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letture - Dipartimento di Architettura - Università degli Studi di Firenze

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Progetto e città antica<br />

Marco Bini<br />

Con questo numero <strong>di</strong> “<strong>Firenze</strong> <strong>Architettura</strong>”<br />

il <strong>Dipartimento</strong> <strong>di</strong> Progettazione<br />

dell’architettura intende promuovere la<br />

trattazione <strong>di</strong> argomenti, convergenti sul<br />

tema generale del progetto, che permettano,<br />

attraverso il confronto, una riconoscibilità<br />

<strong>di</strong> atteggiamenti, sia pure articolata<br />

per impostazioni culturali e metodologie<br />

<strong>di</strong>versificate.<br />

La compresenza all’interno del <strong>Dipartimento</strong><br />

<strong>di</strong> approcci <strong>di</strong>fferenti e pluralità <strong>di</strong><br />

interpretazioni sull’argomento, può ricomporsi<br />

così intorno ad un filo conduttore<br />

che metta in relazione fra loro le varie<br />

competenze, esaltandone la ricchezza e<br />

valorizzando le ricerche congruenti con le<br />

tematiche del <strong>di</strong>battito architettonico contemporaneo.<br />

Per facilitare i confronti fra metodologie e<br />

risultati si è scelto perciò <strong>di</strong> uscire con un<br />

numero riguardante il rapporto fra progetto<br />

architettonico e città d’arte.<br />

Prima <strong>di</strong> essere asse<strong>di</strong>ata e stravolta dalla<br />

conurbazione, la città antica era fortemente<br />

caratterizzata dal suo stesso limite<br />

fisico, le mura, che la contrapponevano al<br />

paesaggio naturale circostante. All’interno<br />

del perimetro fortificato era ben in<strong>di</strong>viduabile<br />

il rapporto tra tessuto e<strong>di</strong>lizio,<br />

quale insieme continuo <strong>di</strong> case d’abitazione<br />

nelle quali trovavano spazio botteghe<br />

e laboratori, ed emergenze architettoniche<br />

quali e<strong>di</strong>fici pubblici e privati più<br />

importanti. A partire dall’Ottocento il centro<br />

antico, specialmente nelle gran<strong>di</strong> città,<br />

non appare più circondato da un territorio<br />

a destinazione prevalentemente agricola,<br />

chiaramente contrapposto all’aggregato<br />

urbano, ma da un inse<strong>di</strong>amento continuo<br />

che rende <strong>di</strong>fficile se non impossibile la<br />

lettura della forma stessa della città. La<br />

<strong>di</strong>cotomia fra conurbazione esterna e città<br />

antica nasce soprattutto dalla loro <strong>di</strong>-<br />

2<br />

versa struttura; in questa contrapposizione,<br />

mentre la prima assume valenze<br />

sempre più marcate <strong>di</strong> provvisorietà, la<br />

seconda si configura come luogo deputato<br />

della permanenza, concepito come<br />

cosa duratura, da tramandarsi nel tempo,<br />

con la sua storia ed i suoi valori, con le<br />

sue forme e le sue architetture, che si relazionano<br />

fra loro e con l’ambiente, costituendo<br />

il “luogo” per eccellenza con cui<br />

deve confrontarsi l’architetto nel momento<br />

stesso in cui si attua il progetto.<br />

Giorgio Grassi, in un suo scritto del 1992,<br />

descrive il rapporto luogo/progetto in maniera<br />

estremamente chiara e convincente.<br />

“Dal punto <strong>di</strong> vista pratico - egli afferma<br />

- un progetto (per es. un e<strong>di</strong>ficio) è sempre<br />

e comunque una trasformazione <strong>di</strong><br />

ciò che esiste da prima (il luogo) e la relazione<br />

fra i due non può certo essere elusa.<br />

Dei due quello che ha già una forma<br />

(che ha già dato la sua risposta) è il luogo,<br />

quin<strong>di</strong>, teoricamente ma anche tecnicamente,<br />

è il progetto che si conforma al<br />

luogo. Ma dal punto <strong>di</strong> vista pratico in<br />

questo incontro si mo<strong>di</strong>fica altrettanto il<br />

luogo (il luogo assume una nuova forma).<br />

E questo vuol <strong>di</strong>re che quando facciamo<br />

un progetto noi in ogni caso progettiamo<br />

anche il suo luogo”.<br />

La forma finale è quin<strong>di</strong> il risultato <strong>di</strong> molte<br />

trasformazioni che hanno come conseguenza<br />

quella che Grassi chiama la<br />

“costruzione del luogo”. Il progetto entra<br />

così a far parte della storia dello spazio e,<br />

entrando a farne parte, prima la interpreta<br />

e successivamente la riscrive. Proprio<br />

per questo, tra la nozione <strong>di</strong> contesto e<br />

quella <strong>di</strong> architettura esiste una stretta relazione<br />

sia nel momento dell’analisi del<br />

costruito che nell’atto del progetto.<br />

L’immagine della città, <strong>di</strong> quella antica in<br />

particolare, non è solo determinata dai<br />

valori “assoluti” morfologico-spaziali della<br />

compagine urbana, ma anche e sostanzialmente<br />

dalle tante variabili che sono<br />

funzione del modello <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> pensiero<br />

che in quei luoghi e in quel determinato<br />

momento storico si svolge, esprimendo le<br />

contrad<strong>di</strong>zioni che ne hanno determinato<br />

il sistema d’uso.<br />

Per quanto finora detto, il progetto <strong>di</strong><br />

Adolfo Natalini per Ferrara qui presentato,<br />

può <strong>di</strong>rsi per certi versi emblematico.<br />

L’idea che sottende la proposta per il risarcimento<br />

<strong>di</strong> un isolato rimasto per decenni<br />

mutilato a causa <strong>degli</strong> ultimi tragici,<br />

se pur lontani nel tempo, eventi bellici, induce<br />

Valentina Baroncini a rintracciare<br />

nella modestia della città e nel suo essere<br />

“<strong>di</strong>messamente monumentale”, le linee<br />

guida del progetto. Qui più che altrove si<br />

avverte uno spirito locale che si concretizza<br />

in un senso <strong>di</strong> uniformità dei mo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

esecuzione dell’architettura, colti dall’autore<br />

per la misura e l’equilibrio che la città<br />

lascia percepire.<br />

L’irregolarità, pur nella simmetria della<br />

soluzione angolare, denuncia come per<br />

Natalini la città d’arte non debba essere<br />

letta come città ideale, <strong>di</strong>segnata in un<br />

unico stile, ma come sovrapposizione e<br />

compresenza <strong>di</strong> molteplici e <strong>di</strong>versi contributi,<br />

accomunati non da un linguaggio,<br />

ma da un comune tendere alla bellezza.<br />

Nella città attraversata da contrad<strong>di</strong>zioni<br />

<strong>di</strong> ogni tipo, sfrangiata, in cerca <strong>di</strong> nuove<br />

identità, si creano e si esprimono però le<br />

tensioni e i <strong>di</strong>sagi dell’organizzazione<br />

sociale, le problematiche dell’organizzazione<br />

economica: si concentrano ed amplificano<br />

le contrad<strong>di</strong>zioni e le <strong>di</strong>storsioni<br />

tra l’accresciuta mobilità e l’opposto desiderio<br />

<strong>di</strong> ra<strong>di</strong>camento, tra pianificazione<br />

ed or<strong>di</strong>namento da una parte e creazione<br />

dall’altra.<br />

Che il centro storico rappresenti l’identità<br />

dell’aggregato urbano è cosa su cui tutti<br />

concordano. Ma ben oltre va Pier Luigi<br />

Cervellati che nel suo volumetto La città<br />

bella afferma: “Con<strong>di</strong>visa è anche<br />

l’equazione che assimila la memoria della<br />

città storica alla memoria dell’uomo. Al<br />

pari dell’uomo, che quando perde la memoria<br />

impazzisce, il territorio - perdendo<br />

il centro storico, sostituito dall’e<strong>di</strong>lizia<br />

della periferia e destinato a funzioni improprie<br />

- <strong>di</strong>venta ciò che è <strong>di</strong>ventato: un<br />

luogo invivibile. Senza memoria anche il<br />

territorio impazzisce”.<br />

Proprio per questo il progetto <strong>di</strong>venta altalena<br />

fra memoria <strong>di</strong> tempi e luoghi <strong>di</strong>versi<br />

e speranza <strong>di</strong> una città migliore, e<br />

come afferma Natalini nel sul libro Sostituzioni<br />

“non esiste una città tutta antica e<br />

non esiste una città tutta nuova; la città<br />

storica è una straor<strong>di</strong>naria macchina del<br />

tempo capace <strong>di</strong> farci viaggiare nelle due<br />

<strong>di</strong>rezioni. Progettare in questi luoghi può<br />

provocare due <strong>di</strong>verse reazioni. La prima<br />

è un violento rifiuto nei confronti dell’accumulazione<br />

storica, una sorta <strong>di</strong> claustrofobia<br />

provocata dalla città, tutta (e più volte)<br />

costruita, un <strong>di</strong>sperato desiderio <strong>di</strong> uscirne<br />

fuori (dalla storia e dalla città) per imboccare<br />

le esaltanti (e rischiose) strade<br />

del progetto per contrapposizione. La seconda<br />

è un attacco <strong>di</strong> nostalgia per ciò<br />

che è stato, una specie <strong>di</strong> adesione sentimentale<br />

ai luoghi che porta a un progetto<br />

contestuale con tutti i rischi <strong>di</strong> un mimetismo<br />

e <strong>di</strong> una riproduzione”.<br />

Fra continuità e contrapposizione si colloca<br />

il progetto per la stazione dell’Alta Velocità<br />

a <strong>Firenze</strong> <strong>di</strong> Alberto Breschi e Loris<br />

Macci. Continuità nel <strong>di</strong>segnare una struttura<br />

forte e ra<strong>di</strong>cata nel contesto urbano,<br />

proponendo, alla ricerca <strong>di</strong> una nuova<br />

monumentalità, la stazione come moder-<br />

na porta della città: una sorta <strong>di</strong> traslazione<br />

nel tempo e nello spazio dell’opera del<br />

Gruppo Toscano. Contrapposizione nel<br />

proporre l’enigmatico monolite <strong>di</strong> viale<br />

Belfiore che, nella terza ipotesi progettuale,<br />

si rarefà “nell’immaterialità della sua<br />

proposta, che sembra invertire la solida<br />

oggettualità, <strong>di</strong> cui si compone, una città<br />

d’arte come <strong>Firenze</strong>”.<br />

Come già osservato il centro antico assume<br />

un preciso significato solo se colto nei<br />

suoi mutati rapporti con l’insieme della città<br />

e del territorio, in quanto parte che si<br />

caratterizza non solo per i valori storico<br />

culturali e le caratteristiche tipologiche e<br />

morfologiche, ma anche per motivi <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne<br />

economico e sociale. In questo senso<br />

va quin<strong>di</strong> rivisto il ruolo essenziale che<br />

esso ricopre in rapporto alle <strong>di</strong>fferenti fasi<br />

<strong>di</strong> crescita della città, dalle espansioni<br />

sette-ottocentesche a quelle contemporanee,<br />

dando vita a quel processo <strong>di</strong> rinnovo<br />

del tessuto e<strong>di</strong>lizio <strong>di</strong> base, che partendo<br />

spesso dalle lottizzazioni me<strong>di</strong>evali,<br />

con aggregazioni e giustapposizioni<br />

ri<strong>di</strong>segna i fronti stradali.<br />

Una trasformazione questa che è resa<br />

possibile dalla duttilità dell’architettura ai<br />

cambiamenti nelle destinazioni d’uso:<br />

“una delle prerogative più importanti dell’architettura,<br />

e una delle più ammirevoli<br />

per chi sa intenderne il significato - afferma<br />

infatti Leonardo Benevolo in un suo<br />

scritto del lontano 1957 - è <strong>di</strong> non essere<br />

legata univocamente alla precisa funzione<br />

originaria, ma <strong>di</strong> contenere sempre un<br />

margine, più o meno vasto, per altre utilizzazioni.<br />

Si <strong>di</strong>rebbe che l’architetto, progettando<br />

un e<strong>di</strong>ficio, gli infonda una carica<br />

vitale più ampia <strong>di</strong> quel che occorre<br />

per le imme<strong>di</strong>ate necessità”.<br />

Ciò comporta una corrispondente possibilità<br />

<strong>di</strong> trasformazioni d’or<strong>di</strong>ne formale,<br />

che l’e<strong>di</strong>ficio sopporta senza perdere la<br />

sua in<strong>di</strong>vidualità e il suo carattere, in particolare<br />

quando l’architetto cerca <strong>di</strong> mantenere<br />

l’accordo fra le componenti figurative<br />

e funzionali.<br />

Il progetto <strong>di</strong> Maria Grazia Eccheli e Riccardo<br />

Campagnola per il Nuovo Museo<br />

Lapidario a Verona, qui presentato, prende<br />

forma confrontandosi appunto con la<br />

preesistenza dell’ex Convento <strong>di</strong> San<br />

Francesco. Le forme proposte si caratterizzano<br />

per similitu<strong>di</strong>ne con l’antico chiostro,<br />

ma anche per come si pongono nei<br />

confronti della città, restituendo a Verona,<br />

con le parole <strong>di</strong> Francesco Collotti “uno<br />

spazio unitario, porticato, destinato a riflettere<br />

sull’esperienza classica della città”.<br />

Nel progetto il portico si pone dunque<br />

come figura evocata ed elemento generatore<br />

<strong>di</strong> uno spazio oramai perduto nelle<br />

sue <strong>di</strong>mensioni originali; il <strong>di</strong>segno <strong>di</strong>viene<br />

espressione dell’ultimo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un<br />

processo <strong>di</strong> accrescimento attuatosi gradualmente<br />

nel tempo e nello spazio, leggibile<br />

per fasi significative, dove è riscontrabile<br />

il mutamento delle correlazioni fra<br />

le parti dell’organismo architettonico e il<br />

tessuto urbano e territoriale.<br />

In questo senso il progetto <strong>di</strong> Paolo Zermani<br />

per il cimitero <strong>di</strong> Sansepolcro, illustrato<br />

nelle pagine della rivista, si confronta<br />

con le vicine mura cinquecentesche<br />

<strong>di</strong> Giuliano da San Gallo. Dagli<br />

elaborati grafici d’insieme, oltre che dal<br />

“frammento” già realizzato, è possibile<br />

leggere uno spazio rigorosamente simmetrico,<br />

imploso, quasi ad escludere<br />

ogni rapporto col territorio col quale si<br />

relazionerà invece la grande croce dell’ossario<br />

non ancora e<strong>di</strong>ficata.<br />

In un ambiente caratterizzato da importanti<br />

infrastrutture <strong>di</strong> recente realizzazione<br />

si colloca e si relaziona invece il Cen-<br />

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