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VANGELO E MISSIONE 3 _2008_ - Luca Moscatelli

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Quale solitudine comporta questo silenzio davanti agli accusatori? Ce la illustra il dramma<br />

del salmista, un dramma che ricorda il silenzio di Gesù durante la sua Passione. Un<br />

dramma, per altro, nel quale si gioca la salvezza. E non solo per se stessi.<br />

Nell’angustia della disgrazia, che già di per sé è una messa in crisi della fede, di cosa<br />

abbiamo più bisogno se non di qualcuno disposto a sostenere adesso più che mai con il<br />

suo sguardo amoroso e la sua parola vivificante la nostra fiducia in Dio e nella vita?<br />

Eppure capita, adesso più che mai, di trovarsi circondati da un odio che da parte di chi<br />

odia non verrebbe neppure riconosciuto come tale se aprissimo la bocca per accusare. E<br />

allora il giusto tace. E’ il silenzio di Abele davanti all’ira di Caino; è il silenzio di Isacco<br />

davanti al coltello alzato su di lui dal padre Abramo; è il silenzio di Giuseppe davanti alla<br />

congiura dei fratelli; è il silenzio di Mosè davanti all’invidia dei fratelli Aronne e Miriam; è il<br />

silenzio del servo di JHWH del secondo Isaia...<br />

Ma quale segreto cela quel silenzio? L’ammissione della colpevolezza? Se così fosse quel<br />

tacere, in quel momento così drammatico, non avrebbe turbato i persecutori, che invece<br />

intuiscono proprio lì una straordinaria resistenza. Il salmista (come Giobbe) ci lascia<br />

entrare nel suo segreto, ci ospita nella sua relazione con Dio: il giusto infatti tace davanti<br />

all’odio degli uomini che lo circondano, ma non risparmia parole, e anche assai forti,<br />

davanti al suo Signore; parole che offre perché possano essere fatte proprie anche da altri<br />

«poveri giusti» come lui. Nell’impossibilità di far intendere le sue ragioni e privato della<br />

solidarietà che sola gli permetterebbe di restare in piedi, l’orante si rifugia in Dio.<br />

Comprendiamo allora che la grazia che si cela nella sua disgrazia è il dono di una intimità<br />

con Dio mai prima di adesso così profonda e decisiva, e proprio adesso che tutto sembra<br />

dire il contrario. Non potendo contare su nessun altro il sofferente si rivolge a Dio come a<br />

Colui che solo può salvarlo dalla morte. E in molti modi leggiamo che fa esperienza della<br />

sua Presenza.<br />

Due conseguenze si impongono.<br />

• La prima è che anche la migliore comunità che ci sia non può evitarci, almeno in<br />

qualche momento di particolare gravità che mette alla prova la nostra fede, il<br />

cimento personale con il Dio dell’alleanza. E’ nel segreto di una solitaria intimità con<br />

il Signore che possiamo trovare il fondamento roccioso della sua fedeltà. Altrimenti<br />

la nostra fede non avrà mai la certezza di essere vera e forte abbastanza davanti<br />

alle difficoltà della vita.<br />

• La seconda conseguenza è che l’esperienza personale che il salmista fa della<br />

grazia della Presenza sente di doverla condividere. Egli legge la sua vicenda come<br />

un caso e insieme una conferma della teologia dei «poveri di JHWH». Una sorta di<br />

rappresentanza, o se si vuole di intercessione, è innegabilmente avvertita nelle<br />

parole del giusto sofferente.<br />

Prendo a prestito ancora una volta le parole di Beauchamp: «I malanni si accumulano e si<br />

attirano. Essi si raccolgono da tutti i punti cardinali su un unico bersaglio. Malattia, povertà,<br />

solitudine (o rifiuto) tendono a incontrarsi: spesso convergono. Ma non è ciò<br />

(disgraziatamente) quello che stupisce. Quello che meraviglia, è che il centro di raccolta, il<br />

punto di saturazione dei mali sia appunto il luogo dove si riformano sempre nuove figure<br />

centrali della bibbia. Vi si trova colui che nei salmi si lamenta. Vi si trova Giobbe. Vi i<br />

trovano, in particolare, coloro che annunciano le profezie tardive del libro di Isaia». E<br />

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