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letture - Dipartimento di Architettura - Università degli Studi di Firenze

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78<br />

Non si può migliorare la bellezza<br />

Vittorio Sgarbi<br />

Non so perché tutto appare chiaro all’improvviso,<br />

in un momento, imprecisato, ma<br />

io ricordo che molti anni fa, grazie a<br />

un’amica fiorentina iniziai a capire la <strong>di</strong>fferenza<br />

fra buon gusto e cattivo gusto, tra<br />

naturale eleganza e ostentazione. Riconoscere<br />

il lavoro <strong>di</strong> un buon artigiano, sentire<br />

la qualità <strong>di</strong> un tessuto (apprezzai per la<br />

prima volta l’Harris Tweed <strong>di</strong> una giacca al<br />

mercato dell’usato). Come per un’iniziazione<br />

mi si liberavano gli occhi dal velo.<br />

Forse per taluni questa esperienza non si<br />

compie mai: così si spiega perché ovunque<br />

domini il cattivo gusto. Non so se per<br />

tutti è un’emozione vedere una stoffa un<br />

po’ consunta, una poltrona comoda e<br />

usata, in un ambiente in cui si sente che il<br />

tempo è passato. Ecco, il tempo. Produce<br />

danni irreparabili, ma conferisce anche<br />

una grazia e un sapore che aumentano la<br />

bellezza. Difficile trovare la stessa morbidezza<br />

e gli stessi colori della pelle, con le<br />

indefinibili variazioni che ha conquistato<br />

con l’uso, in un paio <strong>di</strong> scarpe nuove rispetto<br />

a uno <strong>di</strong> scarpe vecchie. Non si<br />

tratta <strong>di</strong> punti <strong>di</strong> vista, ma <strong>di</strong> valori estetici.<br />

Applicabili, come vedremo, anche ai gran<strong>di</strong><br />

temi del restauro.<br />

È giunto dunque il momento <strong>di</strong> spiegare, a<br />

chi si sarà stupito che io abbia parlato delle<br />

mie scarpe usate (intendendo in verità<br />

parlare delle scarpe <strong>di</strong> chiunque), qual è la<br />

mia idea del restauro. Certe volte uno non<br />

crede ai propri occhi davanti all’enormità<br />

<strong>di</strong> alcuni progetti e perfino <strong>di</strong> alcune opere<br />

compiute. Eppure il metodo dovrebbe essere<br />

semplice e intuitivo. Quando non sia<br />

occorsa una più o meno perio<strong>di</strong>ca manutenzione,<br />

l’intervento ra<strong>di</strong>cale, soprattutto<br />

su un e<strong>di</strong>ficio, deve riprodurre non le con<strong>di</strong>zioni<br />

originali ma l’ultimo momento <strong>di</strong><br />

vita d’uso, <strong>di</strong> funzione <strong>di</strong> una chiesa, <strong>di</strong> un<br />

palazzo. Così come in un sito archeologico<br />

non si pensa <strong>di</strong> ricostruire, ma <strong>di</strong> accennare<br />

i volumi <strong>di</strong> una casa abbattuta o<br />

sepolta. Anche nel restauro dell’architettura<br />

me<strong>di</strong>oevale e moderna occorre mantenere<br />

il <strong>di</strong>stacco del tempo, non piegando<br />

la storia alle necessità del nostro tempo.<br />

Salvare le strutture è essenziale, ma<br />

non meno essenziale è preservare l’aura<br />

che sempre più si <strong>di</strong>sperde nei presbiteri<br />

delle chiese adattati alle nuove liturgie. Insomma,<br />

il miglior restauro è quello che ci<br />

fa <strong>di</strong>re, a impresa compiuta: “Quando iniziano<br />

i lavori <strong>di</strong> restauro?”<br />

È <strong>di</strong>fficile capire come, in un’epoca in cui<br />

la ricerca e gli stu<strong>di</strong>, in ogni <strong>di</strong>sciplina,<br />

avanzano, e con risultati sorprendenti, la<br />

conservazione del patrimonio artistico sia<br />

arrivata a un punto così basso. Se pensiamo<br />

alla sensibilità <strong>di</strong> chi ha ricostruito il<br />

ponte <strong>di</strong> Castelvecchio a Verona e il Ponte<br />

<strong>di</strong> Bassano, per ricordare soltanto alcuni<br />

episo<strong>di</strong> esemplari, è molto faticoso accettare<br />

la continua serie <strong>di</strong> abusi che vanno<br />

dalla nuova porta <strong>di</strong> uscita (unico esempio<br />

al mondo) <strong>degli</strong> Uffizi, al progetto per l’Ara<br />

Pacis <strong>di</strong> Meyer, al mostruoso centro residenziale<br />

nell’area ex Jungans della Giudecca<br />

a Venezia. Non ci si vuole credere.<br />

Eppure nelle tre più importanti città monumentali<br />

d’Italia, <strong>Firenze</strong> Roma e Venezia, si<br />

stanno compiendo violenze in nome dell’architettura<br />

che non sono pensate per la<br />

città, ma contro la città. E si deve dunque<br />

riflettere sull’astrazione <strong>di</strong> quegli stu<strong>di</strong>osi<br />

che, innamorati delle loro idee, sono poi<br />

in<strong>di</strong>fferenti a quello che accade. E, mentre<br />

mancano i controlli, la magistratura così<br />

assidua nell’inseguire reati inesistenti,<br />

ignora la sistematica <strong>di</strong>struzione del più<br />

grande patrimonio dell’umanità.<br />

A riflettere come viene trattata l’Italia da<br />

amministratori locali, architetti pseudorestauratori<br />

e anche, purtroppo, dai responsabili<br />

della sua identità storica, artistica,<br />

paesaggistica, le testimonianze dei viaggiatori<br />

stranieri, che sono venuti qui alla<br />

ricerca del para<strong>di</strong>so, non hanno avuto alcun<br />

potere persuasivo. Forse qualcuno<br />

pensa <strong>di</strong> migliorare la fragile bellezza dei<br />

luoghi che hanno visto Montaigne, Chateaubriand,<br />

Stendhal. Purtroppo non fanno<br />

che peggiorarla, che renderla irriconoscibile.<br />

Non so se oggi Goethe potrebbe<br />

ripetere: “Io posso confessare, ero giunto<br />

a un punto tale che non potevo più aprire<br />

un libro latino o guardare un’incisione dell’Italia.<br />

La brama <strong>di</strong> vedere questo Paese<br />

era troppo ardente; quando essa sarà<br />

sod<strong>di</strong>sfatta, mi torneranno nuovamente<br />

cari gli amici e la patria e desidererò il ritorno.<br />

E lo desidererò tanto più, perché<br />

sento che porterò con me tanti tesori e<br />

non per me solo. Essi potranno servire ad<br />

altri d’insegnamento, per tutta la vita. Si,<br />

io sono finalmente nella capitale del mondo”.<br />

Penso a Pisa, alla sua cattedrale: che<br />

<strong>di</strong>rebbe oggi Goethe?<br />

“Finché esisteranno frantumi <strong>di</strong> bellezza,<br />

qualcosa si potrà capire ancora del mondo.<br />

Via via che spariscono, la mente perde<br />

capacità <strong>di</strong> afferrare e <strong>di</strong> dominare”. Queste<br />

osservazioni <strong>di</strong> Guido Ceronetti nel<br />

suo “Un viaggio in Italia” ci danno, insieme<br />

con una residua speranza, la certezza che<br />

noi, italiani, abbiamo letteralmente perduto<br />

il para<strong>di</strong>so. Vero è che ne restano “frantumi”,<br />

ma per capire come l’Italia era fino a<br />

qualche decennio fa e quale gioia sia passata<br />

attraverso gli occhi <strong>di</strong> tanti che hanno<br />

avuto il privilegio <strong>di</strong> vederla, è in<strong>di</strong>spensabile<br />

cercarla nei quadri e nella letteratura.<br />

Faccio molta fatica ad accettare che la ricerca<br />

del benessere e le esigenze della<br />

vita moderna abbiano umiliato luoghi o<br />

e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> sublime, e talvolta molto semplice,<br />

bellezza. Non c’è un solo momento<br />

della storia alle nostre spalle in cui sia tanto<br />

<strong>di</strong>lagato il cattivo gusto. Inutile <strong>di</strong>rlo, ma<br />

gli orrori sono talmente <strong>di</strong>ffusi che non<br />

solo non è più possibile porvi rime<strong>di</strong>o, ma<br />

la catastrofe continua, nonostante qualche<br />

segnale <strong>di</strong> ravve<strong>di</strong>mento. È una continua,<br />

incessante morte dello spirito.<br />

Platone scrive, volendo <strong>di</strong>re molte cose,<br />

ma parlando per noi che viviamo fra memorie<br />

del tempo antico, testimonianze <strong>di</strong><br />

civiltà così gran<strong>di</strong> che noi sembriamo essere<br />

tornati in<strong>di</strong>etro: “Il passato è come<br />

una <strong>di</strong>vinità, che quando è presente tra gli<br />

uomini... salva tutto ciò che esiste”. Fu<br />

dunque il primo Platone a intuire che noi<br />

siamo “nani sulle spalle dei giganti”, e che<br />

ciò che sappiamo si fonda sul sapere consolidato<br />

<strong>di</strong> chi ha vissuto e pensato prima<br />

<strong>di</strong> noi. Si può anzi <strong>di</strong>re che noi siamo fatti <strong>di</strong><br />

tempo, <strong>di</strong> tempo e pensieri altrui. Molti,<br />

anzi, vivono senza nulla aggiungere, ma<br />

semplicemente adattandosi, a ciò che altri<br />

hanno detto e fatto. Imparare bene la lezione<br />

<strong>degli</strong> antichi, che è lo spirito del Rinascimento,<br />

ci può essere sufficiente a vivere<br />

compiutamente. Chi non capisce il<br />

passato, e si esalta per il moderno, spesso<br />

tra<strong>di</strong>sce anche quello che vuole <strong>di</strong>fendere.<br />

Ricordo la strao<strong>di</strong>naria impressione del<br />

museo Kimbell <strong>di</strong> Forth Worth, opera <strong>di</strong><br />

Louis Kahn: un e<strong>di</strong>ficio straor<strong>di</strong>nariamente<br />

nuovo; guardandolo con attenzione appariva<br />

evidentemente ispirato dal tempio<br />

malatestiano <strong>di</strong> Leon Battista Alberti.<br />

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