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VANGELO E MISSIONE 3 _2008_ - Luca Moscatelli

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Introduzione<br />

E’ opportuno chiarire preliminarmente la prospettiva missionaria nella quale ci situiamo.<br />

Essa è il risultato di una storia e di una riflessione che, almeno dal Concilio Vaticano II ad<br />

oggi, ha condotto a ricentrare il discorso missionario nella sua origine e sul suo<br />

fondamento, ovvero in riferimento alla vicenda di Gesù di Nazaret. Da parte nostra<br />

opereremo delimitazioni e scelte – certamente discutibili, anche se credo pertinenti – rese<br />

indispensabili dall’esiguità del tempo e dall’enormità del tema. Non potremo esplicitare tutti<br />

i motivi che ci conducono a privilegiare alcuni punti e a lasciarne in ombra altri. La<br />

plausibilità spero si imponga per sua intrinseca evidenza.<br />

Il tema e l’obiettivo<br />

Il tema è la missione, intesa essenzialmente come evangelizzazione (=annuncio e<br />

testimonianza del vangelo). Per comprendere perché e come annunciare la «buona<br />

notizia» occorre tuttavia lasciarsi istruire ogni volta di nuovo dal vangelo stesso. I vangeli<br />

infatti sono stati scritti non solo per informarci su «cosa credere», ma più radicalmente per<br />

condurci nella relazione salvifica con il Dio della vita: una relazione (dunque sempre anche<br />

un’esperienza) che riguarda tutti se e perché riguarda ciascuno di noi.<br />

Anche solo leggendo il «titolo» del vangelo di Marco (1,1: «Inizio del vangelo di Gesù<br />

Cristo Figlio di Dio») è chiaro che la buona notizia è in prima battuta quella portata da<br />

Gesù, ma alla fine è la sua stessa venuta (ovvero la sua missione): il Maestro di Nazaret è<br />

l’annunciatore del Regno di Dio che diventa il centro dell’annuncio, poiché soltanto<br />

attraverso di lui si è compiuta definitivamente la rivelazione della signorìa di Dio nella<br />

storia degli uomini.<br />

Cosa c’è dunque in gioco nell’evangelizzazione? Semplicemente tutto il senso e la verità<br />

della nostra vita, e insieme la possibilità offerta a tutti di partecipare alla salvezza del<br />

mondo. Nella forma della sequela del Maestro di Nazaret, coloro che si pongono in<br />

permanenza alla sua scuola – e perciò sono chiamati «discepoli» – vengono resi<br />

sorprendentemente partecipi della sua missione. Egli infatti è l’inviato del Padre affinché a<br />

tutti sia reso noto che Dio vuole la vita, in abbondanza e per tutti, poiché tutti sono suoi<br />

figli. Come ha fatto lui, cerchiamo anche noi di porre gesti e parole di cura capaci di<br />

(ri)orientare alla fiducia, alla speranza, all’amore. In questo fare e dire che sono resi<br />

possibili dal suo Spirito e che in definitiva orientano al Signore Gesù, nella fraternità<br />

ecclesiale sperimentiamo la sua presenza e viviamo nella comunione con il Padre.<br />

Come collocare in questo quadro la preoccupazione (molto «cattolica»!) di ritagliare un<br />

protagonismo missionario anche per i «fedeli laici»? Si può / si deve parlare di una<br />

«vocazione» missionaria laicale? E quale forma eventualmente potrebbe assumere? Noi<br />

diamo semplicemente per scontato che questa realtà si sia ormai affermata, come<br />

testimoniano coloro che ne hanno fatto e ne fanno esperienza. Semmai persiste un<br />

problema di riconoscimento, ma non certo la necessità di una «invenzione»: basta<br />

guardarsi attorno con un po’ di discernimento per «vedere» il lavoro dello Spirito. Qui<br />

allora si parlerà di qualcosa di assolutamente fondamentale per tutti i discepoli del<br />

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