così agile del<strong>la</strong> letteratura, <strong>la</strong> sua forza e allo stesso tempo <strong>la</strong> sua <strong>in</strong>credibile discrezione, forse fu <strong>la</strong> perdita del<strong>la</strong> sua voce che <strong>in</strong>stancabilmente portava <strong>in</strong> redazione le proprie scoperte e i propri studi e ci appassionava a partecipare alle questioni <strong>in</strong> cui si imbatteva, forse fu questa perdita che segnò il divampare del conflitto e portò alle dimissioni di Agosti. Il n. 25 verbivocovisual (famoso neologismo di Joyce), numero da me voluto per rie<strong>la</strong>borare <strong>la</strong> portata del<strong>la</strong> teoria e del<strong>la</strong> pratica sviluppatasi attorno al gruppo di “tamtam” (Spato<strong>la</strong>, Nicco<strong>la</strong>i, Costa, ecc.), fu fatto con <strong>la</strong> sua più totale disapprovazione. Attualmente, il comitato è più giovane (Andrea Cortellessa, Maria Antonietta Grignani, Gabriele Frasca, Niva Lorenz<strong>in</strong>i) e sembrerebbe deciso ad affrontare con tutt’altre premesse il problema del<strong>la</strong> militanza. Del resto, i tempi sono cambiati, e le contrapposizioni che sono sul campo oggi sono ben diverse da quelle di dieci anni fa. Oggi, penso che abbiamo a che fare con il fenomeno delle più grosse case editrici che dettano <strong>la</strong> loro poetica, e riconoscono solo quel<strong>la</strong>. E <strong>la</strong> mettono al servizio di un certo tipo di restaurazione politica. Il discorso sul<strong>la</strong> poesia non riconosce più nemmeno l’esistenza delle grandi <strong>in</strong>novazioni portate nel Novecento dalle scienze umane. Jakobson ci aveva dato un criterio essenziale per riconoscere <strong>la</strong> poesia, che era <strong>la</strong> presenza e l’<strong>in</strong>cidenza del paradigma. Senza quello, non c’è più nessun <strong>la</strong>voro sul<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua. E mi sentirei di aggiungere: senza quello, nemmeno <strong>la</strong> metrica, nemmeno <strong>la</strong> rima possono portare a un qualche significato poetico. Milli Graffi 34
KAMEN’ «Kamen’» è nata nel 1991 per ripensare <strong>la</strong> forma «<strong>rivista</strong>» e <strong>in</strong> specie <strong>la</strong> forma «<strong>rivista</strong> di poesia». I redattori, da posizioni diversificate e per <strong>in</strong>teressi specifici, avevano trovato un terreno comune d’<strong>in</strong>tesa a chiusura di esperienze di <strong>la</strong>voro culturale collettivo. Nel<strong>la</strong> redazione erano Amedeo Anelli, Danie<strong>la</strong> Marcheschi, Luigi Commissari, Danie<strong>la</strong> Cremona, Gianni D’Amo; a questi per spontaneo sentire si sono uniti altri <strong>in</strong>tellettuali, italiani come Stefania S<strong>in</strong>i, e stranieri di prestigio <strong>in</strong>ternazionale come Birgitta Trotzig, Christ<strong>in</strong>e Koschel, Richard H. Weisberg. Concordavano tutti nel denunciare <strong>la</strong> dissignificazione delle strutture culturali e sociali che, negli anni Ottanta, appariva <strong>in</strong> fase acuta, per lenta e lontana maturazione dei malesseri del Novecento e del<strong>la</strong> modernità. Si constatava sul campo che nelle riviste di quegli anni, nel loro <strong>la</strong>mpeggiare e proliferare, era un calo di progettualità a lunga "gittata", se non un misconoscimento del<strong>la</strong> pluriaccentuatività delle strutture culturali, del<strong>la</strong> complessità delle stesse e delle tradizioni molteplici. In nome del monologismo, dell’identificazione del<strong>la</strong> Tradizione con <strong>la</strong> Storia, le tradizioni erano travolte da un progressivo processo controprassistico di svuotamento e occupazione di ogni <strong>in</strong>terstizio mediale. La specie più diffusa nel<strong>la</strong> “botanica” delle riviste, segnatamente letterarie ma non solo, di ambito non accademico e accademico (<strong>la</strong> cui analisi comporterebbe considerazioni aggiuntive), era <strong>la</strong> <strong>rivista</strong> contenitore o almanacco: bric à brac di evenienze, di occasioni, opportunità e opportunismi, una mortificazione dell'eventualità dell'esistente, disgiunto da qualsiasi accadimento e poetica se non <strong>in</strong> forma mortuaria e di registrazione catastale. Mancavano l’approfondimento, <strong>la</strong> sistematicità di scelte tali da offrire riflessioni, <strong>in</strong>terpretazioni, dissensi o consensi forti che non fossero semplice presa d’atto di <strong>la</strong>vori <strong>in</strong> corso. Bisognava riaffermare un pr<strong>in</strong>cipio di responsabilità del<strong>la</strong> cultura e nel<strong>la</strong> cultura, un pensiero vòlto a “cambiare il cambiamento”, non ad esserne passiva ped<strong>in</strong>a. Soprattutto era debole l’idea di poesia pur nell’attivismo delle riviste. Per tale visione forte del<strong>la</strong> cultura e dell’<strong>in</strong>tellettuale si decideva <strong>la</strong> formu<strong>la</strong> monografica, che permetteva di affrontare i vari argomenti nel modo più completo ed approfondito. Da <strong>qui</strong> <strong>la</strong> scelta di dedicare numeri diversi a un argomento di partico<strong>la</strong>re importanza culturale: come nel<strong>la</strong> serie dedicata a Giacomo Noventa o a D<strong>in</strong>o Formaggio. Ritenevamo <strong>in</strong>oltre che, per tempi di lettura del lettore colto e specialistico e di ogni altro affezionato, <strong>la</strong> periodicità dovesse essere perlomeno semestrale e che l'uscita dovesse essere v<strong>in</strong>co<strong>la</strong>ta, al di là delle cont<strong>in</strong>genze, a numeri <strong>in</strong> cui fosse qualcosa di valido da sottoporre al<strong>la</strong> pubblica attenzione. Si voleva <strong>in</strong>somma evitare l'effetto “Grand Hotel”: <strong>la</strong> <strong>rivista</strong> da sfogliare, da leggiucchiare, ma da non leggere <strong>in</strong>tegralmente, non da meditare. La pietrosità del<strong>la</strong> <strong>rivista</strong> (Kamen’: dal russo “pietra”, omaggio al<strong>la</strong> raccolta di versi di Osip Mandel’stam, ma anche simbolo forte di paro<strong>la</strong>) ne usciva <strong>in</strong>crementata. L’<strong>in</strong>tenzione era porre l’accento sulle tradizioni del<strong>la</strong> poesia di pensiero a forte radicamento etico, senza e<strong>qui</strong>voci col pensiero poetante, e questo per l’avversione verso poetiche di orig<strong>in</strong>e idealistica radicate nelle aporie romantiche del<strong>la</strong> modernità da denunziare e tentare di sanare. «Kamen’» è diventata così più che una <strong>rivista</strong>, cioè un progetto <strong>in</strong>ternazionale plurimo e un’ampia comunità di ricerca sulle tradizioni europee e non solo, avendone un senso progressivo e guardando <strong>in</strong>nanzi tutto a quelle avvenire, ma con il sentimento che sia sempre possibile una protenzione <strong>in</strong>versa dal futuro al presente. Si sono tradotti poeti di varie geografie, <strong>in</strong>editi o poco conosciuti <strong>in</strong> Italia; alcuni sono poi entrati nel<strong>la</strong> redazione. Fra loro Kar<strong>in</strong> Boye, Birgitta Trotzig, Christ<strong>in</strong>e Koschel, Maria La<strong>in</strong>à, Inger Christensen, Urszu<strong>la</strong> Koziol, Lidija Vukevic, Francisco Br<strong>in</strong>es, Carlos Contramaestre, Herberto Helder, António Ramos Rosa. Per gli italiani è un discorso a parte. C’è un enorme <strong>la</strong>voro da fare sul Novecento <strong>in</strong> sede storiografica, per <strong>la</strong> crisi <strong>in</strong> cui versa l’Italianistica, che <strong>in</strong> questa sede non si può discutere. Bisogna <strong>la</strong>vorare sul Novecento per restituirlo al<strong>la</strong> molteplicità delle tradizioni. Da <strong>qui</strong> l’attenzione a Carlo Michelstaedter, Giacomo Noventa, Rodolfo Quadrelli, Alfonso Gatto, a Giuseppe Pontiggia e a Giancarlo Buzzi, per valorizzare autori non epigonali, che si muovono <strong>in</strong> tradizioni forti o eccentriche rispetto al<strong>la</strong> vulgata odierna. Riguardo a tale vulgata, e per scorcio, <strong>la</strong> situazione del<strong>la</strong> poesia italiana dagli anni Sessanta sembra muoversi fra estetizzazione del<strong>la</strong> vita e politicizzazione dell’arte, deprivandosi di valori e significati. Un esempio è l’ultimo Montale, che parte da un abbassamento stilistico e teorico verso <strong>la</strong> prosaicità e <strong>la</strong> m<strong>in</strong>imizzazione crepusco<strong>la</strong>re, dopo aver mantenuto non pochi residui d’ambito simbolista. In parte del<strong>la</strong> poesia italiana restano forme esaurite del<strong>la</strong> l<strong>in</strong>ea simbolista-decadente; con grande ritardo rispetto alle tradizioni dell’Europa. Salvo poche eccezioni, questa poesia tende a ripetere moduli e temi ormai notori, tanto che tale processo di estenuazione assume oggi effetti mostruosi e grotteschi. C’è un autorispecchiarsi che non fa poesia e non forma il pubblico. Tale fenomeno è aggravato dall’atteggiamento nichilistico se non opportunistico del<strong>la</strong> critica, che ha abdicato al proprio ruolo e che spesso manca di visioni autentiche del<strong>la</strong> Letteratura. Per seguire tradizioni diverse del<strong>la</strong> poesia, <strong>la</strong> <strong>rivista</strong> si è soffermata su alcune voci italiane, oltre a quelle europee già <strong>in</strong>dicate, di partico<strong>la</strong>re <strong>in</strong>teresse per <strong>la</strong> loro ricerca e il rigore formale: Giampiero Neri, per <strong>la</strong> sovrapposizione e tensione fra prosa e poesia, fra natura e storia; Guido Oldani per <strong>la</strong> visione di un realismo babelico e <strong>la</strong> moralità risentita; Pier Luigi Bacch<strong>in</strong>i per <strong>la</strong> resa lirica e non straniata dei l<strong>in</strong>guaggi scientifici, per <strong>la</strong> visione cosmica e geologica del mondo; Remo Pagnanelli per <strong>la</strong> tensione tragica del<strong>la</strong> sua l<strong>in</strong>gua poetica; Anna Cascel<strong>la</strong> per <strong>la</strong> percezione prosciugata, non idillica degli affetti; Crist<strong>in</strong>a Ann<strong>in</strong>o per lo scompag<strong>in</strong>amento immag<strong>in</strong>ativo e verbale; Elio Pecora per il nitore, l’<strong>in</strong>tonazione f<strong>in</strong>emente giocosa dei suoi versi; Roberto Pium<strong>in</strong>i per <strong>la</strong> non dist<strong>in</strong>zione fra autori per gli adulti e per l’<strong>in</strong>fanzia <strong>in</strong> 35
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