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Il giudice, ammirato dall’erudizione dell’imputato, lo<br />
interruppe rispettosamente: “Sig. Rudic lei ci vuol fare<br />
una lezione di storia…Il tempo non ce lo consente”.<br />
“Sig. Giudice – proseguì il nomade – arrivo al dunque.<br />
Possiedo un cavallo. È importante per me e per i miei figli<br />
averlo. Rappresenta il nostro passato. È il simbolo della nostra<br />
condizione. Noi come lui siamo costretti a guardare avanti. I<br />
nostri paraocchi sono gli steccati che delimitano la strada. Non<br />
avevo nulla da fargli mangiare. Non ho preso nulla che non<br />
fosse per l’esclusiva necessità di quella bestia. Non potevo farla<br />
morire! Lo so. Questo per voi è un furto con effrazione… È<br />
la vostra legge… Ma quella legge è stata scritta per quelli che<br />
hanno il vostro orizzonte. Quelli che guardano la linea in cui<br />
la terra incontra il cielo. Quell’orizzonte ci è inibito. Il nostro<br />
orizzonte non è una linea, ma un punto… Il punto in cui la<br />
strada che percorriamo si congiunge con l’azzurro. È in quel<br />
punto che si diparte il sentiero che si inerpica verso le stelle.<br />
Chissà se non abbiano steccati anche quelle… La strada per le<br />
stelle… È quella la meta di chi si sente tollerato solo quando<br />
è in fugace cammino. Ogni nostra digressione da quella<br />
destinazione è per voi oggetto di giudizio… E pregiudizio.<br />
L’uomo abbassò lo sguardo e si ammutolì. Il giudice<br />
sospirò prima di ritirarsi in camera di consiglio per la<br />
decisione.<br />
“Era ora” – sbuffò l’avv. Garbugli mentre usciva<br />
frettolosamente dall’aula insieme al P.M.. Nel<br />
Tribunale rimase l’imputato, tra le sue due guardie.<br />
Dietro un diaframma di cartongesso, il giudice<br />
rifletteva e rimuginava.<br />
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