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Norme di questo tipo perdono ogni validità da un punto di vista libertario ( 7 ) secondo cui ogni forma di violenza (cioè coercizione, cioè non rispetto delle volontà dei singoli) è illegittima e pertanto non può essere rispettata: in altre parole, se non ci danno ciò a cui abbiamo diritto, ce lo dobbiamo prendere. Con questo non vogliamo dire che da domani la Padania debba essere indipendente perché lo diciamo noi; chiediamo semplicemente che ci venga riconosciuto il diritto (peraltro sancito da norme dell’ONU approvate a suo tempo anche dall’Italia) a decidere sul nostro futuro. Le modalità da seguire per giungere all’indipendenza sono state già più volte esaminate sui Quaderni Padani ( 8 ); non è pertanto nostra intenzione ripetere cose già dette da altri. Ci teniamo comunque a sottolineare che, indipendentemente dal metodo con cui la Padania giungerà (e di questo possiamo dirci sicuri) alla libertà, sicuramente all’indomani sorgeranno le prime contese tra nazionalisti e liberali; le due componenti attuali cioè di tutti i movimenti autonomisti che ora convivono ben sapendo di avere, almeno in partenza, lo stesso scopo. Quando però la Confederazione Padana sarà una realtà concreta si tratterà di darle un’organizzazione che abbiamo definito “non italiana”, e l’unico modo di sfuggire al modello dello stato moderno è negarlo in ogni sua forma. In altre parole l’errore fatale in cui l’autonomismo potrebbe cadere è quello di creare un’altra Italia con tutti i suoi difetti, le sue tasse e i suoi balzelli. Per questo motivo in partenza ci siamo soffermati sulla questione delle secessioni a catena. Sarebbe assurdo che proprio coloro che hanno sperimentato sulla propria pelle cosa significa e cosa comporta il nazionalismo in tutte le sue manifestazioni si comportassero alla stessa maniera dei loro precedenti oppressori. ( 7 ) “Negli ordinamenti federali di stampo contrattualistico il diritto di secedere è riconosciuto e si pone come atto legale riconducibile all’autonomia dei singoli gruppi politici che compongono l’unione”, Alessandro Storti, “La secessione come facoltà prepolitica e diritto naturale”, su Quaderni Padani n. 3, pagg. 6 ÷ 9. Come già notato i “singoli gruppi politici che compongono l’unione” non devono coincidere necessariamente con le attuali entità politico - amministrative (nel nostro caso le regioni) e con comunità definite secondo arbitrari criteri definiti oggettivi: è sufficiente che un gruppo di cittadini richieda l’indipendenza, anche senza eventuali motivazioni storico - culturali, territoriali, economiche e simili. Nel caso in cui alcune o tutte queste condizioni concorrano tra loro (come in Padania) la richiesta di autodeterminazione acquista, se possibile, ancor più valore. In altre parole una delle condizioni coerenti per poter ottenere la secessione della Padania è mettere in conto fin da ora la possibilità (e il diritto) alla secessione anche dell’Occitania, del Tirolo o di Seborga e non negare a loro ciò che per tanto tempo è stato negato a noi. Quella che dunque è stata spesso usata come critica alla secessione della Padania (il rischio di legittimare una “eccessiva” - ma secondo quali parametri si può poi definire “eccessiva”? - frammentazione) dovrà essere uno dei nostri cavalli di battaglia. E non vediamo come possa essere altrimenti: riconoscere il diritto all’autodeterminazione a un popolo significa inevitabilmente riconoscerlo a tutti i popoli; e una delle tante debolezze dello stato italiano sta proprio nell’aver legittimato tutti i processi di secessione in corso nel mondo salvo poi pentirsene quando è stata “vittima” di quelle stesse agitazioni cui poco tempo prima aveva rivolto il proprio plauso ( 9 ). Tutto ciò dipende dall’errata convinzione che la frammentazione sia dannosa: in realtà, come la storia dimostra fin troppo eloquentemente, gli stati che hanno avuto il migliore sviluppo sono quelli più piccoli. Questo per molteplici motivi, non ultimo quello che, mentre uno stato grande come l’Italia o la Francia, ha la possibilità di intervenire sul mercato rendendolo così chiuso e favorendo alcuni imprenditori piuttosto che altri (vedi la FIAT o l’Olivetti), al contrario uno stato piccolo è costretto dalle cose ad aprire le proprie frontiere alle merci estere, non essendo assolutamente in grado di raggiungere l’autosufficienza. Per questo anche la politica interna della Padania dovrà essere liberale al massimo e permettere la libera circolazione delle merci senza boicottare certe imprese. E si badi che un comportamento simile va a tutto vantaggio dei singoli, non più legati ai prodotti “nazionali” ma liberi di scegliere ciò che si preferisce, in base a valu- ( 8 ) Vedi: Alessandro Storti, “Per la libertà della Padania una costituente territoriale”, su Quaderni Padani n. 4, pagg. 2 ÷ 7; Alessandro Vitale, “Condizioni giuridiche internazionali per il principio di autodeterminazione e referendum per le comunità territoriali che aspirano all’indipendenza”, su Quaderni Padani n. 5, pagg. 3 ÷ 5; Alessandro Storti, “La secessione comincia dalle regioni”, su Quaderni Padani n. 7, pagg. 42 ÷ 47. ( 9 ) Giova ricordare quanto detto dal leader nazionalista russo Zhirinovskj all’indomani della manifestazione indipendentista del 15 settembre scorso: la solidarietà nei confronti della Lega Nord è stata dal russo motivata con una frase del tipo “l’Italia ha avuto quello che si è meritata dopo aver appoggiato le secessioni dei diversi stati sovietici” e non da una vicinanza politica o ideologica tra i due movimenti come è stato scritto dai giornali. 12 14 - Quaderni Padani Anno III, N. 9 - Gennaio-Febbraio 1997
tazioni del tutto personali. Chi vorrà potrà comprare un prodotto perché è “di casa nostra” o perché è più economico o perché è migliore degli altri senza alcuna forma di interventismo statale. Questo non per qualche astruso motivo ma semplicemente perché agevolare (cioè permettere) la concorrenza consente di avere una maggiore possibilità di scelta oltre che naturalmente avere servizi migliori; ostacolare il mercato è dunque stupido, oltre che illegittimo. Concludendo: la Padania, allo stato attuale delle cose, avanza delle richieste illegali ma perfettamente legittime. Dovrà pertanto farsi coraggio e pretendere ciò che le spetta. Se riuscirà a conquistare l’indipendenza, la Padania dovrà però darsi una struttura del tutto differente da quella attuale dello stato italiano, centralista, burocratista e prefettizio. La Padania dovrà compiere ogni propria scelta basandosi sul criterio del maggiore o minore rispetto della libertà individuale e del libero mercato. Ogni scelta in senso contrario andrà aborrita per non ricadere nell’equivoco tutto italiano di uno stato nelle mani di poche persone che non fanno altro che taglieggiare chi lavora e produce. La solidarietà stessa nei confronti dell’Italia e di qualunque altra area ritenuta depressa non dovrà essere imposta per legge. Ciò non significa naturalmente che non potremo più aiutare chi sta peggio di noi: aiuteremo però solo chi vorremo aiutare e se lo vorremo aiutare. In particolare, è ragionevole pensare che difficilmente daremo un contributo a chi lo chiede non per lavorare, ma al contrario per poter campare non facendo nulla ( 10 ). ( 10 ) Ennio Flaiano una volta ha detto che gli Italiani (ma crediamo che non si riferisse ai Padani) sono quella gente che “vorrebbe lavorare poco e guadagnare molto; in subordine, lavorare poco e guadagnare poco”. Anno III, N. 9 - Gennaio-Febbraio 1997 Quaderni Padani - 13
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