Per rendere conto del comportamento effettivo degli <strong>elementi</strong> reali di circuito si possono, naturalmente, usare modelli più complessi, come v<strong>ed</strong>remo fra breve, che però sono sempre ottenuti collegando assieme degli <strong>elementi</strong> <strong>ideali</strong>. Per esempio, per rappresentare l'effetto dell'autoinduzione in un resistore reale, si userà il modello costituito da un resistore ideale e da un induttore ideale disposti in serie. I vari <strong>elementi</strong> di circuito interagiscono fra loro solo in termini di tensioni e correnti, cioè soltanto attraverso i conduttori metallici che li interconnettono, supposti a loro volta <strong>ideali</strong>, nel senso di conduttori perfetti equipotenziali, privi di effetti capacitivi, induttivi e di irraggiamento. Quanto detto significa che i campi <strong>elettrici</strong> e magnetici, da cui dipende, rispettivamente. Il funzionamento dei condensatori e degli induttori, si suppongono strettamente confinati all'interno degli <strong>elementi</strong> stessi. Notiamo anzi, a questo proposito, che non vi è alcun elemento di circuito che rappresenti il fenomeno dell'irraggiamento. L'insieme delle interconnessioni tra gli <strong>elementi</strong> che costituiscono un circuito è descritto, a sua volta, da altre equazioni, dette equazioni topologiche. Queste non dipendono dalla natura degli <strong>elementi</strong> in gioco, ma solo dalla "topologia" dello schema di collegamento. Le equazioni complete dei <strong>circuiti</strong>, infine, si ottengono combinando le equazioni costitutive degli <strong>elementi</strong> con quelle topologiche che ne descrivono le interconnessioni ( <strong>parte</strong> III). Gli <strong>elementi</strong> dei <strong>circuiti</strong> sono di due tipi: a costanti distribuite e a costanti concentrate. In questi ultimi non ha importanza la distribuzione spaziale dell'energia, sicché essi si considerano puntiformi, privi di dimensioni fisiche. Il loro comportamento è descritto da equazioni costitutive che sono equazioni differenziali ordinarie. Negli <strong>elementi</strong> a costanti distribuite, invece, ha importanza la distribuzione spaziale dell'energia al loro interno, sicché non possiamo trascurarne le dimensioni (e la forma). Fra questi <strong>elementi</strong>, che sono descritti da equazioni differenziali a derivate parziali (per poter tener conto delle dipendenze spaziali, oltre che temporali, delle grandezze elettriche), rientrano le linee di trasmissione, che considereremo in un'altra <strong>parte</strong> del corso. In quanto segue ci occupiamo solo dei <strong>circuiti</strong> costituiti da <strong>elementi</strong> a costanti concentrate. Nei quali l'ipotesi costanti concentrate assume un duplice significato: quello già detto a proposito degli <strong>elementi</strong> che li costituiscono e quello relativo ai conduttori di collegamento, che si assumono equipotenziali a ogni istante di tempo. Per la validità di quest’ultima ipotesi, che non sempre è verificata in pratica, occorre dunque che le dimensioni del circuito siano sufficientemente piccole, rispetto alla lunghezza d'onda dei segnali, in modo da poter trascurare i ritardi di propagazione. In altre parole, occorre che i tempi di propagazione siano così brevi da essere trascurabili sulla scala G. V. Pallottino – Aprile 2011 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 2 Università di Roma Sapienza - Dipartimento di <strong>Fisica</strong>
dei tempi che ci interessano. La dimensione L più estesa di un circuito a costanti concentrate in cui vi siano segnali di frequenza massima fM dovrà dunque soddisfare la condizione: (1) L