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La l<strong>in</strong>gua delle orig<strong>in</strong>i è tramontata e con essa <strong>la</strong> sua capacità di creare. Il poeta avverte questa<br />
lontananza e ne soffre. Così come patisce l’estraneità del presente.<br />
Ecco perché cerca di pronunciare una paro<strong>la</strong> che non rispecchi semplicemente eventi e cose, ma faccia<br />
segno all’unità preriflessiva e preconcettuale che ha preceduto il pensiero cosciente e razionale.<br />
Ecco perché <strong>la</strong>scia riaffiorare nelle parole riflesse ciò che resta <strong>in</strong> esse di non detto, consentendo<br />
l’emergere di un dire che ci preesiste: quel<strong>la</strong> «vera narratio» vichiana, dove fantasia e conoscenza sono<br />
una cosa so<strong>la</strong>. Giungendo a codificare nel<strong>la</strong> frase poetica non solo un’espressione artistica, ma anche vere<br />
e proprie forme di sopravvivenza.<br />
Il richiamo orig<strong>in</strong>ario conduce il poeta nel regno del caos, dove il cosmo è disord<strong>in</strong>ato e <strong>la</strong> forza del<br />
mysterium si muove liberamente tra elementi bestiali, demonici, metafisici, titanici. Qui il poeta scopre<br />
che quel<strong>la</strong> prima età non è caratterizzata solo da tenebre e terrore, ma anche da «quel<strong>la</strong> purissima<br />
fanciullezza <strong>in</strong> cui verità e menzogna, realtà e sogno non si dist<strong>in</strong>guono l’uno dall’altro», come registra<br />
Blumenberg.<br />
7.<br />
La natura cont<strong>in</strong>ua a rivolgersi al poeta, che è chiamato a tradurre questa sua l<strong>in</strong>gua muta e opaca nel<strong>la</strong><br />
gioia di nom<strong>in</strong>are. Per il poeta si tratta, oggi come allora, di tradurre nel nome ciò che non ha nome.<br />
Ma <strong>la</strong> natura quando par<strong>la</strong> non è comunemente udita perché l’<strong>in</strong>civilimento impedisce questa<br />
comunicazione. D’altro canto, <strong>la</strong> nostra l<strong>in</strong>gua, così piegata com’è al<strong>la</strong> conoscenza razionale, al<strong>la</strong><br />
c<strong>la</strong>ssificazione, si trova nell’impossibilità di nom<strong>in</strong>are l’essenza delle cose.<br />
Avviene <strong>qui</strong> l’<strong>in</strong>tervento decisivo del poeta: guarire <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> per recuperarne <strong>la</strong> facoltà orig<strong>in</strong>aria, tanto<br />
da rendere possibile sia il pensare del<strong>la</strong> scienza sia il sentire e l’immag<strong>in</strong>are del<strong>la</strong> poesia, ricorrendo al<strong>la</strong><br />
leopardiana «facoltà <strong>in</strong>ventiva».<br />
Guarire <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>. Come? Inducendo<strong>la</strong> a cambiare come un serpente <strong>la</strong> sua pelle, spogliando<strong>la</strong> di tutti i<br />
significati che, come strati consolidati dal tempo, ormai <strong>la</strong> <strong>in</strong>gessano e <strong>la</strong> paralizzano, per ricondur<strong>la</strong> a<br />
quel<strong>la</strong> nudità essenziale del primo giorno: ancora a metà <strong>in</strong> una luce preaurorale, ma già con contorni<br />
precisi.<br />
Guarire <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>. Giungendo a riprodurre l’evento misterioso del<strong>la</strong> sua nascita.<br />
Ma attenzione: l’orig<strong>in</strong>ario non è qualcosa che sta alle spalle dell’uomo tecnologico, all’<strong>in</strong>izio del<strong>la</strong> sua<br />
ascesa, bensì una dimensione contemporanea nello spazio, <strong>in</strong> cui le l<strong>in</strong>gue possono entrare <strong>in</strong> ogni<br />
momento e “comunicare” fra loro.<br />
8.<br />
Ammonisce Benn: «Noi portiamo i popoli primitivi nel<strong>la</strong> nostra anima, e quando <strong>la</strong> tarda ratio si <strong>la</strong>scia<br />
andare, nel sogno e nell’ebbrezza, essi sorgono con i loro riti, con il loro mondo spirituale prelogico, e<br />
concedono un’ora di partecipazione mistica. Quando <strong>la</strong> sovrastruttura logica si dissolve e <strong>la</strong> corteccia,<br />
stanca dell’attacco delle forze prelunari, apre il conf<strong>in</strong>e eternamente combattuto del<strong>la</strong> coscienza, ecco<br />
allora che l’elemento antico, l’<strong>in</strong>conscio, appare nel<strong>la</strong> magica trasformazione dell’Io e nell’identificazione,<br />
nel<strong>la</strong> primitiva esperienza del dappertutto e dell’essere eterno».<br />
È questo l’aperto al quale sono dest<strong>in</strong>ate molte opere dove non si dà per scontato o prevedibile nessun<br />
percorso stilistico: mettono <strong>in</strong> scena eventi di scrittura che sp<strong>in</strong>gono a portarsi più <strong>in</strong> là degli esiti<br />
espressivi, verso il pensiero: quel<strong>la</strong> partico<strong>la</strong>re forma di pensiero che nasce dal<strong>la</strong> poesia.<br />
Gli autori di queste opere ci dimostrano che non c’è un mondo da rispecchiare e non esiste alcuna<br />
certezza al<strong>la</strong> quale appel<strong>la</strong>rsi. Ci segna<strong>la</strong>no che viene meno il compito del<strong>la</strong> letteratura come descrizione.<br />
E ciò corrisponde a quel<strong>la</strong> che Harold Bloom def<strong>in</strong>isce l’ansietà delle orig<strong>in</strong>i, scaturita dal bisogno da parte<br />
di un essere umano di r<strong>in</strong>ascere mediante un atto di scrittura che è per lui l’unica condizione per sottrarsi<br />
al terribile potere del<strong>la</strong> ripetizione.<br />
9.<br />
La poesia va pensata non come un rapporto sulle sensazioni, ma come l’organizzatrice diretta delle<br />
stesse. Come scrive Guy Debord, «si tratta di produrre noi stessi».<br />
«Si tratta di produrre noi stessi»: mettendo <strong>in</strong> questione modelli e forme di vita, aprendo nuovi scenari.<br />
Ognuno per sé, per <strong>la</strong> propria specificità. Perché fuori di sé non è proprio possibile trasformare un bel<br />
niente se non si è capaci di trasformare se stessi.<br />
Insomma, ci vorrebbe maggior tolleranza per le parti notturne del<strong>la</strong> nostra anima, tenute al solito<br />
accuratamente nascoste.<br />
10.<br />
I tempi che viviamo sono più del calco<strong>la</strong>re che quelli del meditare. Anziché proteggere <strong>la</strong> sua felicità,<br />
l’uomo si dà un’esistenza pietrificata, si <strong>in</strong>fligge progressive muti<strong>la</strong>zioni.<br />
Insomma, il disagio che ci opprime, se può essere scatenato da altri, è stato tuttavia da noi accolto senza<br />
troppe difese. E col tempo è divenuto quasi una forma di vita al<strong>la</strong> quale difficilmente sentiamo ora di<br />
poter r<strong>in</strong>unciare.<br />
Essere pensati da altri alleggerisce il peso del<strong>la</strong> nostra esistenza. Questo è vero. Ma lo riteniamo anche<br />
giusto?<br />
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