letture - Dipartimento di Architettura - Università degli Studi di Firenze
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Non si può migliorare la bellezza<br />
Vittorio Sgarbi<br />
Non so perché tutto appare chiaro all’improvviso,<br />
in un momento, imprecisato, ma<br />
io ricordo che molti anni fa, grazie a<br />
un’amica fiorentina iniziai a capire la <strong>di</strong>fferenza<br />
fra buon gusto e cattivo gusto, tra<br />
naturale eleganza e ostentazione. Riconoscere<br />
il lavoro <strong>di</strong> un buon artigiano, sentire<br />
la qualità <strong>di</strong> un tessuto (apprezzai per la<br />
prima volta l’Harris Tweed <strong>di</strong> una giacca al<br />
mercato dell’usato). Come per un’iniziazione<br />
mi si liberavano gli occhi dal velo.<br />
Forse per taluni questa esperienza non si<br />
compie mai: così si spiega perché ovunque<br />
domini il cattivo gusto. Non so se per<br />
tutti è un’emozione vedere una stoffa un<br />
po’ consunta, una poltrona comoda e<br />
usata, in un ambiente in cui si sente che il<br />
tempo è passato. Ecco, il tempo. Produce<br />
danni irreparabili, ma conferisce anche<br />
una grazia e un sapore che aumentano la<br />
bellezza. Difficile trovare la stessa morbidezza<br />
e gli stessi colori della pelle, con le<br />
indefinibili variazioni che ha conquistato<br />
con l’uso, in un paio <strong>di</strong> scarpe nuove rispetto<br />
a uno <strong>di</strong> scarpe vecchie. Non si<br />
tratta <strong>di</strong> punti <strong>di</strong> vista, ma <strong>di</strong> valori estetici.<br />
Applicabili, come vedremo, anche ai gran<strong>di</strong><br />
temi del restauro.<br />
È giunto dunque il momento <strong>di</strong> spiegare, a<br />
chi si sarà stupito che io abbia parlato delle<br />
mie scarpe usate (intendendo in verità<br />
parlare delle scarpe <strong>di</strong> chiunque), qual è la<br />
mia idea del restauro. Certe volte uno non<br />
crede ai propri occhi davanti all’enormità<br />
<strong>di</strong> alcuni progetti e perfino <strong>di</strong> alcune opere<br />
compiute. Eppure il metodo dovrebbe essere<br />
semplice e intuitivo. Quando non sia<br />
occorsa una più o meno perio<strong>di</strong>ca manutenzione,<br />
l’intervento ra<strong>di</strong>cale, soprattutto<br />
su un e<strong>di</strong>ficio, deve riprodurre non le con<strong>di</strong>zioni<br />
originali ma l’ultimo momento <strong>di</strong><br />
vita d’uso, <strong>di</strong> funzione <strong>di</strong> una chiesa, <strong>di</strong> un<br />
palazzo. Così come in un sito archeologico<br />
non si pensa <strong>di</strong> ricostruire, ma <strong>di</strong> accennare<br />
i volumi <strong>di</strong> una casa abbattuta o<br />
sepolta. Anche nel restauro dell’architettura<br />
me<strong>di</strong>oevale e moderna occorre mantenere<br />
il <strong>di</strong>stacco del tempo, non piegando<br />
la storia alle necessità del nostro tempo.<br />
Salvare le strutture è essenziale, ma<br />
non meno essenziale è preservare l’aura<br />
che sempre più si <strong>di</strong>sperde nei presbiteri<br />
delle chiese adattati alle nuove liturgie. Insomma,<br />
il miglior restauro è quello che ci<br />
fa <strong>di</strong>re, a impresa compiuta: “Quando iniziano<br />
i lavori <strong>di</strong> restauro?”<br />
È <strong>di</strong>fficile capire come, in un’epoca in cui<br />
la ricerca e gli stu<strong>di</strong>, in ogni <strong>di</strong>sciplina,<br />
avanzano, e con risultati sorprendenti, la<br />
conservazione del patrimonio artistico sia<br />
arrivata a un punto così basso. Se pensiamo<br />
alla sensibilità <strong>di</strong> chi ha ricostruito il<br />
ponte <strong>di</strong> Castelvecchio a Verona e il Ponte<br />
<strong>di</strong> Bassano, per ricordare soltanto alcuni<br />
episo<strong>di</strong> esemplari, è molto faticoso accettare<br />
la continua serie <strong>di</strong> abusi che vanno<br />
dalla nuova porta <strong>di</strong> uscita (unico esempio<br />
al mondo) <strong>degli</strong> Uffizi, al progetto per l’Ara<br />
Pacis <strong>di</strong> Meyer, al mostruoso centro residenziale<br />
nell’area ex Jungans della Giudecca<br />
a Venezia. Non ci si vuole credere.<br />
Eppure nelle tre più importanti città monumentali<br />
d’Italia, <strong>Firenze</strong> Roma e Venezia, si<br />
stanno compiendo violenze in nome dell’architettura<br />
che non sono pensate per la<br />
città, ma contro la città. E si deve dunque<br />
riflettere sull’astrazione <strong>di</strong> quegli stu<strong>di</strong>osi<br />
che, innamorati delle loro idee, sono poi<br />
in<strong>di</strong>fferenti a quello che accade. E, mentre<br />
mancano i controlli, la magistratura così<br />
assidua nell’inseguire reati inesistenti,<br />
ignora la sistematica <strong>di</strong>struzione del più<br />
grande patrimonio dell’umanità.<br />
A riflettere come viene trattata l’Italia da<br />
amministratori locali, architetti pseudorestauratori<br />
e anche, purtroppo, dai responsabili<br />
della sua identità storica, artistica,<br />
paesaggistica, le testimonianze dei viaggiatori<br />
stranieri, che sono venuti qui alla<br />
ricerca del para<strong>di</strong>so, non hanno avuto alcun<br />
potere persuasivo. Forse qualcuno<br />
pensa <strong>di</strong> migliorare la fragile bellezza dei<br />
luoghi che hanno visto Montaigne, Chateaubriand,<br />
Stendhal. Purtroppo non fanno<br />
che peggiorarla, che renderla irriconoscibile.<br />
Non so se oggi Goethe potrebbe<br />
ripetere: “Io posso confessare, ero giunto<br />
a un punto tale che non potevo più aprire<br />
un libro latino o guardare un’incisione dell’Italia.<br />
La brama <strong>di</strong> vedere questo Paese<br />
era troppo ardente; quando essa sarà<br />
sod<strong>di</strong>sfatta, mi torneranno nuovamente<br />
cari gli amici e la patria e desidererò il ritorno.<br />
E lo desidererò tanto più, perché<br />
sento che porterò con me tanti tesori e<br />
non per me solo. Essi potranno servire ad<br />
altri d’insegnamento, per tutta la vita. Si,<br />
io sono finalmente nella capitale del mondo”.<br />
Penso a Pisa, alla sua cattedrale: che<br />
<strong>di</strong>rebbe oggi Goethe?<br />
“Finché esisteranno frantumi <strong>di</strong> bellezza,<br />
qualcosa si potrà capire ancora del mondo.<br />
Via via che spariscono, la mente perde<br />
capacità <strong>di</strong> afferrare e <strong>di</strong> dominare”. Queste<br />
osservazioni <strong>di</strong> Guido Ceronetti nel<br />
suo “Un viaggio in Italia” ci danno, insieme<br />
con una residua speranza, la certezza che<br />
noi, italiani, abbiamo letteralmente perduto<br />
il para<strong>di</strong>so. Vero è che ne restano “frantumi”,<br />
ma per capire come l’Italia era fino a<br />
qualche decennio fa e quale gioia sia passata<br />
attraverso gli occhi <strong>di</strong> tanti che hanno<br />
avuto il privilegio <strong>di</strong> vederla, è in<strong>di</strong>spensabile<br />
cercarla nei quadri e nella letteratura.<br />
Faccio molta fatica ad accettare che la ricerca<br />
del benessere e le esigenze della<br />
vita moderna abbiano umiliato luoghi o<br />
e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> sublime, e talvolta molto semplice,<br />
bellezza. Non c’è un solo momento<br />
della storia alle nostre spalle in cui sia tanto<br />
<strong>di</strong>lagato il cattivo gusto. Inutile <strong>di</strong>rlo, ma<br />
gli orrori sono talmente <strong>di</strong>ffusi che non<br />
solo non è più possibile porvi rime<strong>di</strong>o, ma<br />
la catastrofe continua, nonostante qualche<br />
segnale <strong>di</strong> ravve<strong>di</strong>mento. È una continua,<br />
incessante morte dello spirito.<br />
Platone scrive, volendo <strong>di</strong>re molte cose,<br />
ma parlando per noi che viviamo fra memorie<br />
del tempo antico, testimonianze <strong>di</strong><br />
civiltà così gran<strong>di</strong> che noi sembriamo essere<br />
tornati in<strong>di</strong>etro: “Il passato è come<br />
una <strong>di</strong>vinità, che quando è presente tra gli<br />
uomini... salva tutto ciò che esiste”. Fu<br />
dunque il primo Platone a intuire che noi<br />
siamo “nani sulle spalle dei giganti”, e che<br />
ciò che sappiamo si fonda sul sapere consolidato<br />
<strong>di</strong> chi ha vissuto e pensato prima<br />
<strong>di</strong> noi. Si può anzi <strong>di</strong>re che noi siamo fatti <strong>di</strong><br />
tempo, <strong>di</strong> tempo e pensieri altrui. Molti,<br />
anzi, vivono senza nulla aggiungere, ma<br />
semplicemente adattandosi, a ciò che altri<br />
hanno detto e fatto. Imparare bene la lezione<br />
<strong>degli</strong> antichi, che è lo spirito del Rinascimento,<br />
ci può essere sufficiente a vivere<br />
compiutamente. Chi non capisce il<br />
passato, e si esalta per il moderno, spesso<br />
tra<strong>di</strong>sce anche quello che vuole <strong>di</strong>fendere.<br />
Ricordo la strao<strong>di</strong>naria impressione del<br />
museo Kimbell <strong>di</strong> Forth Worth, opera <strong>di</strong><br />
Louis Kahn: un e<strong>di</strong>ficio straor<strong>di</strong>nariamente<br />
nuovo; guardandolo con attenzione appariva<br />
evidentemente ispirato dal tempio<br />
malatestiano <strong>di</strong> Leon Battista Alberti.<br />
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