina gestisce commesse senza più quella ‘fame’ di richieste che aveva un tempo, senza la smania di accaparrarsi un ordine a qualsiasi costo e a qualsiasi prezzo. Ribaltatosi il rapporto domanda/ offerta, le nuove regole sono dettate dalla Cina stessa.Senza dimenticare che si parla tanto di crisi, ma in sostanza il mondo dell’articolo sportivo e dell’outdoor – e quindi anche una buona parte dello sportswear – non hanno affatto risentito di un calo dei consumi. Questa situazione avrà sicuramente delle ripercussioni anche sul mondo del retail. I negozianti devono infatti aspettarsi un aumento dei prezzi di Fabio Campagnolo della merce, sia per la crescita dei prezzi della materia prima che per le fluttuazioni di mercato. A causa delle quotazioni dei tessuti, ad esempio, nessuno stabilisce più i prezzi a lungo termine, tanto che non è possibile fare un ordine oggi con consegna, per esempio, a giugno, mantenendo il prezzo bloccato. Si vive dunque nell’incertezza. Questo stato di cose si osserverà in maniera sempre più evidente, e comporterà una pressione crescente da parte delle aziende fornitrici per riuscire a raccogliere gli ordini in via anticipata, così da poter rispettare poi le consegne. Le grandi catene, sia con prodotti di marca che con le private label, si sono trovare in difficoltà e hanno consegnato la merce con ritardi allucinanti. I campionari si stanno riducendo, perché le aziende cinesi limitano la gamma ai soli capi che sono certi di poter produrre, basandosi sui numeri che, con questo cambiamento in atto, sono in grado di gestire. Non quotano neppure i prezzi, perché in questa confusione di cifre e di rialzi, non sono in grado di confermare una cifra, oppure possono farlo ma limitatamente al singolo ordine del momento. Costringendo di fatto anche le aziende a uscire con listini ‘a rischio’. In una tale turbolenza, anche se al momento può sembrare fantascientifico, tra un decennio o due, quando i prezzi si saranno stabilizzati, si potrebbe anche tornare a produrre in Italia. Del resto, la produzione è come l’acqua, va sempre verso il punto più basso. fabio.campagnolo@topsport.it Forte di un know-how avanzato, è la Cina a dettare le nuove regole produttive ed economiche, generando nuovi aumenti dei costi
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