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letture - Dipartimento di Architettura - Università degli Studi di Firenze

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una radura, l’in<strong>di</strong>fferenza ai valori tra<strong>di</strong>zionali<br />

dello spazio architettonico, e<br />

il tentativo <strong>di</strong> creare, attraverso luci,<br />

fumi, suoni, ritmi, alcool, un luogo che<br />

rifiuta ogni definizione <strong>di</strong> luogo, e che è<br />

costituito soprattutto dalla concentrazione<br />

<strong>di</strong> rumori, luci e persone in un<br />

punto qualsiasi, purchè reso opportuno<br />

da una tecnologia aggiornata.<br />

Certo, le antiche forme <strong>di</strong> piacere estetico<br />

–sempre peraltro, goduto da minoranze<br />

e <strong>di</strong> importanza quasi nulla rispetto<br />

all’ostensione <strong>di</strong> sé e della propria<br />

raggiunta agiatezza o potenza<br />

attraverso le forme eloquenti– sussistono<br />

ancora. I teatri sono ancora frequentati,<br />

anche in provincia, e hanno<br />

spesso ottimi programmi <strong>di</strong> prosa, <strong>di</strong><br />

concerti e d’opera lirica; non <strong>di</strong> rado<br />

sono teatri che si considerano d’avanguar<strong>di</strong>a;<br />

ma il loro ruolo non è <strong>di</strong>verso<br />

dal tran tran del passato. Si tratta <strong>di</strong><br />

luoghi <strong>di</strong> intrattenimento, come il cinematografo;<br />

dove si vedono e si rivedono,<br />

si vendono e si rivendono, repertori<br />

che non trascinano più. La stessa società<br />

per la quale sono nati li tollera<br />

spesso per puro conformismo, perché<br />

appartengono al proprio ritratto come<br />

attributo inevitabile. Certo, un giorno<br />

verranno autori che li desteranno dal<br />

loro sonno: questo significherà che<br />

queste forme d’arte riprenderanno,<br />

con pieno <strong>di</strong>ritto, a vivere.<br />

Ma per ora, dalla composizione musicale<br />

alla pittura sperimentale alla scultura<br />

all’arte applicata, tutto sembra<br />

esaurito, incluse le proliferazioni op,<br />

pop, concettuale, minimale, decostruzionista,<br />

neo-espressionista e quant’altro<br />

si sia sperimentato; l’esperimento,<br />

in generale, sembra concluso, chiuso in<br />

60<br />

una ripetitività e in un mutismo che non<br />

possiamo fingere <strong>di</strong> non vedere.<br />

L’arte del passato si è ritirata dai gran<strong>di</strong><br />

pubblici, non rappresenta più la via<br />

profana al trascendente; la grande poesia<br />

continua ad avere il suo u<strong>di</strong>torio,<br />

ma esiguo, come sempre. La filosofia<br />

attira u<strong>di</strong>enze per le quali è urgente la<br />

rivelazione del proprio senso, in<strong>di</strong>viduale<br />

e collettivo. Non c’è vera morte<br />

dell’arte, anzi, il suo mercato è in continuo<br />

sviluppo e raccoglie consensi venali<br />

astronomici. Ma dall’oscurità anonima<br />

delle masse <strong>di</strong> persone non è più<br />

lei a sgorgare: la memoria <strong>di</strong> questo<br />

tempo custo<strong>di</strong>sce altre impressioni, è<br />

ferita da altri eventi, gioisce <strong>di</strong> piaceri<br />

<strong>di</strong>versi. Il fatto stesso che le antiche feste<br />

religiose vengano celebrate soprattutto<br />

nei gran<strong>di</strong> shopping centers, nelle<br />

<strong>di</strong>scoteche e nei raves sembra suggerire<br />

il trionfo della trasformazione in bene<br />

<strong>di</strong> scambio <strong>di</strong> tutto ciò che è <strong>di</strong>sponibile<br />

al desiderio, e che il desiderio, sia<br />

nella fase dell’aspirazione che in quella<br />

dell’appagamento, è il solo trascendente<br />

che riesce a scaturire dall’anima<br />

dei molti. Trascendente impietoso, perché<br />

il suo prezzo è inflessibile, e comprende<br />

oscuramente il deperimento e<br />

la morte. E tuttavia è l’esistenza, sono<br />

le novità dell’esistenza le nuove realtà<br />

<strong>di</strong> pregio: non sempre necessariamente<br />

materiali né catalogabili, ma sempre<br />

in grado <strong>di</strong> suscitare l’entusiasmo dei<br />

sensi, sempre considerate come assolute<br />

necessità, come <strong>di</strong>ritti ere<strong>di</strong>tati.<br />

Come in Roma antica veniva offerto, al<br />

popolo come al senato e all’or<strong>di</strong>ne<br />

equestre, in forma <strong>di</strong> estremo piacere, il<br />

massacro <strong>di</strong> belve e <strong>di</strong> uomini nell’anfiteatro,<br />

e persino il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> decidere<br />

della vita e della morte dei superstiti,<br />

così, mi sembra, i più vari esperimenti<br />

<strong>di</strong> espressione contemporanea offrono<br />

l’ebbrezza e lo shock attraverso spettacoli<br />

<strong>di</strong> orrore, <strong>di</strong> violenza e <strong>di</strong> sangue –e<br />

non sempre virtuali– oppure <strong>di</strong> livido<br />

squallore quoti<strong>di</strong>ano, come il <strong>di</strong>sfacimento<br />

inscritto negli oggetti della nostra<br />

or<strong>di</strong>naria esistenza. Si tratta, in genere<br />

della protesta <strong>di</strong>chiarata –e quasi<br />

sempre spiegata a voce, dagli autori<br />

stessi o dai critici, durante le inaugurazioni–<br />

della protesta contro certe classi<br />

sociali, certi poteri, la denuncia della<br />

malvagità del mondo, della paura <strong>di</strong><br />

esistere. Questa espressione violenta è<br />

ormai tipica del cinema, non soltanto<br />

statunitense, e il gra<strong>di</strong>mento che incontra<br />

è enorme, anche se sembra suscitato<br />

più dall’orgasmo dell’anfiteatro che<br />

da qualunque parametro estetico. Qui<br />

la riflessione si può aprire a ventaglio su<br />

questioni etiche irrisolvibili, le cui fondamenta<br />

sfuggono rispetto all’essere lì<br />

delle realtà e al peso che esse esercitano<br />

su tutti gli altri aspetti della vita.<br />

Spetta forse a noi, in quanto capaci <strong>di</strong><br />

costruire, <strong>di</strong> tentare l’azzardo <strong>di</strong> definire<br />

quale possa essere lo spazio in cui<br />

si conservano le memorie, non già del<br />

passato, ma dell’impasto inafferrabile<br />

del presente: spazio parlante per la<br />

salvezza delle cose?<br />

Questo spazio, nelle sue linee principali,<br />

esiste già. Cominciamo appena a capire<br />

quale sia. Si tratta della città, nella<br />

sua interezza. E qui non si tratta <strong>di</strong> considerare<br />

la città come un museo, bensì<br />

come la concretezza vivente della memoria<br />

antica e contemporanea. È il museo,<br />

semmai, a cambiare <strong>di</strong> senso e a<br />

cercarne uno ulteriore, sia in termini <strong>di</strong><br />

organizzazione spaziale che <strong>di</strong> funzione<br />

civile. Forse proprio per questo la<br />

città finirà per ritrovare l’unico senso<br />

che possa ancora rivestire nella nostra<br />

cultura: il teatro della realtà, che comprende<br />

e dà senso a tutti gli altri musei:<br />

<strong>di</strong> qualunque città si tratti, d’Asia,<br />

d’Africa, d’America, d’Australia e d’Europa.<br />

Insomma, il vero fossile della cultura<br />

umana contemporanea è ogni città<br />

che abbia una lunga storia. Poiché,<br />

nella mentalità più <strong>di</strong>ffusa –e anche<br />

questa è una generalizzazione che preghiamo<br />

<strong>di</strong> scusare– il bello, troppo <strong>di</strong>fficile,<br />

ha ceduto il ruolo al seducente, al<br />

desiderabile, l’oggetto della conservazione<br />

non può consistere più soltanto<br />

nelle realtà scelte da inten<strong>di</strong>tori <strong>di</strong> professione,<br />

ma <strong>di</strong> fatto è la realtà stessa,<br />

tutta la realtà contemporanea che<br />

sembra necessario salvare attraverso<br />

le sue testimonianze materiali.<br />

La città è l’unità nella <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> queste<br />

testimonianze; la città e l’organizzazione<br />

del suo territorio; la città storica<br />

e quella che le è cresciuta intorno,<br />

sovrapponendosi come una malattia al<br />

suo antico territorio rurale. I segni della<br />

storia sono tutti in questa estensione.<br />

Le manifestazioni della vita civile lasciano<br />

qui i loro segni, le loro cicatrici,<br />

i loro entusiasmi, fino alla glorificazione.<br />

Il tempo, che è il grande contenitore<br />

delle civiltà, è stampato e descritto<br />

qui, <strong>di</strong>verso dal tempo delle stagioni e<br />

delle stelle, assolutamente umano.<br />

La città, memoria delle città<br />

Il prodotto originario <strong>di</strong> ogni civiltà sedentaria<br />

è la città, e da tempo –da almeno<br />

due secoli, da quando cioè i suoi<br />

moduli e le loro articolazioni costitutive<br />

sono stati alterati, operando su <strong>di</strong> essi e<br />

sui loro corrispondenti territoriali mutazioni<br />

dell’organizzazione dello spazio,<br />

costruzioni e <strong>di</strong>struzioni irreversibili– da<br />

tempo la cultura civile si è concentrata<br />

sul tema della città, senza peraltro riuscire<br />

a salvarla, né a creare un or<strong>di</strong>ne<br />

ine<strong>di</strong>to per la sua nuova materializzazione<br />

nello spazio. Ma, finora, senza<br />

nemmeno abbandonarla. E, sia nella<br />

cultura popolare che in quella specialistica,<br />

la nostalgia della città <strong>di</strong> Ancien<br />

Régime fa parte integrante della critica<br />

alla città contemporanea. Certo, in questa<br />

nostalgia giuoca la consapevolezza<br />

che la società si è frantumata, e cerca,<br />

escludendo e selezionando, <strong>di</strong> costituire<br />

nuove forme, senza riuscire che a<br />

smontare e rimontare ciò che ha sperimentato;<br />

la <strong>di</strong>struzione –o la mortificazione<br />

della fisionomia urbana tra<strong>di</strong>zionale,<br />

che tanto peso ha avuto per la sua<br />

amabilità, non dà compenso con alcuna<br />

novità spaziale che corpi e menti accolgano<br />

come affine; viene riscoperta la<br />

caratteristica irrinunciabile che conferisce<br />

l’universalità dello spazio pedonale<br />

alla città del passato e la si riapplica al<br />

tessuto urbano contemporaneo, tentando<br />

<strong>di</strong> integrarvi quegli elementi che<br />

erano compresenti nelle antiche organizzazioni,<br />

giungendo così a simulazioni<br />

parziali, atten<strong>di</strong>bili, gradevoli, ma<br />

come remote dal presente storico. Suggestioni<br />

già antiche, come quelle <strong>di</strong><br />

Gordon Cullen, <strong>di</strong> Kevin Lynch, senza<br />

parlare <strong>di</strong> Ruskin, Camillo Sitte, Lewis<br />

Mumford, Gie<strong>di</strong>on, <strong>letture</strong> e definizioni<br />

<strong>di</strong>ventate canoniche come testi sacri<br />

pulsano nella mente dei progettisti e<br />

<strong>degli</strong> amministratori e politici che attingono<br />

forza da questo tema e dalle proposte<br />

possibili. Negli anni ’60 del XX<br />

secolo l’Inghilterra e la Svezia erano,<br />

per gli architetti, i luoghi in cui questa<br />

problematica sembrava aver trovato<br />

spunti per soluzioni interessanti, così<br />

come gli Stati Uniti d’America erano,<br />

con l’America Latina, il crogiuolo nel<br />

quale andava formandosi lo spazio del<br />

progresso scientifico e tecnologico, e lo<br />

spazio sociale sperimentava forme ine<strong>di</strong>te<br />

<strong>di</strong> convivenza. Oggi, la persuasione<br />

generale è improntata a una sfiducia<br />

nella possibilità <strong>di</strong> intervenire su vaste<br />

aree urbane, tra<strong>di</strong>zionali o no, istituendovi<br />

un or<strong>di</strong>ne spaziale altrettanto persuasivo<br />

e risolutivo che quelli del passato.<br />

E, d’altra parte, le trasformazioni<br />

dello spazio abitato si verificano in<br />

modo <strong>di</strong>verso nei <strong>di</strong>versi tempi e aree <strong>di</strong><br />

sviluppo o <strong>di</strong> depressione economica;<br />

mentre il modello occidentale viene trasferito<br />

meccanicamente dovunque, con<br />

i suoi apparati amministrativi e le tipologie<br />

che li incarnano: grattacieli, autostrade<br />

urbane, svincoli, aeroporti, ecc.<br />

Questo paesaggio urbano, geografico,<br />

umano, qua e là in impreve<strong>di</strong>bile trasformazione,<br />

da qualche parte stagnante<br />

in un passato in <strong>di</strong>fficoltà, in altra<br />

parte impegnato in una ostinata resistenza,<br />

non è altro che il pianeta<br />

intero che si confronta, attraverso i<br />

viaggi <strong>di</strong> massa, con il sogno <strong>di</strong> un’armonia<br />

universale, insieme urbana e sociale,<br />

che non può essere materializzata<br />

se non andando a ritrovarla dove,<br />

nello spazio e nel tempo, sarebbe esistita:<br />

e dunque la realtà affidata alla<br />

memoria e alle Muse, il bene –o anche<br />

solo il piacere– che si insegue attraverso<br />

i viaggi, è, insieme, la bellezza naturale<br />

del mondo e la testimonianza umana<br />

delle città.<br />

Questa testimonianza, come la bellez-<br />

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