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ALBERTONI - Il mutamento radicale del mondo antico avviene visivamente con la figura di Costantino che è double-face. Da un lato questi è l’imperatore che lascia Roma, fonda Costantinopoli, trasferisce fisicamente nel 330 d.C. gli abitanti dell’Urbe -soprattutto la classe dirigente- a Bisanzio sul Bosforo; contemporaneamente egli è l’uomo della corruzione. La figura di Costantino è particolarmente contraddittoria. Nella “Storia nuova” di Zosimo, autore di cui si sa molto poco, che si presume scritta tra il 507 e il 518 d.C., viene descritto un imperatore molto lontano dall’apologetica convenzionale. C’è un Costantino che si volge al cristianesimo quasi casualmente. Dopo aver ucciso il figlio e la moglie adultera va, infatti, dai sacerdoti per chiedere di fare sacrifici che lo purifichino dai delitti commessi. Venendogli data una risposta dubbiosa e negativa, ne ha risentimento ed avendo sentito da un egiziano della corte che il Dio dei cristiani perdona i peccati, ecco che egli decide di appoggiare la nuova religione. È noto d’altronde che Costantino viene battezzato secondo il rito ariano soltanto in punto di morte. Il fatto che il rito sia quello ariano, ereticale, si ripete per altre conversioni importanti. La storia di Zosimo, fortemente ispirata al paganesimo, va considerata con prudenza. Ciò che però è indubbio è la polivalenza dell’imperatore. È un personaggio con una duplice natura. È l’uomo che guarda al futuro, e lo dimostra il fatto che Bisanzio, continuatrice dell’idea imperiale di Roma, resistette come Stato per 1000 anni dopo il crollo dell’occidente romano, fino al 1453, anno della conquista turca. Ma Costantino porta anche nella nuova Roma la corruttela e il disfacimento della sorella d’Occidente. Sul piano delle simmetrie storiche, pur dovendoci muovere con molta attenzione critica, si comprende meglio il significato delle vicende del passato se si ha una concezione della storia non lineare ma di tipo vichiano, fatta di corsi e ricorsi, con alternarsi di ritmi. Vediamo che il periodo del passaggio costantiniano è segnato da due fenomeni. Il primo è quello che diceva lei prima; il mondo di allora come quello mondo di oggi subisce una grande trasformazione nella direzione della globalizzazione (l’universalismo cristiano caratterizza e modella infatti quel periodo). L’altro è il passaggio da un universalismo politico, che vede comunque un centro dominatore in Roma e poi in Costantinopoli, alla progressiva e sempre meno contenibile formazione di entità più grandi dei municipi e delle colonie; entità che rappresentano una serie di nuovi soggetti comu- nitari e politici. Questo processo generatore di nuove strutturazioni istituzionali è carico di conseguenze giacché i territori ed i poteri si ridefiniscono allora in termini ecclesiastici sulle grandi Diocesi vescovili. La vicenda di Ambrogio e di Milano è esemplare. Importante, per inquadrare l’epoca di cui stiamo parlando, è anche la considerazione che i processi dei quali parliamo si intrecciano con la vicenda della cristianizzazione della Gallia, che diviene una forma di assorbimento dei barbari nella sfera non della romanità ma della cultura che è sintesi latino-cristiana nel suo affermarsi e diventare dominatrice. È molto indicativo al riguardo lo spostamento della capitale imperiale da Roma, ormai spopolata, a Milano, fiorente e politicamente centrale per molto tempo; il vero baricentro dell’Impero in Occidente. La storia del periodo di Ambrogio e dei secoli vicini andrebbe vista proprio in questi termini. C’è sicuramente il crollo di dimensioni politicoamministrative del monstrum imperiale che è, però, bilanciato dalla formazione di nuove entità attorno all’organizzazione delle chiese cristiane (bisogna sempre parlare in termini di pluralità) rappresentata dalle Diocesi. In tale contesto la figura di Ambrogio (334 o 340-397 d.C.) è fortemente caratteristica. Egli si forma a Treviri, sulla Mosella, sua città natale, centro importante di confine, a contatto con popolazioni galliche e germaniche dove l’elemento latino è molto più culturale che etnico (è una Gallia romanizzata che dialoga con i Germani). Il fatto quindi che un personaggio come Ambrogio, romano e di famiglia nobile, uno degli ultimi bilingui (greco e latino), alle origini alto funzionario imperiale - come già lo era stato suo padre- e addirittura consolare (cioè governatore), diventi anche il vescovo di una grande Diocesi come quella di Milano, è interessante perché ci fornisce una chiave di lettura del nostro passato e uno strumento di paragone con il presente. Potremmo dire che Ambrogio è l’uomo giusto al momento giusto? Unisce, infatti, in sè gli elementi culturali che gli permettono di affrontare con sguardo organico le tensioni di un periodo in cui mondi differenti vengono in contatto e, spesso, in collisione. ALBERTONI - È certamente così. Infatti bisogna considerare che il cristianesimo è una religione di ispirazione orientale nella sua radice ebraica ed è inequivocabilmente e radicalmente mono- 46 - Quaderni Padani Anno III, N. 9 - Gennaio-Febbraio 1997
La diocesi di Milano (IX) all'epoca di Sant'Ambrogio. Figura tratta da/ Angelo Paredi, Sant'Ambrogio (Rizzoli, Milano, 1985) teistica. Si tratta di una religione che ebbe notevoli problemi ad entrare in sintonia con la religiosità marcatamente panteistica e naturalistica delle popolazioni barbariche e anche con la religione altamente ufficializzata e statalizzata del mondo imperiale romano. Secondo me l’elemento di grande interesse è che un uomo come Ambrogio, diventato vescovo con un potere spirituale molto ampio dopo essere stato alto funzionario imperiale, introduce un elemento di autorevolezza e di un certo rigorismo anche istituzionale. Di fatto egli attribuisce alla propria diocesi, i cui confini andrebbero attentamente presi in considerazione dal momento che comprendono quasi perfettamente l’attuale Padania, salvo alcuni sconfinamenti, i caratteri di una vera e propria Chiesa nazionale. Con Ambrogio si ha, quindi, una continuità nell’ambito culturale, spirituale con la cultura d’oriente rielaborata, però, in funzione delle popolazioni padano-galliche. Ma anche continuità territoriale, poiché mentre crollano tutte le dimensioni istituzionali, civili e militari, pro- Anno III, N. 9 - Gennaio-Febbraio 1997 Quaderni Padani - 5
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