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letture - Dipartimento di Architettura - Università degli Studi di Firenze

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Teatro del Mondo, 1979<br />

Quando il Teatro del Mondo giunse a Venezia dall’acqua, il mio amico portoghese José Chartes mi ricordò che esiste in Portogallo<br />

un proverbio o sentenza popolare che <strong>di</strong>ce che tutto ciò che è buono viene dal mare. Oltre all’omaggio vi era in quella affermazione<br />

qualcosa <strong>di</strong> carattere architettonico <strong>di</strong> questa singolare costruzione che poteva essere nata proprio sulle sponde dell’Atlantico in<br />

quella terra che il poeta portoghese definisce nel suo poema come “il paese dove finisce la terra e comincia il mare”...<br />

Anche Venezia è una città liminare tra acqua e mare; anzi è la città per eccellenza che vive questo rapporto. Rapporto antico e<br />

sempre precario dove la costruzione dell’uomo e la trasformazione della natura costituisce l’aspetto preminente dell’architettura.<br />

Anche nella Venezia <strong>di</strong> bianca pietra fermata dai monumenti palla<strong>di</strong>ani vi è questa memoria <strong>di</strong> una costruzione portuale, lignea,<br />

mercantile, dove la pietra è il materiale che conferma la prima appropriazione del luogo...<br />

“Si viene così a scoprire che lo stupito spaesamento dell’oggetto <strong>di</strong> Rossi, pur non avendo questa volta da reagire contro la<br />

cattiva periferia metropolitana,è ancora carico <strong>di</strong> messaggi alternativi nei confronti del luogo cui esso è destinato. Ma quel<br />

luogo non è solo il bacino <strong>di</strong> San Marco... la sua evidenza (del teatro) strappa impietosamente maschere che il tempo ha<br />

incollato ai volti” scrive Manfredo Tafuri.<br />

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Quest’ultima osservazione, in<strong>di</strong>pendentemente dal teatro da me costruito, è uno spunto importante per la questione dei<br />

centri storici; credo che le nuove costruzioni dovranno riscoprire l’architettura della città antica e non potranno in qualche<br />

modo considerare la maschera incollata al suo volto. Anche se tale maschera costituisce forse il fascino da cui non riusciamo<br />

a staccarci ed è <strong>di</strong>strutto e <strong>di</strong>strutto deve rimanere; perché ogni intervento è per sua natura, impietoso...<br />

Questo legame tra il Teatro del Mondo e la città è stato ed è per me molto forte, proprio perché questa costruzione traeva dalla<br />

tecnica e dalla storia la propria sostanza e la propria immagine...<br />

Le corrispondenze tra la città e l’oggetto non possono che nascere dalla storia; ma esse non sono facilmente preve<strong>di</strong>bili. La<br />

scomparsa del “demone dell’analogia”, secondo l’immagine <strong>di</strong> Libeskind, suscita una sterminata catena <strong>di</strong> confronti, <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong>,<br />

<strong>di</strong> reazioni che automaticamente si sovrappongono alla costruzione.<br />

Forse anche perché animato da questo demone l’e<strong>di</strong>ficio del Teatro del Mondo è stato un e<strong>di</strong>ficio fortunato e come tale è<br />

stato collocato vicino alla Fortuna veneziana; un elemento molto importante nella lettura <strong>di</strong> Venezia anche se poco notato nel<br />

suo lento muoversi, perché è necessario che non si colga facilmente il muoversi lento della Fortuna...<br />

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