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Qualità e professione Toscana Medica 6/10<br />
tecnologico si è fatto progressivamente strada il linguaggio<br />
dei diritti, soprattutto nel mondo occidentale<br />
ed a partire dalla fi ne del Settecento, con una decisa<br />
accelerazione solo dopo la seconda guerra mondiale.<br />
Oggi l’autonomia dei cittadini costituisce un principio<br />
fermo ed irrinunciabile, ed è un dato di fatto il<br />
progressivo riconoscimento dei loro diritti anche nel<br />
campo delle decisioni che riguardano la salute. Il paziente<br />
è divenuto sempre più esigente e la società è<br />
sempre meno disposta ad atteggiamenti di deferenza<br />
aprioristica verso la nostra professione. Quest’ultima,<br />
a sua volta, da una parte si deve confrontare con<br />
un tumultuoso susseguirsi di dati e di informazioni<br />
che spesso sono l’esatto contrario della conoscenza e<br />
della sapienza, e dall’altra è costretta a frequentare<br />
campi che le erano tradizionalmente estranei (due<br />
esempi per tutti, quello gestionale e quello economico-fi<br />
nanziario). Nessuna meraviglia che in questo<br />
contesto aumenti l‘incidenza di una nuova malattia<br />
professionale: la sindrome da burnout.<br />
Quali rimedi possiamo immaginare? Come per<br />
tante patologie, anche in questo caso si devono trovare<br />
gli strumenti per la cura e per la guarigione a<br />
partire da dentro di noi, aumentando le proprie difese<br />
fi siologiche ed evitando certi meccanismi di risposta<br />
che possono diventare patologici (così come accade<br />
per le malattie autoimmuni). Di fronte ai fattori<br />
stressogeni che abbiamo appena visto e che colpiscono<br />
una delicatissima professione d’aiuto quale la<br />
nostra, la risposta non può che partire da noi stessi.<br />
Cerchiamo dunque di capire chi siamo, noi medici,<br />
noi clinici, a partire dalle radici etimologiche. Med-,<br />
da cui il greco medomai, cioè pensare, rifl ettere, capire<br />
ma anche med-iare, dunque stare in mezzo tra<br />
il malato e la sua malattia. Ancora un verbo greco:<br />
klinomai, cioè ri-piegarsi sul malato. Rifl ettere e<br />
ri-piegarsi sul malato: vogliamo continuare a sterili<br />
lamentazioni sulla progressiva erosione sociale<br />
del ruolo del medico, sui tanti, troppi attori che invadono<br />
campi che ritenevamo esclusivi della nostra<br />
professione, o possiamo renderci conto che la Cura<br />
è sempre più un fatto complesso, che richiede certo<br />
abilità e competenze tecniche ma anche la disponibilità<br />
da parte nostra a percorrere strade che fi nora<br />
ritenevamo a noi estranee? È tempo di smettere di<br />
inseguire nostalgicamente il tempo che fu, quando ci<br />
potevamo cullare nelle comode e rassicuranti braccia<br />
del paternalismo, ormai socialmente inaccettabile ed<br />
inaccettato.<br />
E dove andiamo a trovare i rimedi per curare il<br />
nostro burnout? È molto semplice: li abbiamo anche<br />
dentro di noi, sono i doveri che abbiamo nell’esercizio<br />
della professione, scritti nel nostro Codice Deontologico.<br />
Si veda, come esempio, l’articolo 6: “Il medico<br />
agisce secondo il principio di effi cacia delle cure nel<br />
rispetto dell’autonomia della persona tenendo conto<br />
dell’uso appropriato delle risorse. Il medico è tenuto<br />
a collaborare alla eliminazione di ogni forma di discriminazione<br />
in campo sanitario, al fi ne di garantire<br />
a tutti i cittadini stesse opportunità di accesso,<br />
disponibilità, utilizzazione e qualità delle cure”. In<br />
42<br />
questo articolo ogni parola ha un peso enorme: vi si<br />
trovano i principi dell’effi cacia e dell’effi cienza delle<br />
cure, della loro appropriatezza, ma anche un cogente<br />
richiamo a rispettare i valori dei pazienti, i loro<br />
diritti, di fronte ai quali l’etica tradizionale medica<br />
deve fare un passo indietro. Ed è sorprendentemente<br />
forte il taglio politico del secondo comma di questo<br />
articolo, con il richiamo all’impegno civile del medico.<br />
Non basta più dunque il sapere ed il saper fare<br />
in campo clinico, è nostro dovere anche farsi parte<br />
attiva nella società perché i diritti dei cittadini, tra i<br />
quali quello alla salute, trovino pieno riconoscimento.<br />
La lotta alle disuguaglianze di salute, purtroppo<br />
presenti anche in un sistema sanitario come il nostro,<br />
che da oltre trent’anni si ispira ai concetti di<br />
equità ed universalità, è dunque un nostro preciso<br />
dovere professionale, tanto quanto quello di curare il<br />
singolo ammalato.<br />
Ecco che allora il burnout possiamo curarlo ritrovando<br />
in noi stimoli professionali forse dimenticati.<br />
Per sentirci realizzati nel nostro lavoro rivediamo<br />
la nostra immagine di «aiutanti»; abbandoniamo la<br />
presunzione di essere guaritori onnipotenti e recuperiamo<br />
la nostra dimensione di “guaritori feriti”.<br />
Potremo curare le ferite dell’altro da noi solo riconoscendo<br />
e curando le nostre, ammettendo le perdite<br />
che nel cammino della storia la nostra professione ha<br />
subito, ma anche recuperando tante ricchezze mai<br />
conosciute o forse dimenticate, ridando senso e signifi<br />
cato al nostro lavorare quotidiano. Dunque, rifl ettere<br />
e ripiegarsi sul malato ma anche sulla società,<br />
prendersene cura a partire da uno dei principi base<br />
dell’etica della cura: il far del bene all’altro non può<br />
che partire da un proprio equilibrio. Quale miglior<br />
cura di se stessi, se non quella di rafforzare il nostro<br />
impegno a strutturare la relazione con il malato<br />
secondo linee nuove e creative? Sappiamo che una<br />
delle modalità terapeutiche del burnout è quella di<br />
invitare chi ne soffre a cercarsi interessi fuori dal<br />
lavoro. Se noi medici conviviamo con tante fonti di<br />
stress, possiamo però trovare nella nostra professione<br />
anche nuove opportunità di cura e di guarigione.<br />
Ancora ci viene in soccorso il nostro Codice Deontologico,<br />
con l’articolo 5: “Il medico è tenuto a considerare<br />
l’ambiente nel quale l’uomo vive e lavora quale fondamentale<br />
determinante della salute dei cittadini. A<br />
tal fi ne il medico è tenuto a promuovere una cultura<br />
civile tesa all’utilizzo appropriato delle risorse naturali,<br />
anche allo scopo di garantire alle future generazioni<br />
la fruizione di un ambiente vivibile. Il medico<br />
favorisce e partecipa alle iniziative di prevenzione, di<br />
tutela della salute nei luoghi di lavoro e di promozione<br />
della salute individuale e collettiva”.<br />
Non tras-curiamoci, come spesso facciamo noi<br />
medici di fronte a tanti disturbi! Abbiamo due farmaci<br />
un po’ particolari: due articoli, il 5 ed il 6, del<br />
nostro Codice Deontologico, che ci richiamano ai nostri<br />
doveri “civili”. Non si tratta di una prescrizione<br />
off label, ma di una straordinaria occasione per<br />
prenderci cura di noi e del nostro burnout. Sta a noi<br />
riconoscerla e non perderla. TM