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“tasse”: poiché ogni servizio è non obbligatorio<br />

ma volontario e poiché tutto è demandato alla<br />

trattativa privata, è meglio parlare di “contratti”<br />

o di “pagamenti” come per ogni altro tipo di<br />

merce (cibo, oggetti, terreni ( 6 )...) che può essere<br />

acquistata senza un interlocutore privilegiato<br />

e/o senza una qualche forma di coercizione<br />

da parte di terzi.<br />

Portando il ragionamento alle sue estreme<br />

conseguenze si giunge all’abolizione della proprietà<br />

pubblica (res publica = res nullius) che è<br />

poi la fonte di ogni tipo di discriminazione.<br />

Cosa significa infatti che “qualcosa è di tutti”?<br />

Che tutti ne possono fare l’uso che vogliono?<br />

O che nessuno ne può fare alcun uso? O ancora<br />

che chiunque ne può fare solo un ben determinato<br />

uso?<br />

Non ci sembra esistano altre possibilità di concepire<br />

la res publica; si tenterà quindi ora di dare<br />

delle motivazioni valide per cui la proprietà pubblica,<br />

oltre a non avere alcun senso, è addirittura<br />

una forma di violenza statale nei confronti<br />

delle libertà individuali.<br />

Nel primo caso ci sembra chiaro il “conflitto<br />

di libertà” che si viene subito a creare. Se infatti<br />

di un terreno chiunque può fare l’uso che vuole,<br />

è legittimo supporre che X possa ad esempio decidere<br />

di coltivarlo. D’altra parte Y ha altrettanta<br />

ragione nel pretendere di edificarvi un palazzo.<br />

Chi dei due dunque ha ragione? Rothbard<br />

probabilmente risponderebbe che ha ragione il<br />

primo che avanza delle pretese sul terreno in discussione.<br />

In tal caso però l’ipotesi (che il terreno<br />

fosse pubblico) è del tutto inutile se non sbagliata:<br />

il terreno, inizialmente di nessuno (ma<br />

non di tutti), spetta a colui che per primo lo trasforma<br />

col proprio lavoro.<br />

<strong>La</strong> seconda ipotesi poi è palesemente assurda:<br />

se di un terreno nessuno può fare l’uso che vuole<br />

vengono lesi i naturali diritti di ognuno alla<br />

potenziale proprietà di quel terreno. Peraltro<br />

quella terra può essere considerata ragionevolmente<br />

terra di nessuno, e quindi chiunque se<br />

ne può appropriare secondo le modalità precedentemente<br />

descritte.<br />

L’ultima ipotesi è quella più accreditata dagli<br />

statalisti ma anche quella che nasconde in maniera<br />

più forte il germe della violenza e della<br />

( 6 ) A proposito della proprietà fondiaria Rothbard fa un discorso<br />

molto particolare teso ad eliminare possibili monopoli:<br />

ognuno è proprietario di tutta e sola la terra che, col<br />

proprio lavoro, è in grado di trasformare. In altre parole<br />

chiunque, vedendo un terreno privo di segni evidenti del la-<br />

coercizione. Se di un terreno “pubblico” si può<br />

fare solo un determinato uso, qualcuno avrà<br />

dovuto decidere quale uso farne. Ora questo qualcuno,<br />

chiunque esso sia (non importa se un politico<br />

o un boiardo o - come più spesso accade -<br />

un mafioso) cercherà di portare acqua al proprio<br />

mulino; in altre parole, farà in modo che il<br />

terreno diventi indirettamente una sua proprietà<br />

o quantomeno sia utilizzato per fare qualcosa<br />

di utile non per la comunità, ma per il tornaconto<br />

personale. <strong>La</strong> res publica è cioè di fatto<br />

proprietà privata, ma a parole “roba di tutti”; traduzione:<br />

le spese sono pubbliche, i ricavi privati.<br />

Tutto ciò va contro le regole del libero mercato,<br />

secondo cui chiunque sia proprietario di<br />

qualcosa deve esserne proprietario in tutto, nel<br />

bene e nel male; inoltre indirizzare l’uso di un<br />

terreno in una certa direzione potrebbe significare<br />

inserire un interlocutore privilegiato sul<br />

mercato o obbligare altre persone ad usufruire<br />

di quel terreno intervenendo così indebitamente<br />

in trattative in corso tra terzi (creare cioè degli<br />

oligopoli o dei monopoli).<br />

Tutto questo lungo discorso, sebbene possa<br />

sembrare a prima vista del tutto teorico e privo<br />

di applicazioni pratiche o attuali, è al contrario<br />

perfettamente adattabile al caso della Padania.<br />

Dopo 140 anni di sfruttamento da parte di<br />

Roma, i cittadini padani hanno deciso di dire<br />

basta e di urlare la propria rabbia. Hanno però<br />

un grosso nemico: il codice del camerata Rocco<br />

che contempla reati come l’attentato all’unità<br />

nazionale punibili col massimo della pena,<br />

l’ergastolo. È chiara l’eredità fascista di una tale<br />

normativa (al di là del nome di colui che ha<br />

scritto il codice, anche la sostanza si rifà ad una<br />

visione nazionalista della peggior specie che i<br />

costituenti si sono ben guardati dall’eliminare).<br />

Ed è curioso come a sostenerla siano anche<br />

i cattolici (forse dimentichi del non expedit)<br />

e coloro che fino a non troppo tempo fa<br />

sono stati internazionalisti e che bollavano<br />

come fascista ogni minima manifestazione di<br />

patriottismo. Mai come ora sono apparse vere<br />

le parole di Samuel Johnson (non a caso più<br />

volte citate dal nostro Gilberto Oneto) quando<br />

affermava che “il patriottismo è l’ultimo rifugio<br />

dei mascalzoni”.<br />

voro altrui, può appropriarsene lavorarla ed ogni recriminazione<br />

del precedente “proprietario” non può essere ritenuta<br />

valida per la definizione stessa di “proprietà” (ognuno è proprietario<br />

di ciò che è in grado di mescolare col proprio lavoro).<br />

Vedi M. N. Rothbard, L’etica..., op. cit., pagg. 59 - 235.<br />

Anno III, N. 9 - Gennaio-Febbraio 1997 Quaderni Padani - 11

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