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BESTIE DA DISPIACERE racconto di Maurizio ... - Exclusion.net

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dottore <strong>di</strong> un reparto <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cina d’urgenza. E sono anche il caso<br />

urgente.”<br />

Un uomo giovane e forte che finisce in ospedale. In pieno agosto. E si<br />

rende conto soltanto in quel momento <strong>di</strong> quanto si possa essere soli.<br />

L’avvocato in aereo ne Il dolce domani <strong>di</strong> Atom Egoyan, quando<br />

racconta <strong>di</strong> sua figlia Zoe che a tre anni era stata morsa da una vedova<br />

nera e si gonfiava e mentre la portava in ospedale aveva un coltellino<br />

ed era pronto a fare un taglio alla gola, per farla respirare, come aveva<br />

detto il me<strong>di</strong>co.<br />

Il sollievo <strong>di</strong> un malato, dopotutto, <strong>di</strong> sentirsi in un luogo dove tutti si<br />

occupano <strong>di</strong> quel che a lui più importa: la malattia. La possibilità <strong>di</strong><br />

parlare della malattia propria e <strong>di</strong> quella degli altri.<br />

Il freddo della macchina che si posa sulla pelle nuda per farti la<br />

ra<strong>di</strong>ografia. Il rumore silenzioso dell’attimo in cui l’interno del tuo<br />

corpo viene svelato.<br />

Tutte quelle auto parcheggiate al sole o sotto la pioggia. Tutta quella<br />

gente che entra negli orari <strong>di</strong> visita. Tutte le scatole <strong>di</strong> cioccolatini,<br />

tutte le pagine <strong>di</strong> libri letti, tutti i giornali sfogliati e tutti i caffè tirati<br />

fuori dalle macchi<strong>net</strong>te automatiche. Tutte le notti, anche. Con quelli<br />

che rimangono a far compagnia e si addormentano vestiti sul letto<br />

rimasto libero. Tutti quelli che vengono ricoverati, nel momento in cui<br />

glielo <strong>di</strong>cono – tutti quelli che possono andarsene, nel momento in cui<br />

glielo <strong>di</strong>cono. Tutti quelli che rimangono soli alla fine delle visite.<br />

Tutti quelli che non mangiano. Tutti quelli che soffrono. La quantità<br />

<strong>di</strong> dolore fisico che si accumula, ogni giorno. Tutti i minuti <strong>di</strong> pace.<br />

Tutti i sonni agitati. Tutti i risvegli improvvisi e quell’attimo prima <strong>di</strong><br />

accorgersi <strong>di</strong> essere davvero qui, in ospedale.<br />

E poi un giorno, un solo giorno, in cui possa succedere il miracolo <strong>di</strong><br />

un ospedale che si svuota completamente, in cui non c’è neanche un<br />

malato, se ne attende qualcuno per domani, pare, ma oggi no. I me<strong>di</strong>ci<br />

che si guardano increduli, indecisi sul da farsi – come i professori a<br />

scuola in un giorno <strong>di</strong> sciopero degli studenti; oppure come un<br />

programma ra<strong>di</strong>ofonico senza nemmeno un ascoltatore. Un giorno<br />

così. E qualcuno che <strong>di</strong>ca qualcosa, su questo. Ma ancora non so cosa.<br />

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