Scarica PDF - La Libera Compagnia Padana
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Arnaldo Borella e Lorenzo Ferrari, gli ultimi suonatori dell’Appennino<br />
Parmense (foto Claudio Zavaroni, 1981)<br />
queste riguarda la canna del canto (o chanter).<br />
Infatti nell’area celtica questa è sempre una e<br />
solo una, ma dal volume sonoro notevole, è quasi<br />
sempre cromatica, cioè sono possibili quasi tutti<br />
gli intervalli di un mezzo tono, ed ha un’estensione<br />
che può variare da un’ottava a quasi due.<br />
Al di sotto dello spartiacque appenninico - e, per<br />
estensione, nell’area mediterranea - questa componente<br />
dello strumento è doppia, cioè abbiamo<br />
due chanter, con una estensione minore e<br />
un volume sonoro minore, ma con la possibilità<br />
di una armonizzazione essenziale, poiché i<br />
due chanter non sono all’unisono, ma intervallati<br />
in genere di una terza. I bordoni sono sempre<br />
due, ma a differenza della piva e di tutte le<br />
altre cornamuse europee, dove sono inseriti dietro,<br />
e vanno portati sulla spalla, qui stanno davanti,<br />
e fuoriescono dal cippo (raccordo di legno<br />
tra le canne e la sacca) assieme ai chanter.<br />
Questo strumento meridionale è più propriamente<br />
chiamato zampogna.<br />
<strong>La</strong> piva è caduta in disuso rispetto alle altre<br />
cornamuse; da molti anni non è più conosciuta<br />
a livello popolare come potrebbero essere oggi<br />
la uillean pipe o la bag pipe nei paesi anglosassoni,<br />
anzi era stata quasi completamente dimenticata.<br />
Grazie però alle preziosissime ricerche<br />
condotte da alcuni valorosi, tra cui ricordiamo<br />
quelle svolte quindici anni or sono da Bruno<br />
Grulli nell’Emilia occidentale, abbiamo scoperto<br />
per l’appunto che in Padania avevamo una<br />
nelle orchestrine da ballo della nostra montagna<br />
già dal secolo scorso: come altri aerofoni<br />
antichi, anche la piva non era temperata, il che<br />
rendeva molto difficile suonarla con altri strumenti<br />
che avevano già raggiunto una standardizzazione.<br />
Fortunatamente oggi assistiamo, se<br />
non ad una ripresa vera e propria, almeno ad<br />
una nuova attenzione a questi aspetti quasi dimenticati<br />
della nostra musica tradizionale, sia<br />
attraverso gruppi musicali che coltivano il repertorio<br />
della piva o ne traggono ispirazione, sia<br />
attraverso tentativi di ricostruzione di questo<br />
strumento eminentemente padano.<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
cornamusa tutta nostra, ancora<br />
abbastanza diffusa sulle nostre<br />
montagne fino a qualche<br />
decennio fa, quando molti, non<br />
necessariamente pastori, la sapevano<br />
suonare, e nelle feste<br />
popolari legate ai momenti più<br />
importanti della vita rurale<br />
(come sagre, matrimoni, questue<br />
dell’Epifania, veglie di Carnevale<br />
- vale a dire nell’ambito<br />
prevalente delle festività rituali<br />
profane) la gente danzava al<br />
suono della piva i caratteristici<br />
balli saltati che accomunano<br />
tutti i paesi celtici. Era rimasta<br />
comunque uno di quegli strumenti<br />
cosiddetti “poveri”, usati<br />
da e per le classi non dominanti,<br />
ed è stata abbandonata<br />
soprattutto per il prepotente<br />
avvento del violino, che l’ha so-<br />
stituita come strumento solista<br />
❏ B. Grulli, Appunti sulla presenza della “piva<br />
dal carnér” in provincia di Reggio Emilia, in:<br />
Strenna 1987 del Pio Istituto Artigianelli, Reggio<br />
Emilia 1987<br />
❏ A. Baines, Storia degli strumenti musicali,<br />
Rizzoli, Milano 1995<br />
❏ C. Sachs, Storia degli strumenti musicali,<br />
Mondadori, Milano 1995<br />
Ulteriori referenze bibliografiche rintracciabili in:<br />
❏ Guida alla musica popolare in Italia, vol I,<br />
Forme e strutture, a cura di R. Leydi, Libreria<br />
Musicale Italiana, Lucca 1996<br />
Anno III, N. 9 - Gennaio-Febbraio 1997 Quaderni Padani - 43